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XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

2Re 4,42-44   Sal 144   Ef 4,1-6  

O Padre, che nella Pasqua domenicale

ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo,

aiutaci a spezzare nella carità di Cristo

anche il pane terreno,

perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal secondo libro dei Re 2Re 4,42-44

Ne mangeranno e ne faranno avanzare.

In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.

Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».

Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.

Il fattore moltiplicativo del bene

Al ciclo narrativo di Eliseo appartengono alcuni racconti prodigiosi che mettono in evidenza l’aspetto “provvidenziale” della sua missione profetica. Egli è portatore della parola di Dio che opera miracoli, i quali rendono visibile la cura che Egli ha nei confronti dei suoi servi. Tra questi racconti di miracoli c’è quello della moltiplicazione dei pani a vantaggio della gente. In questo caso sembra che Eliseo vesta i panni del sacerdote che funge da mediatore tra l’offerente e Dio. L’offerta della primizia è legata alla festa della Pasqua chiamata anche Azzimi. Infatti, i pani usati nella festa di Pasqua erano d’orzo. L’accolito di Eliseo riceve l’ordine dal profeta di dare i pani alla gente perché tutti potessero celebrare la Pasqua; il servitore obbietta che sono insufficienti per tutti i membri della comunità che conta cento persone. Ma il profeta insiste perché quello che ha impartito non è un suo ordine ma un comando di Dio: «ne mangeranno e ne faranno avanzare». Il profeta, intermediario dell’offerta dell’uomo a Dio diventa mediatore del dono di Dio a tutti. Il servo del profeta e chiamato a inserirsi in questa dinamica oblativa attenendosi alla parola di Dio. Il comandamento consiste nel mangiare e far avanzare non il pane offerto dall’uomo ma quello che Dio dona per tutti mediante i suoi servi. L’obbedienza a Dio è il fattore moltiplicativo del bene donato.

Salmo responsoriale Sal 144

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere

e ti benedicano i tuoi fedeli.

Dicano la gloria del tuo regno

e parlino della tua potenza.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa

e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.

Tu apri la tua mano

e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie

e buono in tutte le sue opere.

Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,

a quanti lo invocano con sincerità.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 4,1-6

Un solo corpo, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

L’unità in Cristo, speranza e compito

Con il cap. 4 inizia la parte esortativa della lettera nella quale l’apostolo presenta la Chiesa come il corpo di Cristo, il quale si unisce alla comunità ecclesiale come lo sposo alla sua sposa, comunicandole il suo Spirito, affinché agisca in essa e manifesti la potenza dell’amore di Dio. È lo Spirito Santo, infatti, che conforma la Chiesa-Sposa al Cristo-Sposo rendendola tutta bella secondo il progetto che Dio da sempre ha avuto nel cuore. Come il comportamento di Cristo nei confronti degli uomini dipende dalla relazione filiale col Padre, similmente la condotta dei cristiani è buona nella misura in cui è ispirata ai sentimenti di Gesù: umiltà, dolcezza e magnanimità. Queste sono le disposizioni interiori grazie alle quali lo Spirito Santo opera la comunione dei fedeli con Gesù come tesse il legame d’amore del Figlio col Padre. Lo stesso Spirito orienta il cuore dei credenti a scelte che favoriscono la unità della Chiesa perché essa è il fine dell’opera di Dio e la vocazione di ogni battezzato. Paolo, dunque, esorta i cristiani di Efeso, provenienti sia dal paganesimo che dal giudaismo, ad superare le crisi spostando l’attenzione dai fattori divisivi, che sono motivo di giudizio e contrapposizione, alla dignità battesimale che ha incorporati tutti nell’unico corpo di Cristo, rendendoli figli di Dio e servi della sua volontà. Ecco perché Paolo li chiama fratelli e invita tutti i battezzati di Efeso a chiamarsi, a riconoscersi e a trattarsi reciprocamente come tali.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,1-15

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.

Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.

E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

LECTIO

Il cap. 6 risulta composto da tre parti di cui la prima (6,1-25) e la terza (6,60-71) hanno carattere narrativo mentre la seconda (6,26-59) è di genere discorsivo. Del primo blocco fanno parte tre scene, il segno dei pani e dei pesci (vv.1-15), il cammino di Gesù sul mare di Galilea (vv. 16-21) e l’incontro a Cafarnao (vv. 22-25).

La pericope inaugurale del capitolo sesto è strutturato in quattro tempi. Alla contestualizzazione dell’evento (vv. 1-4) segue la presentazione del problema e la complicazione dovuta all’incapacità dei discepoli di risolverlo (vv.5-9); la soluzione è data dall’intervento diretto di Gesù che sazia di pani e di pesci la folla (vv. 10-13) che reagisce riconoscendo in Gesù il profeta e il re atteso, il quale però rinuncia all’investitura (vv.14-15).

L’evangelista collega gli eventi accaduti in Galilea a quelli avvenuti a Gerusalemme dove, inseguito alla guarigione di un uomo storpio alla piscina probatica, Gesù si scontra con i suoi detrattori, i quali iniziano a complottare e a progettarne l’eliminazione fisica (cf. 5,18). Forse, per questo motivo Gesù decide di ritirarsi in una zona più tranquilla dove c’è comunque una folla numerosa di seguaci i quali, al contrario delle autorità di Gerusalemme, credono in lui vedendo i segni compiuti sui malati. Si delinea una sorta di differenziazione tra il popolo e le sue guide le cui posizioni poi si uniformano dalla reazione di Gesù il quale, dopo essersi ritirato in difesa dalle minacce dei capi, si sottrae anche al tentativo della folla di incoronarlo. La vicenda di Gesù va letta alla luce di quella di Mosè e dell’evento dell’Esodo. La storia delle origini d’Israele registra l’iniziale fallimento del rapporto con la sua gente verso la quale si presenta come fratello-giudice e con la sua famiglia adottiva (il faraone) dal quale sembra prendere le distanze e fuggire perché minacciato di morte. Questa prospettiva è confermata anche dall’annotazione temporale riguardante la festa della Pasqua. Essa rinvia all’universo simbolico della festa giudaica e, più in generale all’epopea dell’esodo. Tuttavia, i fatti narrati e le parole di Gesù non hanno solo valore analettico, cioè non rimandano solo agli eventi pasquali d’Israele, ma hanno anche una funzione prolettica perché anticipano il senso della Pasqua di Gesù che si compie a Gerusalemme.

Il quarto vangelo legge le azioni di Gesù alla luce delle imprese di Mosè che è l’eroe delle tradizioni dell’esodo, prefigurazione del futuro Messia. Già la testimonianza del Battista aveva sgombrato il campo dai fraintendimenti nel momento in cui esplicitamente ha affermato di non essere il «successore» di Mosè ma l’evangelizzatore del Pastore-Agnello di Dio (cf. 1, 29.36). Tuttavia, l’equivoco sull’identità di Gesù, e del Messia in generale, fa da sfondo a tutta la narrazione evangelica la cui tensione si scioglie solo nel momento della morte di Gesù a cui segue la testimonianza del discepolo amato che conferma quella del Battista. I rimandi alla tradizione veterotestamentaria sono in funzione della presentazione di Gesù quale uomo di Dio, obbediente alla sua volontà, che porta a compimento il suo disegno salvifico. Gesù non è semplicemente un nuovo Mosè, né tantomeno è un profeta che continua la sua opera oppure che ha la pretesa di imitarlo e addirittura di superarlo. I segni che compie non sono l’attestazione della sua dignità nel proseguire l’impresa di Mosè, ma rimandano e rivelano l’opera di Dio. In questo senso, i discepoli, chiamati ad essere partecipi della missione di Gesù, sono educati dal Maestro a fare della loro opera un segno che ripresenta l’unico e definitivo atto creativo e salvifico di Dio compiutosi nel sacrificio di Cristo Crocifisso. La funzione ministeriale dei discepoli è finalizzata all’estensione universale dell’amore creativo e salvifico di Cristo Gesù, vero Dio e unico Signore.

La narrazione si complica quando dal punto di vista del narratore, il quale annota che molta folla segue Gesù vedendo i segni da lui compiuti, a quella del Maestro. Nel racconto dell’Esodo le dieci piaghe in Egitto hanno anche la funzione di accreditare Mosè agli occhi del popolo perché fosse pronto ad obbedirgli nel momento decisivo del passaggio del mar Rosso. In genere gli studiosi riconoscono la presenza di un settenario di segni nella prima parte del racconto evangelico di Giovanni (capp. 1-12): il vino delle nozze di Cana, la guarigione del figlio del funzionario regio di Cana, la purificazione del tempio, la guarigione del paralitico, la moltiplicazione dei pani e il cammino di Gesù sull’acqua, la guarigione del cieco nato e la rianimazione di Lazzaro. Il quinto segno è composto dai due eventi che tutti gli evangelisti mettono insieme per evidenziarne meglio il carattere pasquale e il riferimento all’Esodo.

Il dialogo con Filippo e Andrea è propedeutico all’evento prodigioso e ha la funzione di inquadrare i fatti all’interno della relazione educativa che il Maestro ha con i suoi discepoli. Infatti, l’evangelista annota che Gesù è pienamente consapevole di ciò che sta per fare perché è cosciente della sua missione e del modo nel quale la porterà a compimento. Mettere alla prova non significa trarre un tranello per far cadere, ma è parte della strategia educativa perché ha una funzione pedagogica. Gesù si rivolge a Filippo perché è originario di Betsaida, come anche Andrea, fratello di Simon Pietro (cf. 1,44). Anche se non si dice esplicitamente, il luogo del segno è proprio Betsaida che si trova nei pressi del punto nel quale il fiume Giordano entra nel Mare di Galilea. È da lì che poi i Dodici vanno a Cafarnao nella cui sinagoga Gesù tiene il discorso sul pane di vita. L’interrogativo di Gesù riecheggia quello che Mosè rivolge a Dio (cf. Nm 11,13). L’uno e l’altro si fanno portavoce del bisogno della gente. Mosè, quale profeta, parla a nome del popolo verso Dio, così come aveva fatto davanti al mar Rosso mentre erano inseguiti dai carri del faraone. Il popolo grida davanti al pericolo della morte. Mosè chiede a Dio come comportarsi e riceve degli ordini mediante i quali il popolo attraverserà il mare all’asciutto da una riva all’altra. Ma quello del mare non è l’unico passaggio; infatti, anche l’attraversamento del deserto richiede il continuo intervento di Dio perché il cammino possa giungere all’approdo della salvezza.

La domanda di Gesù a Filippo verte sul luogo nel quale poter comprare il pane necessario per sfamare la grande folla. La risposta dell’apostolo invece si focalizza sulla capacità economica che comunque risulta insufficiente per soddisfare il bisogno di quel popolo. Filippo vuole affermare che ogni impegno umano sarebbe impari rispetto alla mole del problema. Con ciò confessa il limite entro cui si può agire anche se mossi da buona volontà. A dar manforte a Filippo ci pensa Andrea che presenta a Gesù un giovinetto il quale ha con sé cinque pani d’orzo e due pesci. Da una parte si rende nota l’encomiabile generosità del ragazzo che rinuncerebbe a tutto quello che ha da mangiare per quel giorno per condividerlo con gli altri, dall’altra parte si aggiunge con realismo che anche quel gesto di altruismo non avrebbe risolto il problema. Filippo e Andrea sembrano molto più realisti di Gesù davanti al quale ammettono la loro insufficienza nel risolvere il problema sollevato dal loro Maestro. Eppure, essi possono fare qualcosa nei confronti della gente: farli sentire a casa loro! Farli accomodare sull’erba vuol dire esercitare il ministero pastorale che conduce il gregge ai verdi pascoli dove possono nutrirsi e riposare nei campi brulicanti di erba. Una volta accomodati la folla non appare più come una minaccia oscura o una massa ingestibile ma come una grande famiglia alla quale rivolgersi nello stesso modo con cui l’approccia Gesù. Infatti, i discepoli dispongono davanti a Gesù i commensali. La folla ingestibile diventa una famiglia da servire. Il giovinetto rappresenta al contempo Dio provvidente e i discepoli. I cinque pani e i due pesci sono il dono di Dio nel quale Gesù, quale uomo e figlio di Dio, si identifica. I cinque pani d’orzo e i due pesci rimandano alla manna e alle quaglie che permisero al popolo di attraversare il deserto e giungere alla terra promessa. La gente d’Israele si domandava: «Può Dio dar da mangiare ad una moltitudine?», le risorse della terra non sono infinite.

Nel cuore dell’episodio c’è l’azione di Gesù descritta da tre verbi: ricevere, rendere grazie e distribuire. Gli stessi verbi connotano l’azione liturgica pasquale nella quale il padre funge da sacerdote del tempio domestico. Tra il ricevere e il distribuire c’è il rendimento di grazie che corrisponde alla benedizione durante il pasto pasquale. Il rendimento di grazie contestualizza l’atto nel contesto liturgico trasformando i gesti e le parole in segno che ha il potere di trasformare il quanto basta giornaliero in un nutrimento che sazia. Quello di Gesù è chiaramente un segno profetico che ha come effetto quello di far transitare la preoccupazione pratica di carattere quantitativo nella missione di garantire al tutti e a ciascuno l’esperienza della pace, che non è solo pienezza dei beni ma soprattutto compimento del bene. Il rendimento di grazie è l’espressione di un cuore in pace che gusta la bellezza di sentirsi amato e custodito. Questo sentimento di gioia caccia la paura che invece porta ad avere un atteggiamento predatorio e avido. Paura e frustrazione sfociano nell’aggressività e nella competizione. Al contrario, il rendimento di grazie si declina nella ricezione o accoglienza dell’altro come un dono gratuito e alla generosità nella condivisione. I pezzi di pane avanzato raccolto in dodici ceste testimoniano come i destinatari dei pani distribuito hanno praticato la condivisione grazie alla quale il pane ricevuto con spirito di gratitudine si è moltiplicato ed è sovrabbondato. L’evangelista Giovanni non affida la distribuzione ai discepoli ma la riserva a Gesù per indicare che essi sono parte del popolo e non al di sopra di esso. Dalla gente i discepoli devono imparare a ricevere il sono di Dio con gratitudine e umiltà e a condividerlo con gioia e fiducia. Tuttavia, guardando Gesù che sfugge alla prospettiva della glorificazione umana, gli apostoli devono imparare a riconoscere e saper gestire “il vento” ovvero discernere tra la logica del mondo e quella di Dio. Infatti, i discepoli entrano in gioco nell’obbedienza al comando di Gesù di raccogliere i pezzi avanzati che sono il simbolo di tutti gli uomini per i quali Egli offre la propria vita sulla croce. Gesù coinvolge i discepoli nella missione affidatagli dal Padre di fare di tutti gli uomini la comunità dei figli di Dio. Il fine della missione di Gesù diventa anche quello dei discepoli i quali, imitando il loro maestro, imparano a distinguere il tempo del darsi e quello del ritirarsi perché nell’una e nell’altra situazione appaia evidente il primato di Dio e della sua volontà.

MEDITATIO

Calcoli d’amore e non d’interesse

Sul Lago di Galilea è ambientato il racconto del segno compiuto da Gesù per sfamare la grande folla che lo seguiva. Non si tratta solo di un prodigio ma di un evento che mira a lasciare un insegnamento nel cuore dei discepoli nel tempo in cui i Giudei stavano per celebrare la festa della Pasqua. Gesù osserva la numerosa folla che va da lui e inizia un dialogo con i discepoli, rappresentati da Filippo, al quale pone il quesito di come trovare la soluzione al problema della fame. La folla è attratta da Gesù sapendo i segni che egli compiva sugli infermi e va da lui non per assistere ad uno spettacolo ma per ricevere la guarigione. Lo sguardo di Gesù, illuminato dalla compassione, coglie nel problema della fame e nel bisogno di nutrimento non un modo per farsi pubblicità e raccogliere consensi ma il canale attraverso il quale entrare in contatto con la gente. La domanda a Filippo apre l’argomento circa la fonte da cui approvvigionarsi. Non è una consultazione perché è indeciso su cosa fare – Gesù sa benissimo cosa sta per fare – ma è una benevola provocazione affinché anche i discepoli non siano semplici spettatori degli eventi ma attivi protagonisti insieme con lui. Filippo non offre una soluzione ma si limita a constatare con sano realismo l’impossibilità di comprare il pane per soddisfare il bisogno della folla. A questo punto s’inserisce Andrea, fratello di Simon Pietro, che presenta a Gesù un ragazzo disposto a dare i suoi cinque pani e due pesci. Ma si affretta a commentare che anche la sua generosità è insufficiente per risolvere il problema.

Davanti ad una situazione critica che c’ interpella e ci coinvolge spesso accade che la nostra prima reazione è la stessa di quella dei due apostoli i quali, da una parte hanno contezza delle loro forze, e dall’altra hanno consapevolezza della loro insufficienza. Disponibilità di mezzi economici e generosità sono importanti ma non risolutivi. La missione non può basarsi sulla disponibilità di mezzi finanziari o sulla buona volontà di qualcuno.

La domanda di Andrea sembra rimandare a Gesù la questione: «cosa possiamo fare?». L’apostolo, pur riconoscendo il problema e l’insufficienza delle proprie forze, interrogando il Maestro si apre ad accogliere le sue indicazioni. Gesù, che era seduto sul monte insieme ai suoi discepoli invita gli apostoli a far assume alla folla la stessa postura. Gesù è seduto perché insegna e i discepoli sono nella posizione di chi ascolta il suo insegnamento. La folla viene considerata alla stregua dei discepoli che condividono con il Maestro la vita. Invitando la folla a sedersi si rivolge loro un appello ad entrare in rapporto d’intimità tale da creare un clima di familiarità. La piccola comunità diventa una grande famiglia perché tutti trovano posto nel giardino con dell’erba che ricorda i pascoli ubertosi nei quali il pastore fa riposare il suo gregge.

In questo contesto si inseriscono i gesti con i quali Gesù compie il segno. I pani non sono sottratti o requisiti al ragazzo, ma ricevuti da lui che poi generosamente li offre. Il ragazzo rappresenta tutta la comunità che mette a disposizione di Gesù il poco che ha. Il gesto offertoriale dei poveri è condizione perché si realizzi il segno. Gesù più che prendere i pani li riceve con spirito di gratitudine. Il rendimento di grazie apre il cuore ad accogliere il dono che viene dall’Alto e dall’altro. Coloro che sono seduti sono quelli che hanno accettato l’invito ad entrare nella comunità dei discepoli di Gesù e che saziano la loro fame non semplicemente comprando il cibo, come avevano fatto in Samaria qualche giorno prima (Gv 4,8), ma condividendo la povertà di ciascuno e mettendola nelle mani di Gesù.

Ai discepoli il compito di raccogliere i pezzi avanzati. Il significato di questo gesto risiede nella necessità di non sprecare nulla di quello che la vita ci riserva, soprattutto quando sembrano gli scarti di chi, pieno di sé e dimentico della grazia ricevuta, abbandona ciò che non gli serve più. Siamo chiamati a raccogliere i prodotti di scarto di una società che punta sulla soddisfazione individuale piuttosto che investire nelle relazioni. Se accogliamo il dono di Gesù con gli stessi sentimenti di gratitudine con i quali Egli ci accoglie, allora sapremo donarci con la medesima generosità al fine di evitare che nessuno si perda, o rimanga solo, e tutti possano essere raccolti in unità, nell’unica famiglia di Dio.

La reazione della gente ci avverte di una tentazione sempre attuale. Possiamo cogliere la verità ma usarla per scopi contrari alla verità stessa. Come ogni dono di Dio anche Gesù supera le attese dell’uomo e per questo è indisponibile ad ogni manipolazione. La folla riconosce la grandezza di Gesù ma, al contrario della Samaritana, non si lascia cambiare ma pretende di poter gestire quella opportunità a proprio uso e consumo. Gesù si sottrae ad ogni forma di possesso o controllo, ma volentieri si lascia incontrare e si dona a chiunque gli apre il cuore con umiltà e fiducia.

In conclusione, potremmo dire che Gesù insegna a fare calcoli d’amore e non d’interesse. Invita ad aggiungere, ovvero ad accogliere con cuore aperto i fratelli che Dio ci fa incontrare. Ci educa a sottrarre a sé qualcosa per offrirlo nelle mani di Dio e a sottrarci alla logica del potere di pochi per essere veramente a servizio di tutti. Il poco condiviso non viene disperso ma moltiplicato e diventa dono per tutti, anche per coloro che, scartati dal mondo, rientrano a pieno titolo tra i figli di Dio.

ORATIO

Signore Gesù, buon Pastore,

raccogli attorno a te le donne e gli uomini

che con cuore puro cercano pace e ristoro

perché stanchi e disorientati.

Accogli anche me,

tuo discepolo a servizio del vangelo,

e rendimi profeta della carità fraterna.

Ricevi l’offerta della mia povertà,

trasformala in sacrificio gradito al Padre

e utile per il bene dei miei fratelli.

Quando le difficoltà della vita

mettono in luce

le mie insufficienze e le mie mancanze,

rivolgimi con più insistenza

l’invito a fidarmi di Te

e dei miei compagni di viaggio

con i quali condividere

la sofferenza della debolezza

e la gioia della salvezza.

Il pane quotidiano della Parola,

più abbondante della mia fame,

trasformi la mia pretesa

di possedere Te e gestire i fratelli

in generoso impegno

a raccogliere in unità, insieme a te,

i fratelli dispersi

perché nessuno vada perduto

ma ogni uomo possa sentirsi amato

dall’unico Dio, Padre di tutti. Amen.