Matera, 7 giugno 2022
Basilica Cattedrale
“Protesto innanzitutto la mia adesione piena a tutte e singole le verità rivelate da Dio e trasmesse dalla S. Chiesa Cattolica”. Così scriveva Mons. Scandiffio in una lettera che ho trovato nell’archivio, carissimi confratelli nell’episcopato, confratelli nel sacerdozio, parenti e fedeli tutti.
La vostra presenza è segno di fraternità, comunione, di stima verso un figlio di questa Chiesa di Matera-Irsina, che il Signore chiamò a servire la Chiesa sorella di Acerenza con la quale c’è stata una lunga storia di cammino insieme.
In questo momento vivo l’opportunità di riflettere con voi su quanto la Parola ci ha appena detto, quanto Mons. Scandiffio ha lasciato scritto, ma soprattutto quanto la sua vita sacerdotale ed episcopale ha detto e continua a comunicare. Più che parlare di lui è meglio far parlare lui.
La nostra presenza ha come fine quella di essere noi stessi sale per dare sapore, gusto e senso alla nostra vita, al nostro ministero episcopale, sacerdotale, diaconale, religioso ma anche sale nell’esercizio del sacerdozio comune dei fedeli. Nello stesso tempo di attingere alla Luce di Cristo e tenere accesa la luce quando il buio del dolore a causa di malattie, di delusioni, di ingiustizie avvolge la nostra esistenza.
Siamo chiamati, così come ci ha ricordato Gesù, ad illuminare la comunità in mezzo alla quale siamo stati inviati a servirla attraverso la nostra umanità. É Lui, il Signore e bel Pastore, che ci rende “sale e luce” affinché i fratelli e le sorelle che condividono questa storia “vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.
Dice sempre Mons. Scandiffio: “Desidero quale cristiano, sacerdote e vescovo esprimere al Signore la mia profonda riconoscenza per le grazie segnalate, di cui ha arricchito con disegno imperscrutabile la mia povera persona e manifestare nel contempo la piena fedeltà al mio Signore, la filiale devozione e confidenza alla Vergine SS.ma madre dei sacerdoti e l’umile ubbidienza al Papa”.
Quante volte abbiamo fatto l’esperienza di chiudere il cuore alla grazia eppure solo la grazia ci fa comprendere l’amore meraviglioso che Dio ha per noi! Ciò che spegne la luce si potrebbe chiamare superbia, egoismo, vittimismo, pigrizia, chiusura, arroganza. Davanti alla morte e davanti all’esempio di questo cristiano, sacerdote e vescovo la luce non può che ritornare accesa.
Nessuno di noi può ritenersi sale e luce solo per mostrare agli altri quanto si è buoni. Chi è immerso in Dio si lascia portare da lui, fa trasparire il suo volto pieno di luce e fa desiderare la luce. Chi si lascia impastare dall’amore del Signore e vive di quest’amore fa gustare, con la sola sua presenza, quella del Salvatore. “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Non è forse questo che in tanti abbiamo colto durante il ministero pastorale di Mons. Scandiffio?
Attraverso la storia della vedova di Sarephta e il profeta Elia, sappiamo come a volte capiti nella vita di contemplare la secca del torrente, la siccità che aumenta. E quando il “poco” di carne, di pane, di acqua finisce, anche il profeta, il vescovo, il sacerdote, il diacono, i religiosi, i laici, per continuare il loro ministero, la loro esperienza di Dio, hanno bisogno di essere educati dai poveri, così come è successo a Sarephta per Elia.
“A voi cari Sacerdoti e seminaristi il mio pensiero ultimo e la mia calda esortazione: Amate il Signore, amate la Chiesa, amate il sacerdozio. Vivete nell’umiltà e nella carità. Annunciate con coraggio, speranza e gioia il Vangelo di Dio Amore”.
A questo pensiero aggiungo quello di S. Agostino, quando così prega: «Concedimi, o Signore, un po’ di tempo per le mie meditazioni sui segreti della tua scrittura. Non chiuderla a me che busso alla sua porta. Non senza uno scopo certamente tu, o Signore, facesti scrivere tante pagine piene di misteri. Non mancano certo gli amanti della parola santa che quali cervi si rifugiano in essa come in una foresta. In essa si ristorano. Scorrazzano in essa da un angolo all’altro come in un prato. Vi pascolano. Trovano riposo e ruminano.
O Signore, fa’ che anch’io giunga a tanto: rivelami la tua scrittura. Ecco, la tua voce è la mia gioia. La tua parola è il desiderio mio oltre ogni desiderio. Dammi ciò che
amo. Tu sai che io amo: tu mi hai dato di amare. Non abbandonarmi, Signore. Non trascurare questo filo d’erba che ha sete di te. Quando scoprirò i segreti dei tuoi
libri, allora ti loderà l’anima mia».
La vedova di Sarephta è vestita da lutto, intenta a raccogliere legna, ma pronta a dare da bere al profeta per dissetarlo. Diremmo: si mette in movimento ascoltando la voce di Dio attraverso Elia. Pur essendo una pagana avverte che la Parola la mette in movimento. Una Parola che diventa sempre più esigente sia per noi annunciatori della Parola, sia per chi la riceve, affinché la disperazione si trasformi in allegria, lo spettro della morte in vita e in vita eterna. Nella sua lunga vita, fino alla fine, Mons. Scandiffio ha messo in movimento per le strade della vita tantissimi preti, seminaristi, laici e vescovi che continuano a guardarlo come modello di pastore.
Elia chiede alla vedova anche del pane e questa risponde: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
La donna obbedisce in un momento di grande sofferenza e difficoltà, considerando quel momento l’ultimo per la sua vita e per quella del figlio. Ma è proprio alla luce di questa obbedienza che incontra Dio, fino a dire: «Ora so che tu sei un uomo di Dio e che la vera parola del Signore è sulla tua bocca».
Scrive, sempre, Mons. Scandiffio: “Un saluto particolarmente caloroso ai miei figli di Acerenza, Chiesa che il Signore ha voluto senza alcun mio merito affidare per molti anni alla mia cura pastorale…Perseverate nella fede e nella carità. Lasciatevi guidare dal Signore nel vostro cammino, siate autentici testimoni di Cristo Risorto. Supplico tutti a ricordarmi nella preghiera e ad impetrare per me la divina misericordia”.
Continuando a leggere la storia di Elia, troviamo scritto che il Profeta abiterà al piano superiore della casa della donna. Dovrà affrontare il trauma della morte del figlio della vedova che sicuramente si sarà sentita ingannata dall’uomo di Dio e avrà gridato tutta la sua rabbia. Anche il profeta è costretto a misurarsi con l’assurdità della morte di un ragazzo. Penso in questo momento anche alla comunità di Irsina dove contemporaneamente si stanno celebrando le esequie del giovanissimo Pierangelo mentre altri suoi coetanei stanno lottando tra la vita e la morte, a causa dell’incidente di domenica mattina.
Elia prega. Ci insegna come la preghiera diventa ricerca del volto del Signore, ascolto della sua voce per capire la sua volontà. Quanti scoraggiamenti! Quanti fallimenti! Eppure Dio dona sempre un pane miracoloso, per noi l’Eucaristia nostro sostegno e nutrimento. E la preghiera aiuta ad accostarci con fede all’Eucarestia. Partecipare devotamente alla S. Messa, così come faceva Mons. Scandiffio. Nell’Eucaristia si riprende forza nel nostro cammino affinchè non ci sia mai separazione tra preghiera e vita. É la preghiera che dà sempre vita, è l’Eucaristia il cibo di vita eterna.
Giusto un mese fa, il 09 maggio, chiesi a Mons. Scandiffio, ormai impossibilitato a celebrare, d’accordo con il parroco, Mons. Biagio Colaianni che non l’ha mai lasciato solo, e con i nipoti che lo hanno sempre seguito con amore e cura, la badante Elena che lo ha accudito come un padre, di celebrare con lui la messa a casa sua. É stato un momento così intenso e profondo vederlo seduto, con le mani unite, la testa piegata e gli occhi pieni di luce. Eravamo uno di fronte all’altro: al centro l’altare, Gesù Eucaristia! Che gioia condividere il memoriale della passione, morte e risurrezione di Gesù, spezzare lo stesso pane, cibo di vita eterna, nutrimento di salvezza. In quel momento ho fatto memoria di una frase che mi ha sempre accompagnato: “celebrare la messa come se fosse la prima volta, l’unica volta, l’ultima volta”.
Faccio concludere Mons. Scandiffio che scrive: “Voglio esprimere una speranza ed un augurio: quanti ci siamo conosciuti nel Signore, anzi meglio quanti il Signore ha conosciuto e conosce possano ritrovarsi insieme, auspice Maria Santissima madre tenerissima sulle cui braccia è dolce rifugiarsi, con le vesti lavate nel sangue redentore di Cristo Signore e lodare senza fine Dio Padre e Figlio e Spirito Santo”.
Amen.
✠ Don Pino
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