La festa odierna liturgica di S. Marco evangelista coincide con la festa civile della Liberazione. Noi credenti riuniti in questa rettoria di S. Chiara e forse anche non credenti, come alunni siamo qui a contemplare e meditare la storia della salvezza che l’evangelista Marco ci presenta nel Vangelo. Storia che ha liberato l’uomo da vecchie e nuove schiavitù attraverso l’offerta volontaria di Gesù Cristo (Dio che ha scelto di essere uomo) sulla Croce, strumento di condanna e di morte, che ha trasformato in strumento di salvezza per tutti gli uomini. Sempre come alunni attenti, facciamo memoria del tempo passato non come nostalgia, bensì come tempo attraversato, mantenendo vivo non il ricordo ma l’agire quotidiano per difendere la libertà, la democrazia, la pace.
Quante voci e grida di disperazione si alzano in tanti luoghi della nostra terra, casa comune, sempre più disprezzata e prigioniera di logiche di potere e discriminazioni! Oggi, come ieri, ci viene chiesto di uscire da questa catastrofe bellica che Papa Francesco ha definito la terza guerra mondiale a pezzi.
Stiamo celebrando l’Eucaristia e, in questo contesto di preghiera, non possiamo non ricordare ciò che hanno detto i Pontefici del secolo scorso e attuale. Benedetto XV nel 1917, durante il primo conflitto mondiale: la guerra è una “inutile strage”; Pio XII nell’appello dell’agosto 1939: “Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra”. Come dimenticare le parole di S. Giovanni Paolo II: “la guerra è un’avventura senza ritorno”, fino ad arrivare a Benedetto XVI: “Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti sulla terra Giustizia e Pace, Perdono e Vita, Amore!”; Papa Francesco che continua a ripetere: “La guerra è un sacrilegio, smettiamola di alimentarla”. E che dire dell’accorato appello con cui nel 1962 san Giovanni XXIII chiese ai potenti del suo tempo di fermare l’escalation bellica che avrebbe potuto trascinare il mondo nel baratro del conflitto nucleare. Ma non si può dimenticare nemmeno la forza con cui san Paolo VI, intervenendo nel 1965 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, disse: “Mai più la guerra! Mai più la guerra!”.
Ecco perché dobbiamo ammettere che la libertà senza liberazione diventa dittatura, dispotismo. Pericolo presente ai nostri tempi nel momento in cui si vuol far prevalere il pensiero unico che mina seriamente la democrazia.
Per noi cristiani la Parola di Dio è essenziale perché ci aiuta a mettere insieme la libertà con la liberazione: la seconda diventa cammino quotidiano per conquistare la prima.
È S. Paolo che scrivendo ai Galati dice: “Voi fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,15). Per noi la libertà è la vocazione originaria di ogni essere umano. Sempre S. Paolo ci ricorda la libertà come evento: “Cristo ci ha liberati dalla schiavitù della carne” cioè, dall’ istinto della potenza, del dominio, della sopraffazione. E continua dicendo: “Siate dunque saldi, scrive Paolo, e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (5,1).
Tutti siamo coscienti di quanto l’enfasi dell’io generi una serie di fattori negativi che schiavizzano l’uomo. Si innescano relazioni antisociali, si alimentano prepotenza, violenza, emarginazione, tutto a favore dell’individualismo che sempre più spesso si manifesta nelle famiglie, nelle comunità anche ecclesiali, nella società. Noi siamo stati creati per essere come Dio, Uno e Trino, relazione d’amore e non solitudine.
Quando manca il senso della responsabilità significa che c’è crisi profonda della democrazia. Lo stiamo toccando con mano in questo tempo: non c’è partecipazione alla vita sociale; la gente non ha fiducia nella politica; si generano differenze sempre più profonde tra uomini di serie A e uomini di serie B: i rigurgiti razzisti ne sono una prova lampante.
Parlare di libertà e sfuggire le responsabilità è utopia, soprattutto quando, tutto ciò che si fa, lo si realizza per riceverne benefici personali, e non per un servizio a favore dell’umanità intera.
L’insegnamento di Gesù presenta due tipi di potere, quello mondano e quello del vangelo che s’incarna nella storia: “Voi sapete, dice Gesù, che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni, le dominano…, tra voi però non sia così; chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire” (Mc 10,42-45).
Come già evidenziato tutti siamo chiamati a ritornare alunni per imparare, conoscere, fare nostri i contenuti, metterli in atto. Molti la chiamano “emergenza educativa”, oppure “crisi educativa”, meglio ancora, come la definì Benedetto XVI, “sfida educativa”.
Auguro a me stesso, alla Chiesa, a voi tutti, di poter percorrere insieme, nella diversità di ruoli, la strada della pace e della democrazia, per raggiungere quella libertà responsabile attraverso un processo vero e proprio di liberazione. E rimarco ancora con Galimberti: Se i politici non si fanno carico delle istanze di molti per un concetto ristretto di coscienza, allora contraddicono la loro funzione – votata al pubblico – perché la loro non diventa coscienza comune.
L’intercessione di S. Marco ci aiuti affinché come credenti sentiamo la responsabilità del momento presente a favore di ogni uomo che ha bisogno di essere liberato, così come abbiamo sentito nel vangelo di oggi.
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