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Basilica Cattedrale

Matera, 22 aprile 2023

 

Carissimi, questa sera viviamo un momento pasquale, accogliendo la manifestazione della presenza viva di Gesù in mezzo a noi. È il Cristo risorto, nuovo ed eterno Sacerdote, del quale noi tutti, come ci ha ricordato S. Pietro a conclusione della prima lettura, «siamo testimoni e tutti possiamo vedere e udire”. In effetti in questa solenne concelebrazione eucaristica, l’ordinazione presbiterale di Antonello e Stefano ci fa vedere e udire il Cristo risorto e vivo in mezzo a noi, che condivide la nostra umanità e nella nostra carne e attraverso la nostra carne si presenta come pane spezzato da condividere. «Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione divenne altare, vittima e sacerdote» (Prefazio Pasquale V).

Abbiamo sempre bisogno, nonostante la fede che professiamo, di vedere e ascoltare. Non siamo diversi da Pietro, Giovanni, Tommaso: guardando nasce il bisogno di toccare la carne del Risorto ed essere testimoni del «Signore mio e Dio mio». Il mistero dell’incarnazione, del «Verbo che si è fatto carne», continua nel tempo che insieme a lui attraversiamo, camminando, respirando e gustando l’essenza della vita che si proietta verso l’eternità di Dio stesso. A chi ci chiede ragione della nostra fede non possiamo che dire quanto Gesù ha fatto e sta facendo per ognuno di noi.

L’amore non si spiega, si vive. Dio, quindi, non si spiega ma si vive, si respira e si mostra attraverso il nostro agire, operare, attraverso il Figlio, Gesù, e per la potenza dello Spirito Santo. Di conseguenza non ha bisogno di essere dimostrato.

Nella logica dell’amore divino, guardando Gesù appeso alla croce, morto e risorto, ci sentiamo accarezzati da occhi di chi ci ama, nonostante tanti rinnegamenti e tradimenti. È come lo sguardo di chi è innamorato: pieno di luce e di vita, desideroso di stare accanto, di fissarlo negli occhi, di suscitare i brividi dell’amore. Con il salmista si ha la certezza che «Sta alla mia destra perché io non vacilli».

Questo sguardo d’amore stasera è rivolto su di voi, carissimi Antonello e Stefano. Lo stesso nostro sguardo d’amore che noi innalziamo, con rendimento di grazie verso il Signore che vi ha chiamati a seguirlo. Stasera, attraverso la preghiera consacratoria e l’imposizione delle mie mani e dei confratelli sacerdoti, entrerete a far parte dell’unico presbiterio che vi legherà per sempre ad ogni sacerdote perché agisce e opera nel nome di Cristo Signore.

Ma c’è anche lo sguardo commosso e luminoso dei vostri superiori del Seminario Teologico di Basilicata che saluto e ringrazio (il Signore Rettore, il Vice Rettore e i Padri spirituali), delle vostre comunità parrocchiali che vi hanno generato e accompagnato attraverso i vostri parroci, dei vostri genitori e familiari (saluto e benedico) che vi riconoscono da sempre dono di Dio. Al vostro “Eccomi”, si aggiunge anche il loro che vi seguirà durante tutto il vostro ministero.

C’è, in particolare, lo sguardo di mamma Anna che, carissimo Antonello, ti sta seguendo, grazie alla diretta dei canali social di Logos-le ragioni della verità, il web magazine della Diocesi di Matera-Irsina, dal letto del Polo specialistico riabilitativo Don Gnocchi di Tricarico. Proprio ieri mi sono recato a trovarla. Una delle cose che mi ha detto, cosciente di offrire le sue sofferenze, soprattutto la sofferenza di non poter essere fisicamente presente per il tuo sacerdozio, per il tuo e vostro ministero, è stata questa: «è difficile capire il linguaggio di Dio. Chissà cosa mi sta comunicando. Ma sono contenta». Cose che mi ha detto con lo sguardo che solo una mamma che ama può avere: pieno di luce, di affetto, cosciente di continuare a generare sempre questo figlio e consapevole che da oggi tu, per il sacramento che riceverai insieme a Stefano, sarai suo padre e lei tua figlia.

In questa immagine trovo la sintesi della liturgia che stiamo celebrando attraverso l’annuncio e la spiegazione delle Scritture e del pane eucaristico che si spezza. Si rivive la narrazione dei discepoli di Emmaus descritta dall’evangelista Luca. Gesù si accosta ancora, come buon samaritano, e cammina con noi, si prende cura delle nostre sofferenze fisiche e spirituali, stringe le mani degli ammalati e li benedice, fa ardere il cuore, siede a tavola, spezza il pane eucaristico, sparisce dai loro occhi. Lui rimane sempre vivo e presente, da oggi anche attraverso di voi, in quel pezzo di pane e in quel sorso di vino, cibo di vita eterna e bevanda di salvezza.

Non dimenticate mai che, come questi due giovani discepoli, vi capiterà di rimanere delusi, non capiti. Anche voi, come i discepoli di Emmaus, come ognuno di noi, avrete momenti in cui la tristezza e lo sconforto prenderanno il posto della speranza: «Noi speravamo… ma è ormai il terzo giorno dacché sono accadute queste cose…». Non scoraggiatevi! La forza del pane dell’Eucaristia che attraverso le vostre mani si farà cibo per i fedeli, vi darà il fuoco che tornerà ad ardere nei vostri cuori come prima e più di prima.

Ricordatevi che i nostri bravi discepoli di Emmaus, ritrovando forza, vigore, amore per il ministero che Gesù ha affidato loro, riprendono il cammino verso Gerusalemme, là dove si trova la Chiesa riunita in preghiera con Maria. Lontano dalla Chiesa, agendo da battitori liberi o scegliendo come compagni di viaggio chi vive la stessa condizione di incertezza, ci si allontana sempre di più dai confratelli, dall’agire comune. Si cade in una forma di depressione spirituale e morale, per cui ogni scelta, per quanto bene si possa fare, è contraria allo spirito del presbiterio nel quale state per entrare: significativo sarà il gesto dell’abbraccio che riceverete da ogni singolo sacerdote subito dopo l’ordinazione.

In questo tempo storico la Chiesa è chiamata a fare discernimento perché la violenza, la minaccia delle armi, le sfide etiche e morali, i cambiamenti climatici imperversano. Proprio oggi si celebra la 53a Giornata Mondiale della Terra. Anche a noi viene detto: “Fai la tua parte per fermare i cambiamenti climatici, lo scioglimento dei ghiacciai, la siccità, lo stress idrico, l’innalzamento del livello e riscaldamento del mare, il rispetto e l’amore per la nostra terra, casa comune. Davanti a tutte queste sfide è facile rimanere storditi e disorientati. È il tempo in cui non bisogna allontanarsi da Gerusalemme ma rimanere uniti, riscoprendo il silenzio, la preghiera, l’ascolto della Parola, il senso di responsabilità, il conforto della Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, alla quale siamo stati affidati ai piedi della Croce. Gesù è presente e vivo nella sua Chiesa, non in quella che pensiamo di edificare secondo convinzioni personali svuotate della voce dello Spirito Santo.

Carissimi, Stefano e Antonello, non lasciatevi travolgere e affogare dal fare, dai problemi che ogni giorno vi troverete a dover affrontare. Ripeto: la Chiesa è di Gesù Cristo e non nostra. Nostro e vostro compito sarà sempre quello di servirla sapendo di essere servi inutili e che alla fine diremo: «Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». Solo così saremo capaci di vincere la tristezza e lo sconforto, liberi da ogni forma di vittimismo, espressione di insoddisfazione.

È interessante notare che Gesù si accosta ai due di Emmaus, cammina con loro e li ascolta. Non traspare dalla descrizione nessun tipo di consolazione da parte di Gesù, anzi non toglie loro la tristezza che si portano dentro. Si mette in ascolto. Atteggiamento tipico di chi ama veramente e seriamente. Dall’ascolto si condivide il dramma che ognuno si porta dentro. Spesso sono drammi fermi al venerdì santo: è difficile riconoscere la presenza del Cristo risorto. Un momento di dolore, di sofferenza, di delusione, di tradimento che sconvolge la vita di chiunque facendolo camminare a testa bassa. Questa è la forma di carità più grande che ci sia: silenzio, tempo, ascolto, condivisione del dolore attraverso una presenza discreta ma feconda. A questo siete chiamati: preti eucaristici, preti dell’ascolto, preti del silenzio, preti che si fanno carico delle sofferenze di ogni uomo, piangendo con chi piange e ridendo con chi ride.

Come Gesù, noi preti siamo chiamati accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito. Nostro compito è accompagnarlo e sostenerlo nel tratto di vita difficile da affrontare senza alcuna gratificazione: il Cristo che vive in noi sarà luce e consolazione. È esattamente il percorso fatto da Gesù: da Dio, abbandona la sua eternità, il suo essere Dio, diventando uomo. E questo solo per amore, perché la straordinaria forza dell’amore è capace di partorire vita sempre, sia nelle doglie del parto sia nel sacrificio continuo della crescita dell’amato.

Prego per voi, carissimi Antonello e Stefano, ma anche per tutti noi, affinché rimanendo uniti a Cristo, Maestro e Signore, possiamo sentirci non impiegati del sacro, più o meno a ore, non professionisti di cerimonie religiose dove l’esteriorità prende il sopravvento sul mistero che si celebra, ma contemplativi del Crocifisso, vero altare dell’Eucaristia, per diventare cibo, nutrimento dei tanti viandanti che attraversano le strade della nostra storia.

Maria, la nostra Madonna della Bruna, donna che mette in cammino, ci sostenga in questo nostro andare, raggiungere la montagna, bussare e condividere ogni tipo di sofferenza.

Così sia.