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Carissimi,

è un giorno di luce quello che stiamo celebrando. È il Natale del Signore. Riuniti, siamo invitati ad aprire gli occhi e contemplare questa grande luce, Gesù, per uscire dalle tenebre del momento presente e adorare la vita divina che ha assunto la nostra umanità.

Abbiamo bisogno di luce che illumini la mente, capace di riscaldare il cuore per contemplare, sull’esempio di Maria e Giuseppe, quel bimbo che, avvolto in povere fasce e deposto in una mangiatoia, irradia la luce riempiendo i vuoti, sanando le ferite, curando le malattie, sostenendoci negli abissi del dolore.

Siamo qui per guardare, contemplare, perché no, commuoverci, di fronte al mistero della vita che in Gesù Bambino si manifesta, avendo avuto inizio in una cellula microscopica e apparentemente insignificante. Lì c’è tutta la vita, il mistero che si svela e che ci proietta verso l’eternità.

Da questa esperienza unica e irripetibile, come è ogni vita, scaturisce la gioia che si moltiplica e che dà senso al vivere tra gli uomini che si cercano per comunicarsi la forza della vita, arricchendosi con la consapevolezza di essere preziosi. Ricchezza che ha colto innanzitutto Maria nel sentire formarsi e crescere la vita divina nel suo seno di carne. Ricchezza che ha contemplato Giuseppe nei lunghi silenzi e nei sonni agitati.

Che bella la vita che nasce! Che gioia contemplarla nei vagiti di un bimbo, nei suoi pianti, nei suoi sorrisi, nei suoi movimenti rapidi e allegri! Che tristezza ogni volta che si ripete quel grido soffocato e strappato con violenza dal grembo di madre!

In questo giorno del Natale di Gesù avvertiamo la letizia che diventa allegrezza, capace di contagiarci tutti come virus dell’amore che circola velocemente. Ne abbiamo bisogno in questo momento mentre una nuova ondata di pandemia avanza in modo impressionante.

Più che mai ora è necessario essere più responsabili per non vanificare gli sforzi e i sacrifici fatti in questi anni. Atteggiamenti di ostentata superficialità rifuggono anche dai consigli della Chiesa, gridando a diabolici complotti internazionali.

Al tempo della nascita di Gesù la sua venuta nel mondo passò in sordina. Nessuno ne parlava, tutti erano interessati a ben altre cose. In particolare era stato indetto il censimento e anche Maria e Giuseppe erano in viaggio per farsi censire.

Proviamo a immaginare i discorsi che si facevano lungo la via, nei luoghi di ritrovo: chi era d’accordo con Cesare Augusto, chi lo contestava, chi vedeva nel suo obbligo un abuso che limitava la libertà personale e collettiva, chi avvertiva un regime dittatoriale. E’ esattamente quanto stiamo vivendo in questo tempo segnato dalla pandemia. È impossibile non parlarne, in tutti i luoghi, al cellulare o attraverso le mail. Lo si fa a volte con cognizione di causa, a volte a sproposito, condizionati dal caos mediatico delle informazioni.

In questo clima si celebra il Natale del Signore. Tra addobbi che richiamano la tradizione cristiana e altri che si sono aggiunti nel tempo senza avere alcuna attinenza con la nascita di Gesù. Ci sono tante luci che illuminano le nostre case e le nostre strade, musiche che le animano, tutti parliamo del Natale. Mi chiedo: chi sono coloro che parlano della venuta di Gesù tra noi e sentono di fare festa per lui, con lui?

Mi piace leggervi questa storia.

“C’era un bell’albero alto, illuminato, vestito di ogni genere di decorazione tonda, filante, con tante stelle e sotto tanti pacchi colorati… Ma non eri in quell’albero… o forse eri solo un ricordo.

C’era una piazza con una lunga fila di piccoli chioschi con doni, candele, giochi, bevande calde, dolci e gente che rideva e brindava… Ma non eri in quella piazza… o forse solo un’eco lontana.

C’era in una casa una lunga tavolata imbandita di ogni genere di cibi, bevande e dolci, con piatti e bicchieri preziosi, e attorno musica e canti… Ma non eri in quella tavolata… se non forse in disparte.

Vidi anche una chiesa tutta solennemente preparata dove si svolgeva una bella liturgia fatta di canti, preghiere, e alla fine auguri e abbracci…Ma non eri in quella chiesa… o forse troppo nascosto.

… poi dentro una stanza d’ospedale illuminata da un freddo neon, piena di monitor, tubi e macchinari rumorosi, una mano con un guanto di lattice ha stretto per un attimo quella debole di un anziano che disteso su un letto faticava a respirare, senza poter dire nulla con la maschera che gli nascondeva il volto.. E tu eri lì, tutto luminoso e chiaro in quel gesto umano e divino…”

Gesù nasce dove i gesti d’amore si moltiplicano. Lui si è fatto vicino per far sentire il vero gusto della vita, il profumo che inebria il cuore e la mente e ogni luogo abitato da esseri viventi, esattamente come il profumo del pane.

Natale significa “tornare al gusto del vero amore”, fatto di vicinanza, contatto, condivisione del dolore e della gioia, servizio gratuito e disinteressato, dello stare insieme attorno alla stessa mensa e gustare lo stesso pane.

Quel pane che ci rimanda al “pane eucaristico”. Natale significa, allora, “ritornare al gusto del pane”, partecipando all’Eucaristia, la S. Messa, dove la Parola fattasi carne, nel pane e nel vino, è nutrimento di vita eterna. Gesù che si spezza per noi, noi che lo riceviamo che ci spezziamo per condividere oltre gli affetti familiari la stessa festa di Gesù con chi si trova nel bisogno, nella necessità, nel buio, con chi si sente fallito e non ha voglia di vivere.

“Ritornare al gusto del pane” per fasciare ferite e consolare, piangere e asciugare lacrime, gioire e fare festa, perché in tutti rinasca la speranza. E’ esattamente quanto Bonoheffer diceva: «Dio non si vergogna della piccolezza dell’uomo. Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è perduto, ciò che è insignificante, reietto, ciò che è debole, disprezzato. Quando gli uomini dicono: “perduto”, egli dice: “trovato”; quando dicono: “condannato”, egli dice “salvato”; quando gli uomini dicono: “no!”, egli dice “sì!”. Quando gli uomini distolgono il loro sguardo con indifferenza o con alterigia, ecco il suo sguardo ardente di amore come non mai… Quando giungiamo, nella nostra vita, al punto di vergognarci dinanzi a noi stessi e dinanzi a Dio; quando arriviamo a pensare che è Dio stesso a vergognarsi di noi; quando sentiamo Dio lontano come non mai nella nostra vita, ebbene, proprio allora Dio ci è vicino come non mai. Allora vuole irrompere nella nostra vita, allora ci fa percepire in modo tangibile il suo farsi vicino, così che possiamo comprendere il miracolo del suo amore, della sua prossimità, della sua grazia».

“Ritornare al gusto del pane” significa prendere coscienza che tutte queste situazioni esistono sempre, non solo il giorno di Natale reclamizzato per vendere un prodotto e farci sentire più buoni. Quanta strumentalizzazione, quanta pubblicità, quanta falsità!

“Ritornare al gusto del pane” ci induce a vincere la tentazione di reclamizzare anche la povertà o le opere di carità. Ci orienta, ancora, a diventare contagiosi nel bene che saremo capaci di seminare nel silenzio, nella gratuità, vincendo il virus più pericoloso del Covid19 e di tutte le sue varianti: l’indifferenza.

“Ritornare al gusto del pane”, per essere anche noi come Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). A lei ci affidiamo perché ci aiuti a saper condividere la gioia della vita, l’amore per la vita, il desiderio di vivere per la vita.

Torniamo al gusto del pane e accendiamo la luce degli occhi, ridiamo bellezza al nostro sorriso, alziamo la testa guardando lontano con fiducia e speranza, camminiamo per le strade dell’umanità, risollevando corpi ripiegati dalle fatiche e delusioni, dalle ingiustizie e prepotenze. Sarà Natale tutto l’anno perché Dio viene ogni giorno nella vita di ognuno di noi e attraverso di noi nella vita dei nostri fratelli.

Santo Natale a tutti.

 

✠ Don Pino