Carissimi fratelli e sorelle qui presenti e voi tutti che seguite da casa grazie a TRM,
anche quest’anno ci ritroviamo a celebrare il S. Natale di Gesù nella solenne liturgia della notte. Qualcuno potrebbe dire: ma sono le otto di sera, non è la veglia della notte!
Il tempo che viviamo (ormai quasi un anno dall’inizio della pandemia) ci impone di riflettere per capire meglio il senso, il significato che diamo al tempo. Noi, abituati a sovvertire il giorno con la notte, padroni effimeri del tempo che sfugge e che, ormai, ci fa paura.
Cosa cambia se celebriamo il Natale alle 20.00 o alle 23.00? Il problema non è l’ora ma la qualità del tempo da vivere, da celebrare. Nel libro del Qoelet troviamo scritto: Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo” (Qo 3,1). Questo è il tempo in cui il Signore, che ci meraviglia sempre, ci invita a percorrere impreviste salite che ci aprono verso orizzonti molto vasti. Soprattutto in questo momento in cui le restrizioni sembrano chiudere ogni possibilità di festa.
L’evangelista Luca introduce il Natale di Gesù con queste parole: “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto”. Dunque ci troviamo in un luogo ben preciso e in un tempo che si sta compiendo: al termine dei nove mesi di gestazione, Maria è pronta per il parto. Gesù nasce in un tempo e in un luogo ben preciso che segnerà per sempre la storia della salvezza e dell’umanità.
Tuttavia noi non celebriamo il racconto di un avvenimento passato ma viviamo la venuta di Dio, che si fa carne, oggi, nel tempo della pandemia. Ciò che è importante non è l’orario della celebrazione ma questo tempo di sofferenza e di paura nel quale Gesù viene. Gesù viene per illuminare la fragilità di questo momento, la povertà, il bisogno di speranza, di certezze, ma soprattutto per incoraggiare alla responsabilità di un impegno concreto.
Il luogo dove si trovavano Maria e Giuseppe è quello in cui viviamo noi oggi, es attamente quello che ognuno di noi avrebbe voluto evitare. Mai come in questo tempo ci manca il “luogo” delle relazioni, fatto di incontri, stare insieme, condividere gioie e dolori, ma dove si sperimenta anche, a volte, noia e tristezza, solitudini, egoismi, chiusure, individualismi. È in questo luogo così familiare che Gesù viene ad abitare per stare con noi.
Un grande filosofo, Eraclito, parlando del tempo, diceva: “Il tempo è un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno”. Ciò che noi contempliamo non è un semplice bambino, ma Dio stesso che si è fatto Bambino per farci comprendere che è Signore del tempo, che va oltre il kronos che indica lo scorrere ineluttabile delle ore. Spesso si diventa schiavi di esso, di quel tempo che non ci basta per incontrare gli altri e a volte nemmeno noi stessi: schiavi del tempo che scorre.
Noi, nell’incarnazione di Dio, siamo chiamati ad entrare nel suo kairòs, cioè a cogliere la buona occasione, il momento propizio, il tempo opportuno: questo è il Tempo di Dio.
Il kronos è il tempo che ci scivola addosso senza più sorprenderci. La pandemia sta dicendo a noi, abituati a sentirci signori della storia, quindi del tempo, che tutto improvvisamente e sorprendentemente può fermarsi: le cose più semplici, i gesti di affetto e anche quella fede fatta di tradizioni e preghiere abitudinarie che non vivificano le coscienze.
Il kairòs è il tempo nuovo che si apre davanti a noi: Dio che si fa carne oggi per riempire i vuoti e le solitudini e farci gustare, già in questo tempo, quello che verrà.
Il Natale di Gesù ci aiuta a percepire il tempo in modo nuovo. Non è importante la quantità delle ore, delle giornate, degli anni che passano, cadenzati dallo stesso ritmo e dall’abitudine di fare cose senza assaporarle, ma è importante il tempo che ci proietta verso l’oltre, verso l’Altro che è Dio.
Stiamo sperimentando il valore del tempo: stare bene insieme, ricercando il bene dell’altro, curando le ferite della convivenza umana, mettendo fine a liti e divisioni, promuovendo e lavorando per il bene di tutti. Chi accoglie il Verbo della Vita è capace di dare non qualcosa ma il meglio di quanto ha ricevuto.
È la forza trainante dell’amore che fa ritornare bello il mondo, la terra e i suoi frutti, seminando nei solchi tracciati dal Dio Bambino la pace, la giustizia e sotterrando le armi che versano sangue innocente e procurano morte. È la potenza dell’amore che sconfigge ogni forma di virus.
Eppure mai come in questo tempo il cuore si sta dilatando nell’opera continua e assidua del mondo sanitario, nonostante i limiti e spesso le inadeguate strutture, del volontariato, del variegato mondo della Caritas in sinergia con le istituzioni civili locali e i mass media. Questo tempo sta permettendo a tutti, ma soprattutto ai figli di Dio e della Chiesa, di cogliere che il Vangelo è Carità nel suo senso più profondo: Dio è Amore, cioè Carità.
La Carità cristiana si contempla nel presepe, nella gratuità dell’amore di Dio che si è fatto come noi, affinché noi diventiamo ricchi come lui ma non di doni che ci scambiamo tra familiari e amici, posti ai piedi del presepe o dell’albero di Natale.
La Carità cristiana va oltre il provvedere immediato, così come pure giustamente si sta facendo, con pacchi spesa e altri beni di prima necessità. Questo è solo un aspetto della Carità. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo scritto: «La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio… ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione» (CCC, 1822). “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 16).
Solo se saremo capaci di rimanere con lo sguardo fisso sul Presepe contempleremo la Carità nella sua accezione più profonda, cioè Amore. L’amore è un sentimento naturale, tutti siamo fatti per amare, ma la carità è soprannaturale perché viene da Dio: è l’amore di Dio in noi. Amare allo stesso modo in cui ama Dio implica aiuto concreto agli altri perché crescano, escano dalle proprie solitudini, dalle sofferenze, dalle avversità della vita, dalle ingiustizie subite, dai vuoti che circondano, perché combattano le loro giuste battaglie.
La veglia di Natale 2020 non è diversa perché abbiamo anticipato l’orario. È diversa nella misura in cui saremo capaci di trasformare il kronos in kairòs, cioè andare all’essenza del mistero che celebriamo: Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Negli anni questo mistero, senza rendercene conto, è stato impoverito attraverso manifestazioni esteriori che nulla hanno a che fare con la nascita di Gesù.
Questa veglia, come per i pastori, ci mette seriamente in cammino nel buio della notte, tra paure e speranze, dolori e desideri di vita normale, per fermarci davanti alla mangiatoia, segno di amore. Maria e Giuseppe, nonostante difficoltà e ristrettezze, lontani da tutti, si prendono cura del Bambino dandogli dignità. Nella mangiatoia cogliamo il motivo per cui Dio si è fatto come noi: ridare la dignità all’uomo, la luce agli smarriti di cuore, fasciare le ferite, portare pace negli animi in guerra.
Michel Quoist scriveva: ”Cristo si nasconde molto meno di quanto pensiamo: Sono i nostri occhi che non sanno vederlo!” Noi tutti siamo chiamati a saper decifrare e leggere questo tempo così sofferto che sta mettendo tutto in discussione. In tutti questi anni siamo stati capaci di trasformare il vero significato del Natale: invece di contemplare la festa della povertà di Dio, di come si è completamente svuotato della sua divinità, abbiamo costruito una festa che deve mostrare il volto della ricchezza e della corsa ai regali.
Auguro a tutti, fratelli e sorelle, che ognuno intensifichi la relazione con Dio: una relazione più umana, incarnata nella nostra storia. Spogliamoci dalla presunzione di essere padroni della vita e della storia e ritorniamo ad essere uomini, servendo la stessa carne che Dio ha assunto, per rivestirci di Lui.
Santo Natale a tutti.
✠ Don Pino
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