“Questo Congresso Eucaristico è un segno per tutte le Chiese in Italia, che affrontano il Cammino sinodale”
Sento tanta gioia di essere qui. Questo Congresso Eucaristico è un segno per tutte le Chiese in Italia, che affrontano il Cammino sinodale. Cammino, perché la Chiesa segue Gesù e non vive per sé stessa. Gesù va “per tutte le città e i villaggi” e ci manda “fino ai confini della terra”. Lui stesso non ha un posto dove posare il capo perché lo posa nel cuore di ogni persona che incontra, diventa ospite del nostro tetto, del nostro cuore a volte così simile a delle grotte rese bellissime – come le vostre – dalla sua presenza e dalla bellezza che sempre Cristo rivela e suscita. Se c’è Cristo al centro, camminiamo e troveremo i modi per farlo insieme. La prima sinodalità è con Lui! Come l’Ostensorio davanti al quale adoriamo – e non dimentichiamo che chi adora Gesù non adora gli idoli ed è libero dai padroni del mondo – è tradizionalmente un sole dal quale partono tanti raggi, così diventiamo noi luminosi, perché illuminati dalla Sua luce, specchio di questa perché pieni del Suo amore. E poi penso anche che, al contrario, questo Corpo raccoglie e rende uniti quei tanti raggi che siamo noi: Gesù ci attrae a sé, ci raccoglie e ci permette così di capire che non siamo isolati, che non possiamo vivere da isole, ma “raccolti diventiamo una cosa sola, come il grano sparso sui colli”. Più mettiamo al centro Gesù, nella nostra vita personale e nella vita della nostra casa comune, più saremo una cosa sola tra di noi. La Chiesa non può restare ferma. Non siamo chiamati per restare, ma per andare! E quando restiamo – magari con dotte discussioni e raffinate interpretazioni – finiamo per vivere per noi stessi, che è l’esatto contrario di quello che vuole Gesù. Questa nostra madre, che è la Chiesa, cui siamo affidati e che ci è affidata, ha molti figli, moltissimi, seguendo Gesù vuole raggiungerli tutti. È una madre e vuole proteggerli dalla solitudine, dalla povertà, dall’insignificanza, dalla violenza, dallo sfruttamento, qualunque esso sia. Certo, è nostra Madre e noi portiamo il nostro peccato e il nostro limite. Ma è la nostra. Lei è casta, noi no. Lei è tutta santa, noi no. Amiamola, però, come possiamo, più che possiamo, perché ci porta Gesù, perdono per i peccatori, guarigione per i malati.
Siamo figli e fratelli tra noi e lo siamo se iniziamo a esserlo con quelli più piccoli. Ci chiedono qualcosa? Sì! Anzitutto amore! Se non amiamo tutto diventa impossibile, pesante, come nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Se amiamo, forti dell’amore di Cristo, dare da mangiare ci fa essere sazi! Dare da bere ci fa scoprire che abbiamo una sorgente nel cuore, vestire un nudo ci fa indossare l’abito del cielo che è quello dell’amore. Noi non possiamo restare fermi a spolverare il museo di antichità preziose ma senza vita. L’Eucaristia è pane vivo e l’altare ci insegna ad apparecchiare la carità. Se condividiamo il pane del cielo, come non condividiamo quello della terra, ricordava il Cardinale Lercaro, attento alla santità della celebrazione ma anche della nostra vita concreta. Seguiamo Gesù e Lui mostrerà una folla di affamati e continuerà a invitarci: date voi stessi da mangiare! Gesù è pane perché chi lo mangia sperimenti la sua compagnia, la vicinanza di Dio che si fa nutrimento dell’anima e del corpo. È Corpo, presenza. Non pensare a te se avanza qualcosa; non interpretare, non discutere; dì invece qualche buona parola. Fatti carico tu e non da solo. Voi date da mangiare. Noi diamo da mangiare. Ecco dove si capisce la Chiesa sinodale: mettendo al centro Gesù e dando da mangiare, nutrendoci di Lui e nutrendo del suo amore, ricevendo e donando. Se viviamo questo e se cambiamo per vivere questo, troveremo le risposte necessarie per una Chiesa madre di tutti.
“Torniamo al gusto del pane”. Nella pandemia ne siamo stati privati. Riscopriamolo e viviamolo in maniera più familiare! La Chiesa è sempre una famiglia e l’Eucaristia sono i fratelli e le sorelle che diventano comunione perché uniti da Gesù, suoi commensali. Oggi viviamo una guerra in Europa che brucia i campi, che toglie il pane, creando fame.
Fame nel senso stretto e fame di vita, di luce, di Speranza, di cose buone, di futuro. Torniamo al sapore del pane e di questo Pane. È personale, ma ci apre sempre al prossimo. È intimo, scende nel profondo del nostro io ma anche così comunitario, sacro che rende sacra la vita di tutti i giorni. È pane del cielo e della terra, ricevuto e offerto. Entriamo nell’Eucaristia per nutrici del pane della sua parola e del suo corpo – sono uniti il Corpus Domini e il Verbum Domini – per uscire ad amare il prossimo e trasformare l’amore ricevuto, a cogliere questo dono perché, come ha detto saggiamente Mons. Caiazzo, “perdendo di vista Dio, qualche volta con la pretesa di sostituirlo, stiamo perdendo di vista la nostra identità di uomini”. Chi si nutre di Cristo, non si estranea, ma entra nella vita. Chi si nutre di Cristo, trova Lui, non un’interpretazione che ci lascia soli o una regola o un ente senza volto, ma una presenza, un volto nel quale riconoscere il nostro perché volto di amore, Corpo che ci riempie di amore per non avere paura di portarlo nelle vicende della vita. Il servizio al povero è eucaristico e dall’Eucaristia trae nutrimento e all’Eucaristia porta le tante sofferenze e necessità. Il corpo e sangue di Cristo, il pane spezzato e vino versato hanno un sapore di amore pieno, di famiglia e di dono. Come si usava qui, dove icapifamiglia prendevano quel pane e lo spezzavano e lo offrivano ai diversi componenti, avvenga anche nelle famiglie delle nostre comunità. E il pane genera famiglia e rappresenta la famiglia allo stesso tempo. È pane della sua famiglia e della folla che rende, come abbiamo ascoltato, famiglia, iniziando dal pane che ci sembra poco, ma se vogliamo nutrirà noi e il prossimo. Così è: pane di condivisione, di solidarietà verso tutti, a iniziare sempre da chi ha più fame, da chi ha bisogno. L’Eucaristia genera e rigenera la famiglia di Dio. Non siamo estranei che condividono qualcosa: siamo dei figli che si nutrono dell’unico pane di vita, generata da lui, ministri tutti del Vangelo, perché ognuno, così com’è, si mette al servizio per aiutare e costruire questa casa in cui gustiamo il sapore del pane. Casa, non fabbrica. Casa, non supermercato. Non viviamo nella casa del Signore come fossimo degli estranei o dei client! Casa che richiede l’amore di tutti, cioè il servizio, cioè il ministero, fosse solo esserci. Il protagonismo non è “fare” ma anzitutto essere, amare. Il mondo coltiva la divisione, l’odio, il pregiudizio, quello raffinato e quello tragicamente violento dell’odio etnico, quello della parola e quello delle armi nucleari. Questo Pane ci aiuta a dare sapore alla vita e a lavorare nel grande campo di questo nostro mondo perché le armi siano trasformate in falci, per farci costruire un mondo finalmente di “Fratelli tutti”. Qui inizia! Da qui lo portiamo con noi, ovunque. “Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.
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