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La missione, cammino sinodale e itinerario pasquale – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

Am 7,12-15   Sal 84   Ef 1,3-14  

O Padre, che chiami tutti gli uomini

a essere tuoi figli in Cristo,

concedi alla tua Chiesa

di confidare solo nella forza dello Spirito

per testimoniare a tutti le ricchezze della tua grazia.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Amos Am 7,12-15

Va’, profetizza al mio popolo.

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».

Amos rispose ad Amasìa e disse:

«Non ero profeta né figlio di profeta;

ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.

Il Signore mi prese,

mi chiamò mentre seguivo il gregge.

Il Signore mi disse:

Va’, profetizza al mio popolo Israele».

La vocazione di Amos e la missione di ristabilire la giustizia

Il profeta è tale perché partecipa integralmente al dramma di Dio che si vede rifiutato dal popolo generato da Lui nel momento in cui fu salvato dalla schiavitù egiziana. Il brano narrativo mette in evidenza il fatto che il profeta viene rigettato perché non corrisponde alle attese del re, il quale vede in Amos un nemico da eliminare. Amasia parla in nome del re. Egli è il rappresentante di quella classe dirigente corrotta che ha pervertito il popolo inducendolo al peccato. Le parole del sacerdote ben esprimono il dramma del pervertimento del cuore dell’uomo che si sostituisce a Dio. Il santuario non è più di Dio ma del re. A Dio è riservato quello di Gerusalemme, che però appartiene ad un’altra giurisdizione essendo regno di Giuda. Amos appartiene a quel regno ed è lì che deve andare a profetizzare. Amasia riconosce in Amos il carisma della profezia e sa che la sua parola può determinare le sorti del re. C’è una velata minaccia: allontanati, prima che sia troppo tardi e il re ti uccida, mettendo a tacere quella parola scomoda perché di dissenso. Il profeta coglie l’occasione per ricondurre a Dio la sua missione. Non è un profeta di professione che utilizza le sue capacità per un suo tornaconto personale o a vantaggio del regno dal quale proviene. Non è dunque un emissario del re avversario che viene a maledire il concorrente. Dio lo ha scelto e chiamato da un contesto totalmente differente da quello di corte per affermare che la sua missione non si ispira a logiche di partito ma semplicemente alla volontà di Dio. Lui è il vero re che non si vendica del tradimento di quelli che lui ha posto a capo del suo popolo ma li avverte delle conseguenze del loro peccato sperando nella conversione e nel ristabilimento della giustizia.

Salmo responsoriale Sal 84

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:

egli annuncia la pace

per il suo popolo, per i suoi fedeli.

Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,

perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,

giustizia e pace si baceranno.

Verità germoglierà dalla terra

e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene

e la nostra terra darà il suo frutto;

giustizia camminerà davanti a lui:

i suoi passi tracceranno il cammino.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 1,3-14

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo.

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo

per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,

predestinandoci a essere per lui figli adottivi

mediante Gesù Cristo,

secondo il disegno d’amore della sua volontà,

a lode dello splendore della sua grazia,

di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

In lui, mediante il suo sangue,

abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,

secondo la ricchezza della sua grazia.

Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi

con ogni sapienza e intelligenza,

facendoci conoscere il mistero della sua volontà,

secondo la benevolenza che in lui si era proposto

per il governo della pienezza dei tempi:

ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,

quelle nei cieli e quelle sulla terra.

In lui siamo stati fatti anche eredi,

predestinati – secondo il progetto di colui

che tutto opera secondo la sua volontà –

a essere lode della sua gloria,

noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.

In lui anche voi,

dopo avere ascoltato la parola della verità,

il Vangelo della vostra salvezza,

e avere in esso creduto,

avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,

il quale è caparra della nostra eredità,

in attesa della completa redenzione

di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Predestinati

Paolo apre la sua lettera indirizzata alle comunità di Efeso benedicendo Dio. La benedizione è un inno di lode e una confessione di fede. Oggetto della lode è la benevolenza di Dio per la quale ha deciso di creare l’uomo amando in lui ciò che ama del Figlio suo Gesù. L’atto creativo è continuo perché, mediante lo Spirito Santo, Dio educa l’uomo conformandolo a Cristo. Egli è l’archetipo dell’uomo pienamente realizzato perché ama donando la sua vita per l’altro da sé. In tal modo, la persona in cui la grazia ha la libertà di operare in lei diventa manifestazione dell’amore di Dio e canale di comunicazione della pace e della gioia.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 6,7-13

Prese a mandarli.

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.

E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

LECTIO

La pericope evangelica inaugura il terzo atto (6, 6b-8,26) dei sette di cui è composta la trama narrativa del vangelo di Marco il quale descrive la missione di Gesù in due tempi; nel primo tempo (1,14-8,26) il Maestro opera nell’area intorno al lago di Tiberiade, mentre nel secondo (8,27-10,52) il cammino di Gesù punta su Gerusalemme, dove si consuma il dramma della Pasqua che è culmine e cuore del vangelo (11,1-16,8).

Dopo che nel secondo atto è stata introdotta l’identità dei discepoli-apostoli e la loro missione, il terzo inizia con la prima esperienza missionaria che fanno i Dodici. Marco propone un «racconto a incastro» (6,7-34): tra l’invio dei Dodici (vv. 7-13) e il loro ritorno (vv. 30-34) è narrata la fine del Battista e le circostanze che hanno accompagnato la sua morte (vv. 14-29). In tal modo martirio del Battista è la chiave di lettura della missione evangelizzatrice la quale non può prescindere dalla logica della «consegna» o dono di sé, che sarà il cuore dell’insegnamento riservato agli apostoli durante il cammino verso Gerusalemme. Si deve notare il fatto che Marco fa coincidere l’inizio della missione di Gesù con l’arresto di Giovanni Battista e l’avvio di quella degli apostoli con il martirio del profeta. I discepoli, come Gesù, nell’atto di rispondere alla vocazione loro rivolta devono mettere in conto la «necessità» di «perdere la vita» per il Vangelo. Infatti, nella missione, non si collezionano successi ma nel cammino si incontrano resistenze che fungono da vere e proprie tentazioni del Maligno miranti a scandalizzare, ovvero a far deviare dal cammino tracciato da Gesù. L’unico modo per vincere le tentazioni è seguire l’insegnamento e l’esempio di Gesù. La missione ha successo non per i meriti degli apostoli ma nella misura in cui rimangono con lui, partecipano nella loro carne alla passione di Cristo, nella prova custodiscono la sua parola e mettono in pratica.

I primi tre atti si aprono tutti con racconti di vocazione (1,16-20.2,13-14; 3,13-19; 6,7s.). Raffrontando le pericopi iniziali del secondo e terzo atto si notano dei particolari interessanti che danno il senso del cammino progressivo che compie Gesù missionario con i suoi apostoli. I parallelismi appaiono evidenti: Gesù chiama a sé i suoi («chiamò a sé»: 3,14;6,7), affida loro un preciso mandato («inviò» 3,14;6,7), che consiste nella proclamazione del vangelo («annunciate»: 3,14;6,7) e nell’azione esorcistica di cacciare demoni e spiriti impuri («cacciare»: 3,15;6,7). Gesù condivide con i discepoli «l’autorità» o «potere» (3,14; 6,13).

In 3,7-8 l’evangelista descrive il movimento della folla che va verso Gesù. È gente che proviene da ogni parte, anche dai territori pagani, attratta dalla fama di Gesù. All’iniziale successo fanno da contraltare le resistenze opposte dalle autorità religiose, dai familiari e conoscenti. I discepoli sono gradualmente introdotti nel mistero di Dio che si confronta e si scontra con quello dell’iniquità. I discepoli sono chiamati per «stare con» Gesù e poi essere inviati in missione. Il secondo atto sviluppa maggiormente il tema della sequela come condivisione con Gesù, mentre il terzo pone l’accento sulla missione. Infatti, dal movimento della gente che va verso di lui per incontrarlo, toccarlo o farsi toccare, si passa a quello nel quale Gesù va verso la gente, non disdegnando di recarsi nei luoghi dei pagani per farsi incontrare da loro ed evangelizzarli. Non si allargano solo i confini geografici della missione ma anche la cerchia di coloro che vi collaborano e l’ambito sociale e religioso che da essa viene interessato. Infatti, dal racconto della missione dei Dodici la trama narrativa si snoda in tre movimenti: nel primo (6,35-56) l’ambiente è quello giudaico con al centro il primo racconto della moltiplicazione dei pani (6,35-44) e la traversata (6, 45-52), il secondo movimento (7, 1-37) segna il passaggio dal contesto giudaico a quello pagano attraverso una lunga polemica con i farisei in merito alle norme di purità (7, 1-23) per culminare con l’incontro con due figure pagane, la donna siro-fenicia e un uomo sordo e muto (7, 24-37), il terzo movimento, parallelo al primo è ambientato in terra pagana ed è centrato sulla seconda moltiplicazione dei pani (8, 1-9) a cui segue la traversata (8, 10-12) e scene di guarigioni (8, 22-26).

La pericope è introdotta dal v. 7 che riassume la vocazione e la missione dei Dodici. Il soggetto è Gesù che chiama a sé, invia e dà l’autorità. I Dodici sono in una posizione subordinata in quanto essi seguono il loro Maestro e lo imitano. Il loro movimento è implicito ed è l’effetto dell’azione di Gesù. I Dodici nella loro missione sono sempre i convocati, gli inviati (apostoli), gli «autorizzati». Tutto avviene nella linea della continuità tra l’azione missionaria di Gesù e quella degli apostoli, e mai l’una senza l’altra. Una è l’opera del Padre, espressa in modo programmatico in 1, 14-15.

L’autorità magisteriale di Gesù si palesa con l’atteggiamento del «ordinare». Nella misura in cui gli apostoli si comportano nella stessa maniera in cui reagiscono gli spiriti impuri e le forze della natura davanti alla sua parola e confidano nella sua potenza, essi ne diventano i servi-messaggeri innanzitutto con il loro stile di vita. Il loro modo di presentarsi rivela da una parte la totale dipendenza da Gesù e, dall’altra, l’essere trasparenza di Lui. Infatti, la sobrietà e l’essenzialità dell’equipaggiamento non è segno di un pauperismo di facciata o ideologica ma il segno di un completo affidamento a Colui al quale si consegna la propria vita perché essa sia eco della Parola, catechesi itinerante della presenza salvifica del Regno Dio. I discepoli missionari sono innanzitutto donne e uomini della provvidenza la cui unica preoccupazione è cercare e fare la volontà di Dio, per il resto viene dato da Colui che si prende cura dei suoi figli.

Si tratta del «nuovo esodo» annunciato già da Is 40. La consolazione non ha come contenuto il «ritorno» di Israele, ma la prossimità di Dio che fa sue le strade degli uomini per trasformarle in via di salvezza e di pace nella quale il gregge segue il pastore che «porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri». Dunque, gli apostoli sono coinvolti nell’opera del «messaggero di buone notizie che annuncia la pace». Il vestito deve essere uno perché unica è la identità e la missione degli apostoli, come quella della loro Guida. Gesù è Vangelo ed Evangelizzatore. Gli apostoli sono gli evangelizzatori del Vangelo di Dio, Gesù.

In perfetta continuità con i profeti, la missione apostolica partecipa a quella profetica di Gesù. I suoi gesti di rottura con chi si chiude all’accoglienza della Parola, non sono una condanna, ma un tentativo ulteriore finalizzato alla conversione al Padre, fine ultimo della missione evangelizzatrice. La polvere sta a ricordare la precarietà della vita umana che però è preziosa agli occhi di Dio. Per questo Egli si fa prossimo a ciascun uomo, per ascoltare il suo grido di aiuto, il suo anelito di salvezza e farlo risorgere per una vita nuova.

MEDITATIO

La missione, cammino sinodale e itinerario pasquale

Il rifiuto che i suoi paesani gli avevano opposto e la loro fredda accoglienza riservatagli a Nazaret non fermano Gesù che invece rilancia la sua missione coinvolgendo più direttamente il gruppo dei Dodici apostoli. La piccola comunità era stata precedentemente costituita per stare con Gesù e per andare a predicare il Vangelo e scacciare i demoni (3, 14-15). Come la missione di Gesù inizia in concomitanza con l’arresto del Battista, così quella dei Dodici prende avvio sullo sfondo del martirio del profeta per indicare il fatto che il mandato missionario ha come condizione la logica della «consegna» fino al dono totale di sé a Dio.

Come il Padre invia Gesù a proclamare il Vangelo così egli invia i Dodici perché, associati alla sua missione, il loro ministero sia il prolungamento nel tempo e nella storia di quello di Cristo. Gesù aveva inaugurato la sua missione proclamando il vangelo di Dio che è il suo programma di vita proposto agli uomini: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto prossimo, convertitevi e credente nel vangelo» (Mc 1, 14-15). Due indicativi descrivono l’azione di Dio e i due imperativi la reazione degli uomini. La chiamata dei primi discepoli, la successiva costituzione del gruppo dei Dodici, gli incontri con i malati e gli indemoniati realizzano la prima parte del discorso programmatico. Il potere esercitato sugli spiriti impuri e le azioni taumaturgiche, come pure l’autorità dimostrata sugli elementi della natura, sono un appello lanciato all’uomo perché, rispondendo alla sua vocazione possa intraprendere un cammino di conversione tale da aderire con tutta la vita al vangelo fino a fare della propria esistenza un dono.

L’equipaggiamento del missionario che porta con sé solo la tunica che indossa, i sandali che ha ai piedi e il suo bastone, richiama il viaggio dell’esodo. Quello di Gesù, insieme ai Dodici, è chiaramente un cammino pasquale che punta al «passaggio» ultimo dalla morte alla vita attraverso continui cambiamenti che ci rendono sempre più conformi a Cristo. La missione della Chiesa trova la sua origine e la ragion d’essere nella partecipazione integrale a quella di Cristo che passa attraverso la totale spoliazione di sé per offrire la sua vita unicamente al Padre. È questo il senso delle indicazioni che Gesù rivolge ai partenti. Il fatto di non prendere nulla per il viaggio non è tanto dettato da una esigenza d’immagine, ma è una strategia educativa che mira a plasmare il cuore dei discepoli ad immagine del suo. Egli, infatti, spogliandosi e lasciandosi spogliare di tutto professa la sua fede nell’unico Dio e testimonia che non c’è altra sicurezza su cui poggiarsi se non l’amore del Padre. L’essenzialità con la quale condurre il viaggio mira a diventare trasparenza di Dio nel mondo. Di Lui portiamo ai fratelli quell’immagine che gli permettiamo di modellare in noi. Quanto più ci liberiamo del peso dell’orgoglio e dell’autoreferenzialità, tanto più riflettiamo nel nostro stile di vita il volto di Dio che si fa prossimo, si dona e vivifica.

Gli apostoli, come Gesù, fanno esperienza di accoglienza e di rifiuto. Il maestro esorta a rispondere all’accoglienza, mettendosi al servizio della casa che li ospita, e al rifiuto ricordando la missione loro affidata di essere portatori di benedizione e non di maledizione. Lo stile del servizio immunizza i missionari dal virus dell’«accomodamento» e dello sfruttamento della situazione, mentre la presa di distanza da coloro che non li accettano non deve contraddire il loro stile missionario mite e benevolo.

Strada facendo gli apostoli predicano il vangelo, si fanno prossimi alle persone, le visitano portando loro la parola di Dio. Essi sono testimoni degli effetti positivi della loro predicazione e della loro azione. La liberazione dai demoni e la guarigione degli infermi divengono per tutti una conferma dell’autorità di Gesù. Lui è la benedizione di Dio che ci chiama a divenire suoi figli e a partecipare della sua eredità. Dio non ha altro potere che quello dell’amore grazie al quale lungo il cammino della vita, anche se cadiamo nel fango del peccato, ci rialza, ci lava e ci rimette in piedi per continuare il nostro pellegrinaggio verso il cielo.

ORATIO

Signore Gesù, venuto in mezzo a noi come inviato del Padre a benedirci con il dono del Vangelo, fa che, credendo in esso, possa sentire con sempre maggiore forza l’attrazione verso Dio e la gioia di annunciare il suo amore ai miei fratelli. Guidami e accompagnami sempre nel mio pellegrinaggio sulle strade del mondo perché la missione che mi affidi sia alimentata da una intima comunione con Te e sia la fedele continuazione di quella che hai inaugurato con la tua Pasqua. Quando in me prevale la tentazione dell’accomodamento e la logica del padrone per curare interessi individuali, donami la grazia dell’umiliazione perché la mia superbia non vanifichi il sacrificio della tua vita e il mio comportamento non causi scandalo nella comunità. Liberami dalle manie nevrotiche del protagonismo e ispira nel mio cuore sentimenti di docile obbedienza che favorisca nella Chiesa uno stile missionario più sinodale e fraterno. Amen.