Ger 1,4-5.17-19 Sal 70 1Cor 12,31-13,13
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,21-30
Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei.
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Lectio divina
La pagina del vangelo di questa domenica è la continuazione di quella di domenica scorsa, infatti il v.21 funge da ponte tra i due brani. Notiamo che ci sono due interventi di Gesù a cui corrispondono altrettante reazioni della folla contrapposte tra loro. La parola profetica, annunciata nel passato, proclamata da Gesù diventa dichiarazione del suo compimento nel presente. Il tempo della promessa lascia il posto a quello della sua realizzazione. La gente non può che essere contenta nel sentire che dagli annunci si passi ai fatti. Tuttavia, conoscendo le origini di Gesù, si interrogano anche sul modo con il quale egli realizzerà quanto detto. Se da una parte c’è una benevola accoglienza e un’apertura di credito, dall’altra sorgono anche delle legittime domande originate anche da altrettanto normali aspettative. Sono queste per l’appunto che Gesù mette in luce citando un primo proverbio. Infatti, la fama di quanto aveva già iniziato a compiere nella vicina Cafarnao era giunta fino al suo paese d’origine. In un certo senso i Nazaretani si arrogano il diritto di paternità ricordandogli che è un loro «figlio». Nel proverbio è sotteso il bonario rimprovero dei suoi paesani del fatto che Gesù abbiamo manifestato altrove la sua potenza taumaturgica e non da casa sua. Ma ora che egli è tornato ha l’opportunità di dimostrare loro quello che vale e che le sue parole sono veramente quelle di un profeta. La replica di Gesù alle attese dei Nazaretani non è affidata a gesti miracolosi, ma ad un proverbio che sintetizza la storia d’Israele. A partire da Mosè nessun vero profeta ha incontrato il favore del popolo a cui appartiene. Il motivo è semplice: la mancanza di fede in Dio. Da sempre l’uomo invece di cercare la verità vuole vedere segni che siano capaci di dimostrare con i fatti la parola annunciata come se si fosse spettatori del cambiamento desiderato e richiesto. Il profeta, chiamato ad insegnare la Parola di Dio e il modo con cui metterla in pratica, non è ben accetto da chi antepone le proprie attese alla volontà di Dio. La mancanza di fede consiste proprio in questo: imporre l’immaginazione, realizzazione fantastica dei propri desideri, sulla realtà attraverso cui Dio si fa prossimo e si comunica. Quel Dio, che si vorrebbe rinchiudere tra le parentesi dei nostri bisogni o le pareti dei templi edificati con le nostre aspettative, da sempre rivela che non sopporta definizioni e valica volentieri i confini. Gesù cita due esempi nei quali i profeti Elia ed Eliseo sono missionari della Parola di Dio al di fuori del popolo d’Israele. La vedova di Sarèpta di Sidone e Naaman il Siro sono due esempi di chi, pur non appartenenti al Popolo, eppure si fidano della parola di Dio, offerta loro dai profeti, e la mettono in pratica. I due stranieri, che non conoscono la Legge di Dio, sono di esempio agli Israeliti perché essi testimoniano con le loro scelte, anche se sofferte, che all’ascolto della parola deve seguire il metterla in pratica per vedere su di sé i suoi effetti salvifici. D’altro canto, chiunque riceve la parola di Dio diventa profeta nel momento in cui la mette in pratica nella sua vita. La Parola accolta con fede e messa in pratica con speranza trasforma e sana, come dimostra la vicenda dei personaggi rievocati da Gesù. La vedova e il generale, nella loro condizione di miseria o di ricchezza, sono un eloquente segno del fatto che non ci sono condizioni previe per ricevere la Parola, ma a qualsiasi popolo o ceto sociale appartenga si è destinatari della Parola di Dio. La testimonianza di Geremia, che leggiamo nella prima lettura, conferma questa visione. Infatti, Dio lo sceglie sin dal grembo materno e lo costituisce profeta prima che nasca per significare il fatto che il dono della vocazione profetica e la missione di far conoscere la sua Parola non è originato da meriti o competenze ma solamente dal suo amore per gli uomini. Questo bisogna sempre ricordarlo quando ci si scontra con la realtà dei fatti nei quali sperimentiamo l’opposizione e il rifiuto. Il primo a metterlo in conto è Dio stesso che davanti alla durezza del cuore degli uomini non si arrende ma continua ad inviare i suoi profeti fino al punto di mandare suo Figlio. La parabola dei vignaioli omicidi (Lc 20,9-19) riprende questo aspetto della rivelazione. Il repentino cambiamento d’umore della gente e il radicale mutamento dell’atteggiamento nei confronti di Gesù da una parte rivela la verità della sua parola e dall’altra diventa l’occasione per manifestare la sua autenticità profetica perché nel momento della crisi non si piega per paura al ricatto della folla, ma confida nel Signore e continua la sua strada perché la Parola di Dio si compia a Gerusalemme con l’offerta della sua vita sulla croce. Il profeta Gesù, entrato nella sinagoga per ascoltare insieme alla comunità la Parola, nel momento in cui la proclama la compie perché essa non asseconda le attese della gente ma il progetto di salvezza di Dio. La gente vuole che Gesù provi l’attendibilità di quello che dice e pretende di vedere dei segni che attestino la sua credibilità. Il segno non sarà un miracolo ma l’obbedienza al padre fino alla fine anche davanti alla prospettiva assurda come la morte. Nonostante gli ostacoli opposti dalla incredulità degli uomini che diventa violenza, la Parola di Dio deve fare il suo cammino. Gesù traccia e inaugura la via della carità. Ciò che muove Gesù non è la determinazione a farsi accettare come leader (si veda la prima esperienza fallimentare che Mosè fa con i suoi fratelli: Es 2, 11-15) o la ricerca del consenso per un vantaggio personale. Lo spinge la Carità, lo Spirito Santo che apre strade nuove nonostante gli ostacoli opposti dagli uomini e brecce tra i muri dell’indifferenza. Per raggiungere tutti gli uomini e portare loro la salvezza Gesù non sale i gradini della scala sociale e del potere umano, ma percorre fino in cima la via della Carità perché, attraversando la morte, giunga fino alla gloria
Cosa ha portato a questo cambiamento repentino della gente? Il fatto di inseguire caparbiamente i propri desideri piuttosto che desiderare il dono più grande che è la carità. San Paolo nella seconda lettura tratta dalla Prima lettera ai Corinzi, indica nella carità l’essenziale di ogni cosa di Gesù è la via più sublime. Senza la carità nulla ha senso perché tutto quello che si fa senza la carità lo si fa solo per sé stessi con la conseguenza che ci si ritorce contro sé stessi. Chi fa la volontà di Dio, soprattutto quando non c’è nessuna gratificazione personale ma solamente per pura obbedienza e fiducia, riceve da Dio la carità. Essa trasforma la persona rendendola immagine sempre più fedele a Dio, carità perfetta. Il desiderio più grande è quello di essere nel mondo segno della carità di Dio. La chiesa è il riflesso del mondo e in essa vediamo l’invidia, la vana gloria, l’orgoglio, la mancanza di rispetto, l’egoismo, la violenza, il risentimento. Tutto questo non deve scoraggiarci o far cedere al giudizio perché quello che stigmatizziamo negli altri è presente anche in noi. Ecco perché dobbiamo seguire Gesù sulla via della carità per ottenere da Lui questo dono essenziale. La Carità ci permette di comprendere senza condannare, di avere fiducia negli altri, di nutrire la speranza della riconciliazione e di avere la forza di essere in comunione con tutti nella gioia e nel dolore. Gesù non è un semplice maestro che insegna una dottrina, non è un profeta che assicura la fortuna e neanche un eroe a cui delegare la propria responsabilità, ma è discepolo della Sapienza, Luce per gli smarriti di cuore e servo degli uomini fratelli. In Gesù troviamo il modello del profeta missionario della Carità consapevole del fatto che la parola del Vangelo è come seme gettato nella terra che per crescere necessita anche di essere irrorato con le lacrime e il sangue.
Commenti recenti