Omelia di S.E. l’Arcivescovo nella Celebrazione Eucaristica in occasione dell’apertura dell’Anno Santo nell’Arcidiocesi di Matera-Irsina
Carissimi, fratelli e sorelle, istituzioni civili e militari, confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose,
anche noi, come Chiesa di Matera-Irsina, abbiamo dato inizio ufficialmente alla celebrazione del giubileo del 2025 con il rito introduttivo della statio presso la chiesa di S. Francesco d’Assisi e la breve processione verso la Basilica Cattedrale. Lo stesso abbiamo vissuto ieri sera per la Chiesa sorella nella Cattedrale di Tricarico.
Nel cammino dell’anno liturgico, la domenica subito dopo il S. Natale di Gesù, la Chiesa celebra la solennità della S. Famiglia. In questo anno liturgico l’episodio del pellegrinaggio della famiglia di Nazareth al tempio di Gerusalemme ci presenta la conclusione dei racconti dell’infanzia di Gesù. Gesù già a 12 anni mostra una libertà derivata dal suo rapporto con il Padre, che precede l’affetto dei propri cari che deriva dalla legge ebraica. Infatti, secondo la tradizione giudaica, il dodicesimo anno è legato all’usanza del bar mitsvah per i ragazzi e del bat mitsvah per le ragazze. L’evento viene celebrato con un evento gioioso partecipato e vissuto da tutta la famiglia e parenti. Il tutto avviene per le ragazze, al compimento dei 12 anni, e per i ragazzi, a 13, perché raggiungono la maggiore età religiosa. Da quel momento si è ritenuti adulti e responsabili per la maggior parte dei doveri previsti dalla Torah.
Tutti ricordiamo che a quell’età Samuele cominciò a profetizzare (1Sam 3) e Daniele pronunciò una sentenza molto saggia (Dan 13).
La famiglia di Nazaret, soprattutto ai nostri giorni, viene riproposta come modello per le famiglie cristiane, purtroppo anch’esse ormai contaminate da modelli in antitesi alla proposta evangelica. La famiglia cristiana è salda sulla Parola di Gesù, roccia che impedisce a venti, alluvioni, terremoti di farla crollare. C’è bisogno di tanta misericordia.
In questa logica cerchiamo di capire cosa significa il termine “Giubileo”. Deriva dall’ebraico “yobel”, il corno di montone che veniva suonato per annunciare l’inizio di un anno speciale. Nella nostra tradizione cattolica ha assunto un significato più profondo. Non a caso lo definiamo come un tempo di grazia e di misericordia, un’occasione unica per riconciliarsi con Dio e con il prossimo.
Abbiamo un simbolo centrale di questo percorso rappresentato dalla Porta Santa. Passare attraverso di essa significa compiere un gesto di affidamento a Cristo e di rinnovamento interiore. Quest’anno è stata aperta da Papa Francesco la porta della Basilica di S. Pietro. Nelle Chiese particolari, come la nostra Arcidiocesi, ci sono diversi luoghi da me indicati con Decreto apposito, ricevuto da tempo dai sacerdoti, come la Basilica Cattedrale, per celebrare l’Anno Santo.
La valenza spirituale della Porta, in ambito cristiano, è presentata con la cosiddetta Porta Santa che è Gesù Cristo: “Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10, 7).
É l’anno della speranza: siamo tutti chiamati ad essere viandanti di speranza e come lo stesso Papa Francesco nella sua omelia del 24 dicembre ci ha ricordato: “Con l’apertura della Porta Santa abbiamo dato inizio a un nuovo Giubileo: ciascuno di noi può entrare nel mistero di questo annuncio di grazia. Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi”.
Ribadisco in questa occasione quanto ho avuto modo di scrivere nella lettera pastorale che “La Chiesa per prima, in particolare nella nostra terra di Basilicata, deve essere capace di mostrare il suo dolore, gridarlo a Dio al solo scopo di ritornare a vivere e far vivere, attraverso un contagio d’amore, la condizione della condivisione nella quale i fratelli siano sempre vittoriosi e gioiosi di percepire quel legame. E questo perché di una cosa siamo certi: dalla propria malattia, dal proprio dolore si ritroverà forza e sarà risurrezione.
Oggi, ancora una volta, come Chiesa nel nostro territorio di Matera-Irsina ci commuovono le tante mani inaridite, le tante paralisi spirituali, la disperazione, le grida di dolore a causa di ingiustizie, e imploriamo che siano sanate dalla presenza viva e reale di Gesù nell’Eucaristia che ci dice di tendere a lui le mani. Questa è la nostra speranza. Speranza che «nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce» (FRANCESCO, Spes non confundit, 1).
In questo nostro tempo, a Matera come a Tricarico, a Roma come in qualsiasi altro posto del mondo, consapevoli delle nostre debolezze e rispondendo all’invito di Gesù risorto, ci mettiamo, come Chiesa, a servizio dell’umanità fragile. Annunciamo la speranza della misericordia attraverso la pazienza tipica del contadino nel dissodare il terreno, seminare, attendere, trebbiare, lavori che richiedono tempo, così come lo richiede ogni crescita spirituale
Un servizio, il nostro, che deve mettere da parte calcoli, titoli e convenienze, aprendosi alla novità di Dio che ci meraviglia sempre, rendendo feconda la Chiesa e rispondendo come la Vergine Santa: “Eccomi”. Un “Si” che si rinnova nel tempo e nella diversità ministeriale.
Il Giubileo diventa, per le nostre Chiese di Matera-Irsina e di Tricarico, una ulteriore opportunità per essere propositivi.
Per la nostra gente e il nostro territorio non c’è solo bisogno di denunciare le criticità, le problematiche, le paure e le sofferenze. Questo lo sappiamo fare tutti. C’è bisogno di proposte concrete, e di progetti da realizzare e concretizzare al più presto in opere. Ognuno è chiamato ad emergere dal pantano delle lamentele spesso sterili e strumentali, facendo proposte concrete. Le idee, ne sono certo, non mancano. Bisogna sposarle perché diventino realtà. Proposte che devono venire dal basso, incominciando dai giovani, dalle giovani coppie, dal mondo imprenditoriale, dalla cultura, dalla Chiesa. Le idee superano gli steccati politici e ideologici. Purché si lavori per il bene comune e non per ottenere consensi.
Tra i tanti campi dove seminare speranza c’è quello delle nuove generazioni. È il campo educativo che va seminato a più mani: famiglia, scuola, gruppi, aggregazioni, Chiesa: tutti coinvolti, avvertendo la responsabilità e l’urgenza. Ma di campi dove seminare la speranza ce ne sono tanti. Noi stessi abbiamo bisogno che qualcuno semini la speranza nel nostro terreno perché porti frutto.
Ogni semina che rispecchia le opere di misericordia spirituali e corporali sana le ferite del cuore, rinfranca le ginocchia dell’umanità sofferente. La Chiesa, attraverso i suoi figli, nella sapienza ricevuta da Dio per opera dello Spirito Santo, sa benissimo che dare da mangiare a chi è nel bisogno e nella necessità vuol dire nutrire quanti si sentono fragili perché abbandonati e pieni di paura. Così come dare da bere a chi ha sete significa, ai nostri giorni, fermarsi, dedicare tempo e ascoltare chi è solo, chi ha lasciato la sua terra in cerca di un mondo migliore, diverso.
Tutto questo significa riaccendere la speranza e mostrare il volto del Dio di Gesù Cristo che provvede alle necessità primarie dei suoi figli. Non c’è gioia più grande di quando si restituisce dignità alla persona ammalata nel cuore, nella mente, nel corpo, aiutandola a liberarsi dal peso del dolore che lo angustia. Eppure spesso anche noi che celebriamo l’Eucaristia, la misericordia di Dio, mostriamo una fede mascherata da forme devozionali che mettono a tacere quanto la coscienza ci rimprovera o teme.
Auguro a tutti noi di vivere quest’anno cercando la grazia di Dio e, sotto l’azione dello Spirito Santo, di camminare con Maria e Giuseppe ascoltando la Parola di Gesù.
Così sia.
✠ Don Pino
Giubileo della Speranza. Per l’Arcidiocesi di Matera-Irsina inizia domenica 29 dicembre
Con l’apertura della “Porta Santa” di S. Pietro in Vaticano la sera della vigilia di Natale, è iniziato l’Anno Santo, il 35° nella storia della Chiesa cattolica, un evento che attraverso i pellegrinaggi alle chiese giubilari, le opere di carità ed i momenti di preghiera comunitari invita tutti ad un cammino di conversione.
Come indicato nella Bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit” (La speranza non delude) nel pomeriggio di domenica 29 dicembre, contemporaneamente all’apertura della Porta Santa di S. Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma, si aprirà il Giubileo in tutte le diocesi del mondo.
Per quella di Matera-Irsina sono in programma due eventi domenica 29 dicembre:
– alle 16:30 nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Matera, il raduno (collectio) e un momento comunitario di preghiera (statio) cui seguirà una processione verso la Cattedrale;
– alle 17:00 in Basilica Cattedrale ci sarà la Celebrazione Eucaristica presieduta da mons. Antonio Giuseppe Caiazzo e concelebrata dall’intero clero della Diocesi.
Nella serata di domenica 29 dicembre tutte le altre funzioni religiose nella Diocesi saranno sospese.
Nella Diocesi sorella di Tricarico l’apertura del Giubileo sarà anticipata a sabato 28 dicembre alle ore 17 in Cattedrale.
Quanti non potranno recarsi in pellegrinaggio a Roma nel corso del 2025 potranno vivere l’evento giubilare ed ottenere il dono dell’indulgenza plenaria recandosi in uno dei “luoghi giubilari” individuati in ciascuna diocesi.
Per la Diocesi di Matera-Irsina sono:
– Basilica Cattedrale di Matera e Concattedrale di Irsina;
– i Santuari di Santa Maria di Picciano, Santa Maria della Palomba, Santuario dell’Adorazione Perpetua Sante Lucia e Agata alla Fontana (via del Corso-Matera), San Francesco da Paola a Matera; l’Abbazia di Santa Maria della Sanità a Pisticci;
– la chiesa di San Pietro Caveoso a Matera.
Per la diocesi di Tricarico sono:
– la Cattedrale di Tricarico e il santuario di Santa Maria Fonte delle Grazie (loc. Fonti);
A questi luoghi si aggiungono chiese e cappelle presenti in ospedale, cliniche e case di riposo per anziani.
Erasmo Bitetti
Ufficio Comunicazioni Sociali