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XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Lectio divina

Dn 7,13-14   Sal 92   Ap 1,5-8  

O Padre,

che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, re e salvatore,

e ci hai resi partecipi del sacerdozio regale,

fa’ che ascoltiamo la sua voce,

per essere nel mondo

fermento del tuo regno di giustizia e di pace.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Daniele (Dn 7,13-14)

Il suo potere è un potere eterno

Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

Il nostro aiuto viene dal Signore

Il capitolo dal quale sono tratti i due versetti della lettura si apre con una drammatica visione notturna. Dall’oceano che, nell’antico Medio Oriente, era il simbolo del mondo ostile e del caos, emergono quattro enormi belve: un leone, un orso, un leopardo e una quarta bestia spaventosa, terribile, dalla forza eccezionale; stritola ogni cosa con i suoi denti di ferro (Dn 7,2-8). Il simbolismo delle quattro fiere è spiegato dall’autore stesso (Dn 7,17-27). Rappresentano i quattro grandi imperi che si sono succeduti e che hanno oppresso il popolo di Dio. La storia d’Israele è stata un susseguirsi di regni crudeli e impietosi con i deboli. Hanno violato i diritti dei popoli e si sono imposti con la violenza e la sopraffazione, si sono comportati da bestie. Il veggente contempla un’altra scena grandiosa: in cielo vengono collocati dei troni e un vegliardo, che rappresenta lo stesso Dio, si asside per il giudizio e pronuncia la sentenza: alle bestie viene tolto il potere e l’ultima viene uccisa, fatta a pezzi e gettata nel fuoco (Dn 7,9-12). È a questo punto che si inserisce il brano della nostra lettura. Daniele continua la sua rivelazione: «Guardando nelle visioni notturne, ecco apparire, con le nubi del cielo, uno simile ad un figlio d’uomo» al quale il vegliardo, Dio, affida il potere, la gloria ed il regno. Figlio d’uomo è un’espressione ebraica che significa semplicemente uomo. Dopo tante bestie, ecco finalmente comparire un uomo. L’uomo è immagine di Dio e la sua vocazione è quella di dominare gli animali (Gn 1,28; Sal 8,7-9). Non viene dal mare come i quattro mostri, ma dal cielo, cioè da Dio. Raccontavano i rabbini che, in una notte oscura, un uomo accese una lampada, ma il vento la spense. La accese una seconda volta e poi una terza, ma di nuovo fu spenta. Allora disse: aspetterò che sorga il sole. Allo stesso modo Israele fu salvato dall’Egitto, ma la sua libertà fu spenta dai babilonesi; venne salvato di nuovo, ma fu subito oppresso dai medi, dai persiani e dai greci. Allora disse: attenderò il sole, il regno del messia. La profezia si è compiuta solo con l’avvento di Gesù, il “figlio d’uomo” che ha dato inizio al regno dei santi dell’Altissimo (Mc 14,62). Tutti i regni che si sono susseguiti prima di lui si sono ispirati al medesimo brutale principio: la competizione. Il forte ha soggiogato il debole, il ricco si è imposto al povero, il più capace ha asservito il meno dotato. Nuovi dominatori si sono installati al posto dei loro predecessori, senza rendere più umana la convivenza dei popoli, anzi peggiorandola, perché pensieri e sentimenti rimanevano identici: voracità, crudeltà e sopraffazione. Gesù ha interrotto per sempre il susseguirsi di questi imperi feroci, ha capovolto i valori ponendo al vertice non il potere, ma il servizio. Ha introdotto un criterio nuovo, quello del cuore d’uomo, che è l’opposto del cuore crudele delle belve.

La “forza” che è nelle mie parole e nelle mie azioni favorisce le relazioni umane di fraternità? Il potere che esercito nell’ambito della mia vita aiuta a sviluppare il potenziale di bene presente in me e nel mio fratello/sorella?

SALMO RESPONSORIALE (Sal 92)

Il Signore regna, si riveste di splendore.

Il Signore regna, si riveste di maestà:

si riveste il Signore, si cinge di forza.

È stabile il mondo, non potrà vacillare.

Stabile è il tuo trono da sempre,

dall’eternità tu sei.

Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!

La santità si addice alla tua casa

per la durata dei giorni, Signore.

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 1,5-8)

Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio.

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

Regno di sacerdoti

Da Patmos, una minuscola isola dell’Egeo, un cristiano esiliato “a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù Cristo” (Ap 1,9) scrive a sette chiese dell’Asia Minore, scosse dalla persecuzione scatenata da Domiziano, per esortarle alla perseveranza nella fede. Il nostro brano, tolto dal prologo delle sette lettere che costituiscono la prima parte del libro dell’Apocalisse, esordisce con un riferimento a Gesù cui sono attribuiti quattro titoli significativi: Cristo, testimone fedele, primogenito dei morti, principe dei re della terra (v. 5). L’ultimo, principe dei re della terra, aiuta a valutare con occhi nuovi la storia del mondo. Tutti guardavano all’imperatore di Roma come all’arbitro dei destini dei popoli, all’uomo onnipotente che si spacciava per dio e riempiva delle sue statue tutto l’impero. Invece non era lui a reggere le sorti del mondo: egli era sottoposto a un sovrano superiore, a Cristo cui il Padre aveva consegnato il regno che nessuno mai potrà distruggere. La potenza di un impero si valuta anzitutto dalle dimensioni del territorio su cui si estende. Il regno di Cristo non occupa alcuno spazio geografico, non si basa su dimostrazioni di forza e non consiste nel dominio. I membri di questo regno non sono né soldati, né schiavi, né sudditi, ma sacerdoti (v. 6) chiamati a offrire, con la loro vita, sacrifici graditi a Dio, cioè opere di amore. È questo l’unico ordine che ricevono dal loro re. Ogni gesto di generosità che compiono è un esercizio del loro sacerdozio. Quando sono perseguitati a causa della loro fedeltà al vangelo, offrono a Dio il più gradito dei sacrifici: l’amore eroico verso quegli stessi carnefici che li fanno ingiustamente soffrire e li mettono a morte. L’autore invita le comunità cristiane dell’Asia Minore, inclini a scoraggiarsi a causa della persecuzione, a puntare lo sguardo verso il Signore che viene (v. 7). La sua vittoria è assicurata e ognuno la vedrà, anche se il suo trionfo non sarà di quelli che gli uomini si attendono: non umilierà i suoi nemici, non condannerà coloro che lo hanno trafitto, ma li vincerà convertendo il loro cuore. Tutti riconosceranno il loro peccato e si convertiranno al suo amore. È questa l’unica vittoria che le comunità cristiane devono attendersi. Alla fine del brano (v. 8) Dio appone la sua firma alle affermazioni del veggente dell’Apocalisse, presentandosi come l’Alfa e l’Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, conferma dell’affermazione biblica: «Io sono il primo e l’ultimo; fuori di me non vi sono dèi» (Is 44, 6). La storia del mondo è una vicenda intermedia: tutto parte da Dio e tutto ritorna a lui. Ai suoi occhi il potere degli imperatori di Roma è un breve interludio, anche se ai cristiani pare tanto doloroso e interminabile.

Nelle esperienze di mortificazione e umiliazione contemplo il Crocifisso e chiedo al Signore di farmi partecipe della sua regalità, di offrire insieme con Lui il mio dolore per la riconciliazione e la pace?

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18,33b-37)

Tu lo dici: io sono re.

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

LECTIO

Contesto

Il processo davanti a Pilato costituisce, a livello strutturale, l’elemento centrale di tutto il racconto della passione; questa centralità è finalizzata a evidenziare il tema della regalità di Gesù. Il rifiuto dei capi dei giudei di entrare nel palazzo di Pilato, per non contaminarsi e poter così festeggiare la Pasqua, costringe Pilato ad uscire ed entrare facendo la spola tra lo spazio esterno all’edificio occupato dai giudei e l’ambiente interno del pretorio dove si trova Gesù. La narrazione del processo si sviluppa in sette scene, alternate tra l’esterno e l’interno del pretorio, che formano una struttura a parallelismo concentrico imperniata sulla scena della flagellazione e coronazione di spine:

a) esterno. Pilato e i giudei (18, 28-32)

b) interno. Pilato e Gesù (18, 33-38a)

c) esterno. Pilato e i giudei (18, 38b-40)

             d) coronazione di spine (19, 1-3)

c1 ) esterno. Pilato presenta Gesù ai giudei (19, 4-7)

b1) interno. Pilato e Gesù (19, 8-12)

a1) esterno. Pilato, Gesù e i giudei (19, 13-16a)

Testo

A differenza del procedimento giudiziario giudaico, che prevedeva l’audizione dei testimoni, il processo romano si fondava quasi esclusivamente sull’interrogatorio dell’imputato. Il processo diventa un dibattito teologico tra il pagano Pilato e Gesù perché il tema della regalità da questione politica assume la forma di testimonianza di una verità più alta traghettando il discorso verso il piano trascendente della volontà divina. Il dialogo della pericope liturgica consta di tre domande di Pilato e altrettante risposte di Gesù.

La domanda del procuratore – Tu sei il re dei giudei? – mira a puntualizzare l’accusa e rivela la perplessità di Pilato che si ritrova davanti un uomo solo, disarmato, senza soldati che lo possano difendere, che è stato abbandonato dai suoi stessi amici e schiaffeggiato da un servo di Anna. Non pare proprio il tipo capace di mettere in pericolo il potere di Roma. Che il tema della regalità sia centrale nel racconto della passione lo si deduce anche dalla numerosa ricorrenza del termine «re» (dodici volte). Nei precedenti capitoli l’appellativo era comparso solo altre quattro volte (1,49; 6,15; 12, 13.15). Dalle testimonianze antiche sembra che il titolo di «re dei giudei» fosse riservato ai sovrani asmonei e ad Erode il grande e ricorre sulla bocca dei non ebrei. I giudei, invece, preferivano il termine «re d’Israele». Il titolo «re dei giudei» assume significati diversi in base a chi lo usa. Pilato lo intendeva come un rivoluzionario, uno del partito dei zeloti, che aspirava a mettersi a capo del popolo e a sostituirsi alle autorità costituite. Le autorità giudaiche, invece, avrebbero potuto identificare il «re dei giudei» con il messia davidico atteso nel tempo escatologico. Essi, tuttavia, sono preoccupati dei risvolti politici di una possibile reazione dell’autorità romana dinanzi ad una pretesa di riscatto il cui desiderio albergava diffusamente nel cuore della gente ferita da profonde crisi sociali ed economiche. Per Gesù il titolo ha una valenza teologica e non teocratica perché il suo senso non è da ricercare nelle attese e negli schemi mondani, ma nella parola di Dio che rivela il suo desiderio di salvare l’uomo dal peccato e dalla morte e restituirgli la dignità di figlio. Gesù risponde con una contro-domanda, per costringere il procuratore a prendersi le sue responsabilità: hai qualche ragione per ritenermi un sedizioso, oppure stai dando retta a chiacchiere? Non ti è stata riferita la mia reazione al tentativo di un mio discepolo di mettere mano alla spada (Gv 18,10-11)?

La replica di Pilato è quasi risentita: io sono un funzionario romano e amministro la giustizia in modo autonomo. Poi continua: “La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?” (v. 35). A Pilato, servitore dello stato, interessa conoscere dalla voce di Gesù cosa abbia commesso. Dalle parole del procuratore emerge che la responsabilità dell’accusa è da attribuire ai capi dei sacerdoti che hanno preteso di parlare a nome e per il bene del popolo perché ritenevano Gesù pericoloso per la sussistenza della nazione (cf. 11,50). A questo punto il tema della regalità di Cristo entra nel vivo. Gesù cerca di aiutare il procuratore a capire: “Il mio regno non è di questo mondo” (v. 36). Gesù ha l’opportunità di difendersi dalle accuse e di chiarire il senso della sua regalità. Infatti, lascia cadere la seconda domanda di Pilato per rispondere alla prima. La questione passa dal titolo «re dei giudei» alla regalità. Il termine «regno» è poco frequente nel quarto vangelo che ne fa menzione solo nel dialogo con Nicodemo (3, 3.5) e in quello con Pilato. Pilato ha in mente le caratteristiche ben definite dei regni di questo mondo: sono portati avanti da uomini mossi dall’ambizione, si basano sull’uso della forza e del denaro, vanno difesi con le armi, il forte si impone e comanda e i sudditi devono stare sottomessi e obbedire. Quello di Gesù non ha nulla in comune con questi regni. Egli non uccide nessuno, va lui a morire; non comanda sugli altri, obbedisce; non si allea con i grandi e i potenti, si mette dalla parte degli ultimi, di coloro che non contano nulla. Per gli uomini possedere, conquistare, sterminare sono segni di forza, per Gesù sono indici di debolezza e di sconfitta. Per lui grande è colui che serve. Gesù ha sempre reagito con durezza con chi ha tentato di farlo aderire a una regalità di questo mondo; fin dall’inizio l’ha considerata una proposta diabolica (Mt 4,8-10). Ha deluso le attese messianiche dei suoi discepoli, è fuggito quando il popolo lo voleva proclamare re (Gv 6,15).

A Pilato sfuggono le sottigliezze linguistiche e teologiche del suo interlocutore e lo riporta alla domanda iniziale, senza però far riferimento a nessun titolo ma alla dignità: «Tu sei re?». Gesù, ora che è sconfitto e ha le ore contate, ora che non c’è più alcuna possibilità di equivoco, di fronte al rappresentante del mondo pagano che gli domanda se fosse re, proclama solennemente: “Sì, sono re”. Tuttavia, lo dice non per affermare la verità della sua dignità personale, ma rivelare la sua origine ultramondana e la sua missione che non ha nulla a che fare con la verità che vuole fare Pilato. Il regno di Gesù non è un luogo fisico, né nei cieli né sulla terra, ma non è neanche fuori dal mondo; l’ambito dell’esercizio della regalità è l’esistenza di quanti ascoltano la sua voce e accolgono la verità da lui testimoniata.

Poi spiega: “Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (v. 37). Non per insegnare delle verità, come facevano i saggi, ma per testimoniare la verità. Nella Bibbia verità è fedeltà alla parola data, è stabilità e perseveranza, è ciò o è colui di cui ci si può fidare. Dio è verità perché non si smentisce mai, mantiene le promesse fatte, è animato da un amore che nulla e nessuno riuscirà mai a incrinare (Es 34,6). Per un ebreo la verità non è qualcosa di logico, ma di concreto, è ciò che avviene nella storia. Verità sono i disegni di amore del Signore; conoscere la verità significa capire questi disegni e lasciarsi coinvolgere nella loro realizzazione. Gesù è venuto a rendere testimonianza alla verità, perché incarna il progetto di Dio, lo porta a compimento, per questo è la verità (Gv 14,6). Con la sua presenza nel mondo, con tutta la sua vita spesa per amore, dimostra la fedeltà del Signore al suo patto con l’uomo. Gesù conclude la spiegazione sul suo regno dichiarando: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (v. 37) e Pilato, che capisce sempre meno, gli risponde: “Cos’è questa storia della verità?”. Al procuratore non interessa la persona di Gesù, ma sapere se costituisce o no una minaccia per il potere di Roma. È refrattario al progetto di Dio, pensa al regno di questo mondo, non alla verità. Insensibile alla voce di Gesù e stanco di udire parole per lui senza senso, interrompe il dialogo. È il simbolo del mondo incredulo che si rifiuta di ascoltare la parola di verità: non trova in essa alcun motivo di condanna, ma non ha il coraggio di prendere posizione e finisce per cedere a scelte di morte.

Nei giorni precedenti alla Pasqua Gesù, usando il linguaggio apocalittico, aveva annunciato la fine delle potenze mondane e il trionfo del regno di Dio. È una promessa che inizia a realizzarsi con la sua morte e la risurrezione perché nella Pasqua da Dio Padre viene consacrato Re e Sacerdote. Il processo davanti a Pilato diventa un’occasione per testimoniare la verità, ovvero l’amore eterno e fedele di Dio per gli uomini, ai quali Egli dona suo Figlio. Gesù dice di sé di essere il regalo di Dio agli uomini. Con il sacrificio di Gesù sulla croce, Dio sposo s’impegna con la Chiesa, sua sposa, per un patto di alleanza che rimane per sempre. Il tratto contraddistintivo del regno di Dio è la fedeltà nell’amore e tocca il suo punto più alto nel dono della propria vita. Quanto sia differente il regno di Dio da quelli umani è testimoniato dal fatto che Gesù non combatte contro i suoi traditori ma consegna la sua vita al Padre come agnello pasquale sacrificato per il perdono dei peccati. Il suo regno non s’impone con la forza ma si realizza attraverso l’esercizio del sacerdozio dell’amore, il dono di sé al Padre, perché gli uomini abbiano la vita in abbondanza e non la condanna per i loro peccati. Chi accoglie Gesù nella sua vita, lo riconosce come Signore e si consacra al suo servizio, viene trasformato interiormente ed entra a far parte del regno di Dio nel quale più che la legge del più forte vige quella di chi punta ad amare sempre di più fino a dare, come Cristo, la sua vita per gli altri.

MEDITATIO

Gesù Cristo, Re dei cuori

Nel pretorio si consuma il faccia a faccia tra Pilato e Gesù o quello che potremmo chiamare un incidente probatorio. Il primo è un servitore del potere umano che si piega alla logica del calcolo politico e il secondo dice di sé di essere testimone della Verità che s’inginocchia davanti agli uomini per amarli servendoli e dando loro la propria vita. Le autorità ebraiche avevano interrogato Giovanni Battista chiedendo chi fosse e lui aveva confessato negando di essere il Cristo o il Profeta, ma affermando di essere «voce» della Parola. Infatti, lui, che è chiamato l’amico dello Sposo, rende testimonianza alla Luce che viene nel mondo. Lo fa indicando in Gesù l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Cosa dice di sé Gesù? Rispondendo a Pilato che gli chiede se fosse re, egli replica affermativamente ma specificando che la regalità a cui allude l’accusa è ben diversa da quella esercitata da lui. La regalità di Gesù si manifesta in tutto il suo splendore sulla croce dove, spogliato di tutto viene “rivestito” della potenza dello Spirito Santo. Questa è la maestà e la forza di cui parla il Salmo 92. Lo Spirito Santo consacra Gesù quale Cristo Re il cui regno è eterno e indistruttibile perché il suo potere è alimentato dall’amore che non si esaurisce e non della ricchezza o delle armi che invece conducono alla distruzione. Sulla croce Gesù viene consacrato Re, Sposo dell’umanità e Sommo Sacerdote. La regalità di Gesù è esercitata sul cuore dell’uomo nel quale è riversato lo Spirito Santo. Egli ci libera dal peccato e, unendo la nostra vita alla sua, ci mette in grado di compiere il comandamento dell’amore fraterno. Gesù non è re dei castelli arroccati ma dei cuori in festa! I primi discepoli di Gesù, indotti dalla testimonianza del Battista, iniziano a seguirlo e accolgono il suo invito ad andare con lui per vedere dove abita. Nel cammino del discepolato non mancano le crisi e la tentazione di volgersi indietro. Ogni volta Gesù chiede di fare una scelta di responsabilità. Pietro, portavoce dei discepoli che rimangono con il Maestro, riconosce che solo Gesù ha parole di vita eterna. La comunione con Cristo ci permette di far aderire sempre di più il nostro cuore al suo per appartenere al suo regno ed esercitare la carità fraterna. Essa, infatti, è la via che ci riconcilia con il Padre e ci fa essere un’unica famiglia, la verità che sostiene la nostra speranza e infonde coraggio per compiere la volontà di Dio, la vita che vince la morte e ci rende credibili testimoni della risurrezione. Partecipare alla regalità di Cristo significa essere testimoni della Verità, servi dei fratelli e custodi del creato. Un saluto usuale tra i cristiani di un tempo è: Cristo Regni. Lo può fare se gli offriamo la nostra vita e ci mettiamo al suo servizio. La regalità di Cristo si manifesta nella solarità del sorriso di chi accoglie e ascolta i fratelli, nell’amabilità con la quale si parla con gli altri, nella delicatezza con cui si curano le ferite degli infermi, nella semplice profondità con la quale si condivide la fede, nella gioia con cui si partecipa alla felicità altrui, nella compassione con la quale si piange con chi è nel lutto, nell’intimità spirituale che si crea quando due o più sono uniti in preghiera.

Nel contesto di un processo, nel quale Pilato funge da giudice per dirimere la controversia tra i capi dei Giudei e Gesù, emerge la necessità di fare verità. Pilato pone delle domande a Gesù partendo dal capo d’imputazione mosso dai Giudei con i quali condivide l’idea di giustizia come forma di potere di controllo e di gestione delle persone, esercitato attraverso il giudizio di assoluzione o di condanna. Gesù si presenta libero da questo potere, solo, ma non isolato, perché, sebbene non abbia il suo esercito come supporto e protezione, Egli è saldo perché crede, è radicato fermamente sulla verità, la roccia, dell’amore fedele del Padre.

Gesù cerca la verità perché risponde al richiamo del suo cuore di cercare il volto di Dio, la relazione di amore col Padre che mai viene meno, perché è vero, è fedele all’impegno che ha preso con se stesso di darci la vita. Chi ricerca la verità, il volto di Dio nei volti degli uomini, riconosce e ascolta la voce del Pastore bello, quello che dà la sua vita per il gregge, non come il mercenario che fugge davanti alle sue responsabilità per mettere in salvo il suo potere.

Chi sceglie di essere dalla parte della Verità, dalla parte di Dio, chi vuole appartenere al suo Regno, ascolta, ricerca la verità come chi vuole giungere alla sorgente dell’acqua, lì dove c’è purezza e vita vera.

L’invito di Gesù a Pilato, ai Giudei e a tutti noi è quello che non fermarci a quello che gli uomini dicono e danno perché sarebbe come bere l’acqua da un torrente che sta per finire nel mare e porta con sé ogni tipo di agente inquinante. Bisogna risalire alla sorgente, alla verità, che è Dio che ama gratuitamente e fedelmente. Nei processi della vita, spesso piena di punti di vista e interessi contrastanti, la regalità del cristiano è esercitata nel risalire dalla foce inquinata dalle parole e dalle azioni sbagliate, alla sorgente d’amore che è posta nel cuore di ciascuno. Allora ognuno, con Cristo, diventa testimone fedele della verità e principe della pace!

  • I dubbi e le domande che porto con me nascono dal desiderio di conoscere e amare l’altro o dal pregiudizio alimentato dalla paura?
  • I principi che ispirano i miei pensieri, le mie parole e le mie azioni me li suggerisce il mondo o Dio?
  • Cosa significa essere fedele a Dio nella mia esperienza di vita?

ORATIO

Signore Gesù, Sposo e Sacerdote,

ti contempliamo sul trono della croce,

nudo e povero di tutto

ma ricco di misericordia.

Tu, il testimone fedele della Verità,

sei Re perché ci dai l’esempio

di come vivere la Carità

e come essere operatori

di giustizia e di pace.

In un mondo dominato

dalla logica del calcolo utilitaristico

e in cui vige la legge del più forte

che s’impone sul più debole,

ci chiami ad aderire

alla tua proposta di vita

e di entrare a far parte della tua comunità

in cui i fratelli e le sorelle

si servono vicendevolmente

con animo lieto e generoso.

Il tuo Spirito faccia del nostro cuore

il trono da cui Dio possa regnare.

Ci renda, ad immagine tua,

un regno di sacerdoti che,

con la fede annunciata e praticata,

predicano il Vangelo,

che con la gioia della carità

servono gli ultimi tra gli uomini

e con il coraggio della speranza

coinvolgono tutti nella lotta

per la giustizia sociale

e la custodia del creato,

la nostra casa comune. Amen.