II DOMENICA DOPO NATALE – Lectio divina
Sir 24,1-4.12-16 Sal 147 Ef 1,3-6.15-18
O Dio, nostro Padre,
che nel Verbo venuto ad abitare in mezzo a noi
riveli al mondo la tua gloria,
illumina gli occhi del nostro cuore,
perché, credendo nel tuo Figlio unigenito,
gustiamo la gioia di essere tuoi figli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del Siràcide Sir 24,1-4.12-16
La sapienza di Dio è venuta ad abitare nel popolo eletto.
La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti” .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».
La Parola familiare
Nel cap. 24, che riveste un ruolo centrale nel Libro del Siracide, l’insegnamento della sapienza è presentato nel suo insieme. Come in alcuni brani del libro dei Proverbi (1, 20-33; 8, 1-36; 9,1-6), anche in questa pericope il soggetto parlante è la sapienza personificata. Alcune sue espressioni annunciano una teologia della Trinità: la sapienza è nel medesimo momento unita intimamente a Dio e distinta da lui, caratteristiche che più tardi verranno applicate sia alla persona del Verbo che a quella dello Spirito. Per il Siracide la sapienza è la Presenza universale di Dio che si rivela e cresce in Israele, come l’albero della vita, e si offre sempre a lui.
La Sapienza parla in occasione di un’assemblea nel tempio di Gerusalemme: come una sacerdotessa presiede la liturgia che riunisce nel luogo sacro il cielo e la terra; si rivolge agli esseri umani e si dichiara appartenente al popolo ebraico, del quale si rievocano i tratti storici più significativi.
Nel brano liturgico riecheggiano elementi della cosmologia presente nei racconti genesiaci. C’è una sintesi sapienziale tra creazione e redenzione, tra cosmologia e storia, tra il Dio creatore e Dio Salvatore. La Sapienza si descrive nel suo cammino: esce dalla bocca dell’altissimo e come rugiada ricopre la terra, similmente a quanto è scritto in Isaia 55,10-11, in cui vi è il paragone tra la parola divina e la pioggia che scende dal cielo e feconda la terra. La Sapienza sembra avere due abitazioni: la prima è nelle altezze perché ha il suo trono su una colonna di nubi, la seconda è in Israele; dopo aver percorso l’universo in verticale (il cielo e l’abisso) e in orizzontale (il mare e la terra abitata), essa si stabilisce «in Giacobbe», cioè in Israele. Il viaggio della Sapienza attraverso il cosmo richiama Gb 28. Pr 8,27 ispira il nostro testo soprattutto in riferimento sia al tempo prima del tempo, quando la Sapienza era presso Dio, sia al legame con gli uomini. La tradizione biblica dell’esodo funge da sfondo di tutto il capitolo 24 del libro del Siracide: la nube guida il popolo durante l’uscita dall’Egitto, la tenda rinvia al luogo in cui è situata l’arca dell’alleanza, Israele è proprietà ed eredità di Dio.
La Sapienza, dopo aver percorso l’intero cosmo e aver piantato la tenda in Israele, ufficia la Santa liturgia in Gerusalemme che è qui descritta come Sion, la città amata dal Signore. La Sapienza è di casa in Israele. La sua missione interpreta il volere di Dio, per cui essa è la parola di Dio che diventa evento nella storia degli uomini.
Salmo responsoriale Sal 147
Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 1,3-6.15-18
Mediante Gesù, Dio ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi.
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.
Chiamati a sperare
Paolo apre la sua lettera indirizzata alle comunità di Efeso benedicendo Dio. La benedizione è un inno di lode e una confessione di fede. Oggetto della lode è la benevolenza di Dio per la quale ha deciso di creare l’uomo amando in lui ciò che ama del Figlio suo Gesù. L’atto creativo è continuo perché, mediante lo Spirito Santo, Dio educa l’uomo conformandolo a Cristo. Egli è l’archetipo dell’uomo pienamente realizzato perché ama donando la sua vita per l’altro da sé. In tal modo, la persona in cui la grazia ha la libertà di operare in lei diventa manifestazione dell’amore di Dio e canale di comunicazione della pace e della gioia.
San Paolo invoca sulla Chiesa di Efeso il dono dello Spirito Santo affinché, animata e rafforzata della sua energia, possa sperimentare in sé stessa la potenza dell’Amore di Dio che fa passare dalla morte alla vita. Come Cristo è stato risuscitato e liberato dai vincoli della morte per essere intronizzato nei cieli e ricevere il potere regale sul mondo intero, così la Chiesa, ricolmata dallo Spirito di ogni virtù, diviene nel mondo presenza visibile del regno di Dio. Ciascun membro della Chiesa, in virtù del battesimo, viene santificato e riceve lo Spirito affinché possa essere testimone della misericordia di Dio con la sua vita spesa, come quella di Gesù, a servizio del Vangelo. In tal modo rivela a tutti la vocazione comune alla santità, intesa come comunione piena ed eterna con Dio e i fratelli.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1,1-18
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
LECTIO
Contesto
Il capitolo 1 del vangelo è composto di due parti: la prima (1, 1-18) il prologo in forma poetica presenta il Lògos e la sua vicenda, la seconda (1, 19-51) è l’inizio del racconto evangelico. Nel prologo l’evangelista informa il lettore circa l’identità e la missione di Gesù. Infatti, esso ha la stessa funzione dei «vangeli dell’infanzia» perché vuole offrire la chiave di lettura teologica della figura di Gesù, collegando la sua vicenda e la sua missione direttamente alla volontà di Dio. Il prologo è una sorta di ouverture che intende guidare il lettore alla comprensione del tema e dello sviluppo narrativo della vicenda che ha come culmine la Pasqua di Cristo Gesù.
Struttura
Nei vv. 1-18 c’è una cesura tra il v. 13 e il v. 14. Prima i soggetti sono alla terza persona per poi passare alla prima persona plurale. Nella prima parte si parla di Giovanni Battista legando la sua venuta e la sua missione alla fede dei destinatari della sua opera evangelizzatrice (vv. 6-8) e al v. 15 è introdotto un locutore che rende la sua testimonianza unendosi alla confessione della comunità credente (v. 16). Dunque, il prologo si divide in due parti: nei vv. 1-13 il soggetto è il Lògos di cui si mette in evidenza la sua preesistenza e la sua venuta nel tempo; nella seconda parte (vv. 14-18) si dà voce alla confessione di fede dei credenti. La preesistenza del Lògos lo colloca nell’eternità di Dio (vv. 1-4) e la sua venuta nel mondo come luce lo rende partecipe della storia dell’uomo (vv. 5-8). Il mondo degli uomini, ovvero gli uomini del mondo, rifiuta il Lògos (vv. 9-11), mentre chi lo accoglie diventa figlio di Dio perché da Lui si viene generato (vv. 12-13). La seconda parte del prologo contiene la confessione di fede di quanti hanno accolto la venuta del Lògos. La voce di Giovanni si unisce a quella dei testimoni che identificano il Lògos, chiamato «Figlio unigenito del Padre», con la persona storica di Gesù Cristo (vv.16-18).
Testo
L’inizio del prologo richiama chiaramente quello della Genesi con i temi della creazione, della luce e delle tenebre e della vita. Il «principio» di cui si parla è un “tempo” che potremmo definire kairos, che precede il kronos. Il termine Lògos non è facile da tradurre perché ogni termine ridurrebbe la ricchezza del suo significato. Certamente l’evangelista Giovanni conosce la riflessione sul concetto di «parola di Dio» come potenza creatrice e sostenitrice del mondo esistente. Il Logòs è «parola di Dio», come lo è la Sapienza nella letteratura sapienziale (Pr 8; GB 28; Sir 24; Sap 7-9), perché coopera nella creazione dell’universo fungendo da archetipo/modello e da architetto (Pr 8,22-23-27-31). Tuttavia, il Lògos non è «sophia» (sapienza intesa come idea progettuale») né è una creatura (partorita dalla mente di Dio), anche se fosse stata la prima. Il Lògos lo potremmo accostare all’immagine del «sogno» di Dio per il mondo: avere figli in un mondo di pace e di giustizia perché vivano in comunione tra loro e con il creato e partecipino alla vita stessa di Dio e alla comunione con Lui. Il kairos di Dio genera il kronos dell’uomo che, per mezzo di Gesù, giunge alla sua pienezza nel momento in cui il sogno di Dio si compie. La redenzione segna il compimento del sogno di Dio.
La ripetizione del verbo essere all’imperfetto, riferita al Lògos, suggerisce l’idea di una condizione perdurante in un tempo che precede (kairos) quello dell’uomo (kronos). I tre verbi «era» assumono significati diversi perché il primo indica l’esistenza (dal principio, ovvero da sempre), il secondo la relazione (con Dio) e il terzo è un predicato che ribadisce la natura divina del Lògos. Tra il Lògos e Dio non c’è identificazione intesa come sovrapposizione o fusione, ma un’unità che risulta dalla relazione di amore, la quale non annulla la distinzione ma la colloca in un rapporto ordinato l’uno all’altro. In altri termini, si potrebbe dire che all’origine (pre-esistenza/kairos) c’è l’amore (la pro-esistenza). L’amore è il progetto di vita di Dio, per cui «ciò che era di Dio lo era anche del Lògos».
I primi due versetti si concentrano sull’identità del Lògos in relazione con Dio. Dal v.3 si passa alla sua missione in relazione al mondo creato e agli uomini che lo abitano. Riprendendo il racconto della Genesi, l’evangelista ricorda che Dio ha creato parlando e che tutto ha avuto inizio dal Lògos del Padre mediante il quale Egli si rivela e comunica. L’intera creazione è rivelazione perché è effetto del «dire di Dio» che diventa opera la cui bellezza si contempla nel grande libro del creato. Il v. 4 introduce il tema della vita e della luce. Mediante il Lògos il creato riceve l’esistenza biologica; all’uomo, che non ne è solo una parte ma anche il suo vertice, viene offerta insieme alla vita fisica anche quella di Dio (la vita eterna). La luce e la vita da elementi della natura diventano simboli che rimandano alla vita di Dio partecipata agli uomini. Il Lògos, parola di Dio, è luce che illumina il cammino della fede che porta a vivere con Dio, in Dio e per Dio. Nel racconto evangelico «luce» e «vita» sono i nomi che rivelano la vocazione e la missione di Gesù. La funzione della luce è quella di brillare e illuminare. A Dio, che «viene nel mondo» come luce per «illuminare» ogni uomo e farsi conoscere da lui, fa riscontro l’uomo che deve scegliere se respingere la luce e abitare nelle tenebre dell’ignoranza o accoglierla lasciandosi illuminare per essere a sua volta segno luminoso di speranza. Il Lògos è sorgente della luce e della vita, mentre Giovanni è il testimone della luce. La sua missione consiste nell’annunciare la venuta della luce, come una sentinella o come l’aurora. Testimoniare significa essere corpo illuminante che esiste e illumina solo se riflette la luce che riceve. Similmente la testimonianza di Giovanni è funzionale all’annuncio del vangelo: Cristo, luce del mondo, ha sconfitto le tenebre del peccato e della morte. Di questa vittoria possono godere coloro che credono.
Il Lògos viene nel mondo perché tra lui e «i suoi» si crei la stessa familiarità che caratterizza il suo rapporto con Dio. Tuttavia, questo non è automatico perché la realizzazione sogno di Dio deve passare attraverso la libertà dell’uomo che ha la possibilità di rifiutare o accogliere la Luce. Il Lògos è luce e vita perché vive la relazione con Dio in un rapporto dialogico. La sua missione è aprire all’uomo, ed estendere a tutti, la possibilità di partecipare alla vita divina, alla pro-esistenza.
Dal mondo creato l’attenzione passa alla comunità degli uomini che è caratterizzata da legami di appartenenza con Dio. Gli uomini, dice l’evangelista, sono tutti membri della famiglia di Dio perché creati tali. Tuttavia, lo status di familiari di Dio diventa effettivo nella misura in cui si accoglie il Lògos credendo in lui. La fede è una libera scelta degli uomini con cui esprimono la loro responsabilità nei confronti di Dio. Essere figli di Dio vuol dire scegliere di vivere per Dio rispondendo di sì all’impegno di amore che Lui ha preso con gli uomini di «vivere per loro come Padre». Come il Padre per mezzo del Lògos sceglie di amare il mondo, creandolo, e gli uomini, chiamandoli a far parte della sua famiglia, così, per mezzo dello stesso Lògos, Gesù Cristo, gli uomini scelgono di amare Dio consacrando (credere in) la propria vita per Lui, come ha fatto Gesù. Il fatto che venga usato il verbo «diventare» vuol dire che la figliolanza di Dio è un progetto sempre da realizzare. La grazia costituisce la persona nel suo status di figlio di Dio ma il credente diventa adulto nella fede vivendo continuamente da figlio di Dio. «Credere nel nome di» significa «affidarsi completamente», «avere fiducia di». Nel processo di maturazione spirituale si coniugano la grazia che accompagna e l’impegno a rimanere fedele alla scelta iniziale di fidarsi di Gesù e unirsi a lui.
La seconda parte del prologo inizia con l’affermazione dell’evento dell’incarnazione. Si tratta anche in questo caso di un passaggio. L’assunzione della condizione umana è tradotta con l’immagine di «diventare carne». Il passaggio del Lògos dalla dimensione divina, caratterizzata dall’eternità, a quella temporale, che è invece contraddistinta dalla precarietà, è specificato con l’immagine del «attendarsi» o «porre la dimora» in mezzo a quelle degli uomini. La tenda richiama immediatamente l’esperienza dell’esodo e la «presenza» di Dio che si fa pellegrino in mezzo al popolo che per tanti anni e forestiero in terra straniera. La letteratura sapienziale identifica la Sapienza con la presenza di Dio che abita insieme al suo popolo. Proprio questa coabitazione fa del cammino esistenziale un pellegrinaggio, e non un vagabondare. La comunità, abitata dal Lògos, diventa casa aperta ad accogliere chiunque sia desideroso di attingere alle sorgenti della Sapienza.
Il racconto dell’esodo parla della gloria di Dio che avvolgeva come una nube la tenda. L’evangelista, testimone degli eventi nei quali Gesù si è reso protagonista, testimonia che la gloria descritta nei racconti dell’Antico testamento egli l’ha contemplata in Gesù che chiama «Figlio unigenito». In lui, infatti, risiede la pienezza della grazia e della fedeltà di Dio. In altri termini, Gesù rivela agli uomini la ricchezza inesauribile dell’amore del Padre. Gesù Cristo è il rivelatore del Padre perché per mezzo suo si riversa su l’umanità tutta la ricchezza della misericordia divina. Gesù non è in contrapposizione con Mosè ma in continuità anche se rappresenta la novità e il compimento. Mosè è stato scelto tra gli uomini per essere il mediatore attraverso cui donare la Legge. Gesù è l’unico e vero mediatore perché tramite lui, non solo si riversa l’abbondanza della grazia, ma l’uomo può corrispondere a Dio con la sua vita. Gesù è l’unica via che introduce nella intimità familiare di Dio, che è la vita vera.
MEDITATIO
Gesù Cristo, la radice di ogni bene
Nella seconda domenica dopo Natale la Chiesa ci conduce ancora nel contemplare questo evento per riconoscere in Gesù di Nazaret, figlio di Maria e di Giuseppe, il Figlio di Dio. Il Concilio Vaticano II si esprime, infatti, in questi termini: «Nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22). La prima lettura parla della Sapienza in termini personali, come la prima delle creature. Tra Dio e la Sapienza c’è un rapporto privilegiato ed esclusivo, come quello che unisce il figlio amato, perché unico, al padre. Tale relazione non rimane chiusa nell’intimità di una ineffabile trascendenza ma si apre perché venga narrata e sia partecipata a tutta la creazione e a tutti i popoli. La Sapienza riceve la missione di piantarsi nella terra radicandosi in essa. Il Libro della Sapienza la identifica con la parola della Legge con la quale Dio si fa vicino all’uomo come non lo è nessun’altra divinità. L’uomo è invitato non solo ad aprire la bocca ma soprattutto il cuore perché quella parola lo abiti e lo fecondi. L’evangelista Giovanni compie un passo ulteriore al Libro della Sapienza quando la identifica con il Logos, tradotto in latino con «Verbum» e in italiano con «Verbo». Cosa è la Sapienza/Verbo se non l’Amore di Dio che è da principio e per sempre? La Parola di Dio non si manifesta più nella Legge data da Mosè, ma nella carne di Gesù che piantando «la sua tenda in mezzo a noi» permette all’Amore di mettere radici nella terra. In tal modo Dio scende verso l’uomo, si fa piccolo e povero spogliandosi della sua gloria per assumere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana mortale. Dio, incarnandosi, si unisce a tutto l’uomo e ad ogni uomo per assumere completamente la nostra natura umana. Questo è un atto di amore e di fiducia che insegna all’uomo il fatto che amare vuol dire credere in qualcuno, cioè piantare le radici nell’altro per entrare in una relazione di accoglienza e di dono. La funzione della radice è propriamente quella di assimilare, ovvero, diventare simile a qualcun altro. Con l’incarnazione Dio diventa nostro simile affinché noi possiamo credere, cioè assimilarci a Gesù Cristo assumendo la sua immagine. Gesù Cristo è il modello sul quale Dio crea l’uomo; questa creazione si compie se il figlio dell’uomo, credendo in Gesù Cristo, diventa figlio di Dio. Credere significa radicarsi in Dio, come Dio si è piantato nella nostra storia perché noi conoscessimo nel cuore e sperimentassimo la stessa intimità che unisce il Padre al Figlio. La vocazione che Gesù ci rivela si realizza poco alla volta man mano che impariamo a consacrarci al Padre facendo della nostra vita un dono a Lui. Se attraverso Mosè Dio ha dato la legge perché imparassimo a rinunciare al peccato, solo con Gesù noi riceviamo il dono per eccellenza, lo Spirito dell’Amore, grazie al quale cresciamo nella fede che diventa generativa. Gesù è per noi la radice che ci permette di attingere alla Fonte della Vita perché anche noi possiamo diventare sorgente da cui sgorga l’acqua viva dello Spirito. Il Figlio di Dio, piantando la sua tenda in mezzo a noi, ci fa diventare Casa nella quale Egli dimora. Chi accoglie Gesù e crede in Lui riceve il potere del Figlio di Dio. Non è la forza dei potenti del mondo che sfruttano gli altri prendendo dal popolo ciò che appartiene loro per farne bottino. Il potere del Figlio dell’uomo è il potere dell’Amore che trova la sua massima espressione della consacrazione di sé, ovvero nel dono della propria vita per amore. Gesù, prima del sacrificio della croce, prega il Padre dicendo: «Per loro io consacro me stesso» (Gv 17,11). Dopo essersi immerso pienamente nella terra Egli si consacra totalmente nel Padre perché anche noi possiamo consacrarci nella Verità offrendo il nostro corpo come sacrificio santo e gradito a Dio. Questa è la vocazione alla quale siamo chiamati: vivere da figli di Dio offrendo noi stessi come dono d’amore a Dio per i fratelli. La libertà è propria dei figli di Dio. Non c’è libertà più vera che quella di amare e non c’è amore più libero di questo: dare la propria vita per gli amici.
ORATIO
Signore Gesù,
Sapienza di Dio piantata nella terra
e radice della nuova umanità che viene dal Cielo,
ci riveli nel Vangelo della Croce
il grande amore che il Padre nutre per gli uomini
e il suo ardente desiderio
di renderci suoi figli adottivi.
Con il dono dell’Eucaristia
ci fai pregustare la gioia di partecipare nella tua Casa
al banchetto festoso dei Santi.
Fa che nutrendoci di Te,
pane sul quale Dio Padre ha messo il suo sigillo,
possiamo essere assimilati a Te.
Non permettere che il peccato
dell’avidità del potere e dell’orgoglio
ci impedisca di credere in Te
lasciandoci schiavi dell’avarizia e della presunzione.
La forza del tuo amore purifichi il nostro cuore
e lo renda umile come terra
pronta per accogliere il seme della tua Parola,
affinché metta radice
e fruttifichi in opere di carità.
Tu che sei il nuovo Adamo
nel quale risplende la gloria di Dio,
conformaci a Te
affinché anche noi possiamo raccontare
con i quotidiani gesti d’amore
quanto sia bello essere in Te figli suoi
e con Te tutti fratelli. Amen.
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