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Basilica Cattedrale, 24 aprile 2021

Carissimi, con questa IV domenica di Pasqua, detta del Buon e Bel Pastore, abbiamo l’opportunità di meditare per tre settimane di seguito sulla figura del sacerdote:

  1. Il Bel Pastore dono del Padre per servire le pecore
  2. Il Prete uomo di comunione con Dio, con il presbiterio, nella Chiesa
  3. Il Prete uomo tra gli uomini, scelto da Cristo per dare la vita.

Oggi, carissimi confratelli nel presbiterato, Diaconi, Don Fabio e familiari, religiose e voi tutti fedeli presenti, ringraziamo il Signore per il dono del ministero presbiterale, per il suo amore incondizionato verso la sua Chiesa espressa in questa Basilica Cattedrale dalla vostra presenza.

Questa ordinazione presbiterale viene vissuta nella Domenica del Bel Pastore, in coincidenza con la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni celebrata in tutta la Chiesa Cattolica. Per questo motivo saluto e ringrazio per la presenza il Seminario Regionale della Basilicata, con il Signor Rettore e tutta l’equipe formativa.

Nel momento in cui Gesù ha scelto alcuni a seguirlo, condividendo la sua vita, il suo insegnamento, ha aperto, se mi è permesso dirlo, il primo Seminario per formare i primi 12 da inviare nel mondo come annunciatori del suo messaggio di salvezza e non di se stessi, a mostrare concretamente il suo volto di amore, di misericordia, di attenzione, di condivisione.

Li ha chiamati ad essere suoi collaboratori senza mai abbandonarli. È la promessa che ha fatto loro: “non vi lascerò soli fino alla fine del mondo”. Su questa linea si sviluppa il messaggio di Papa Francesco in occasione del 58° anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: “Le tre parole di San Giuseppe: sogno, servizio e fedeltà”.

Riflessione che scaturisce dall’istituzione dell’anno di S. Giuseppe, presentato come un modello a voi seminaristi, a noi presbiteri e vescovo, a voi diaconi, a te, caro D. Fabio fra poco sacerdote, in cui riconoscere la sua modestia, la normalità, l’autenticità, la responsabilità, i sogni e le azioni. Pur ricevendo una vocazione e missione speciale è molto vicino all’esperienza umana di tutti.

Il Seminario è il cuore di una Chiesa perché è il cuore di Dio dove forma i suoi figli al senso della paternità per dare e partorire vita. Un padre non è padrone e non legifera sulla vita dei figli ma li segue, li ama, li serve, si sacrifica per loro mettendo da parte gli interessi personali.

Ecco l’immagine che Gesù sposa: quella del Bel Pastore che fin dall’inizio del cristianesimo è espressa attraverso la stupenda icona in cui il Pastore porta la pecorella sulle sue spalle e che è stata scelta anche come logo della CEB e del nostro Seminario.

I sogni di S. Giuseppe gli sono trasmessi da Dio perché vivesse la sua missione come “custode del Bel Pastore”. Sono gli stessi sogni di Dio per voi, cari seminaristi e per voi futuri presbiteri. Durante gli anni di formazione, incoraggiati ed aiutati dai formatori, tutti voi seminaristi siete chiamati ad allineare i vostri sogni con quelli che il Signore ha per voi. Diversamente si rischia di essere preti tristi e di rattristare la Chiesa.

In quest’anno particolare, nel contesto del 30° anniversario di fondazione del Seminario Regionale di Potenza e nel 30° anniversario della visita ufficiale di S. Giovanni Paolo II alla Basilicata, per la nostra Chiesa di Matera-Irsina, Cristo Bel Pastore invia nella sua Chiesa tre nuovi presbiteri che saranno ordinati stasera, sabato 01 e sabato 08 maggio.

Carissimi Fabio, Alberto e Marco, dovevate essere ordinati insieme ma le condizioni attuali a causa del Covid 19 non ce l’hanno permesso. Fate parte di questa grande famiglia che è la Chiesa, entrate nello stesso presbiterio, chiamati ad essere pastori a sua immagine, seguire lui, Bel Pastore, nella docilità, ogni giorno, nel vostro pensare, nel vostro parlare, nel vostro agire.

Il festeggiato, in ogni ordinazione, è sempre il Maestro e Signore, Gesù, il Bel Pastore. Ogni sacerdote non celebra se stesso ma il Cristo che in lui e attraverso lui agisce. Non sarete preti per essere importanti o apparire tali davanti agli altri cercando onori e deferenze. Ciò che conta e rimarrà per sempre è l’esempio che il Bel Pastore ci ha lasciato: sono le sue orme da seguire, quelle della croce. Ai piedi della croce siamo diventati Chiesa e per mezzo della stessa croce voi siete chiamati ad essere ministri, contribuendo a costruire la Chiesa del domani.

In questo giorno cogliamo lo sguardo misericordioso e dolce di Gesù, Buon Pastore, che non si risparmia per le sue pecore, anzi dona la sua vita per esse, le chiama per nome e si fa da esse riconoscere. Il Buon Pastore ci ama seriamente perché possiamo imparare ad amare seriamente. Voi carissimi, chiamati ad essere pastori “secondo il suo cuore”, siete inviati a continuare la sua opera irrigando le vite di quanti incontrerete quotidianamente con la sua grazia sacramentale, facendovi prossimità. Servite e non fatevi servire.

Quanto Gesù insegna è di un realismo disarmante. Oggi come allora si ama per averne un tornaconto, si diventa calcolatori, diciamolo con le sue parole: si diventa “mercenari”. Gli interessi personali, spesso anche affettivi, vengono prima del bene del gregge che viene affidato.

Come voi ben sapete, soprattutto nel vangelo di Giovanni, Gesù si rivela con l’espressione “Io sono”, nome che Dio rivelò a Mosè quando davanti al roveto ardente gli chiese come si chiamasse. Ma Gesù dice di più: “io sono il pane della vita (Gv 6,35); “io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10, 7); “Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25); “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “Io sono la vite” (Gv 15,5).

Nel brano odierno Gesù per ben due volte dice “Io sono il pastore buono e bello”. In questa espressione c’è la sintesi di tutte le immagini di pastore che Dio fino a quel momento aveva suscitato in mezzo al suo popolo (pensiamo a Mosè, ma anche al re David e ai Profeti), dello stesso Dio si dice: il “Pastore d’Israele” (Sl 80,2). Un brano nel quale si avverte il fiume d’amore che scorre in mezzo al gregge. È l’amore del Buon Pastore che si espone volendo il bene del suo gregge attraverso l’offerta della sua vita.

Offerta di sé che significa spogliarsi di tutto e nella nudità della carne stare volontariamente sulla croce. Ogni pastore nella Chiesa, incominciando da me, deve amare non la bellezza esteriore anche dei paramenti liturgici di cui io possa rivestirmi, ma quella interiore. C’è una spiritualità sacerdotale che bisogna coltivare, come desiderio primario, che significa consegnarsi pienamente e totalmente nelle mani dell’Amore incarnato. Un pastore che non prega, che non sta davanti al Santissimo Sacramento in adorazione, che non ascolta e non medita la voce del Buon Pastore, sarà capace di fare anche tante cose belle a favore degli altri, ma le legherà sempre più alla sua persona e non a quella di Cristo.

Ed è sempre Gesù che esprime l’intimità con il Padre, che significa comunione: “Per questo il Padre mi ama: perché io (do) depongo la mia vita, per (riprenderla ancora) riceverla (lambàno) di nuovo”. A Gesù nessuno ruba la vita, non è neanche brutto il suo destino perché finito tragicamente sulla croce. Il suo è un dono consapevole che l’ha accompagnato per tutta la vita nel compiere la volontà del Padre, rispondendo “Si” all’Amore. In forza di questo Amore, dal quale si è sentito posseduto, non si è risparmiato. Potremmo dire che “non ha dato la sua vita per ragioni religiose, sacre, teologiche, ma perché quando si ama si è capaci di dare per gli amati tutto se stesso, tutto ciò che si è” (Monastero di Bose).

Il prete, sull’esempio di Gesù Bel Pastore, dona la sua vita non per una legge interna alla Chiesa, non per un obbligo, ma solo ed esclusivamente per amore. Un prete non innamorato dell’Amore con il tempo diventerà un burocrate del sacro, gli peserà ogni cosa che deve fare, resterà legato a ruoli e posti da occupare, si sentirà padrone e non padre dei fedeli, coltiverà affetti malati, sarà giudice dei confratelli, presuntuoso pensando di sapere tutto, conoscere tutto senza l’umiltà di confrontarsi e farsi aiutare dai confratelli che hanno più esperienza di santità di vita, sarà schiavo del denaro. Sarà un prete triste perché non contento di essere prete.

Auguro a te, carissimo D. Fabio, che fra poco sarai ordinato sacerdote, e a voi carissimi Alberto e Marco, di essere come Gesù: donate la vostra vita con gioia, forti dell’amore divino che vi possiede per servire Cristo e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo ogni giorno. Con P. Turoldo dico: “siate uomini dal cuore in fiamme”.

Vi affido a Colei che si è lasciata possedere dalla potenza dell’Amore, la Vergine Maria, generando e partorendo Gesù, il Buon Pastore. A lei guardiamo con fiducia rinnovando il nostro “Si” a Dio per magnificarlo con la nostra vita. Così sia.

 

 Don Pino