Basilica Cattedrale di Matera
28 agosto 2024
Carissimi,
ritrovarsi insieme come Chiesa Diocesana nella Basilica Cattedrale, nel giorno della festa di S. Agostino, per l’ordinazione presbiterale del Diac. Davide Fusiello, è motivo di grande gioia e consolazione.
Ancora una volta il Signore Gesù mostra concretamente il suo amore per questa Chiesa e la consola donando un nuovo pastore. La presenza del nostro Presbiterio, che saluto e ringrazio, esprime l’unicità del ministero che è di Cristo, il vero Pastore, e che da oggi anche attraverso questo nostro fratello, parlerà, agirà, camminerà, entrerà nelle case degli uomini, visiterà gli ammalati, ascolterà le voci di cuori piagati nella carne e nello spirito, porterà speranza e rinnovato entusiasmo ai ragazzi e ai giovani, salderà legami d’amore matrimoniali fragili, mostrerà il volto della misericordia di Dio.
Saluto e ringrazio i genitori e familiari per la cura con cui avete accompagnato, attraverso la vostra preghiera silenziosa e nascosta, il Si di D. Davide; così come saluto e ringrazio il Rettore del Seminario interdiocesano di Basilicata nella persona del Signor Rettore, l’equipe formativa e i seminaristi. Prezioso e insostituibile è il vostro ministero.
Solo colui che, come il profeta Isaia, è capace di consegnarsi a Dio e lasciarsi abitare dallo Spirito del Signore, sperimenta di essere intimamente trasformato e di appartenere a Cristo per sempre, perché consacrato con l’unzione e inviato a mettere in atto esattamente questo: “inviato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore…per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto”. Sicuramente la sintesi la troviamo nell’espressione: “Portare il lieto annuncio ai miseri”. Sono coloro che fanno parte del popolo ma ai quali non vengono riconosciuti i diritti e sperimentano le dolorose ferite della storia, descritti con i “cuori spezzati”.
Compito principale del profeta, quindi del sacerdote, è esattamente quello di stare in mezzo al popolo e con il popolo a lui affidato, camminare con esso e aiutarlo a liberarsi da schiavitù vecchie e nuove. Porta ad un lieto annuncio, come nel Giubileo che celebreremo il prossimo anno: Spes non confundit, «una grazia giubilare» che «permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio». Tutta la terra è invitata a ritornare a Dio per riprendere a produrre frutti preziosi, speciali e gustosi, quali la giustizia, la pace, la fraternità e riscoprire di essere figli dello stesso Padre abitando la stessa terra. Di conseguenza, è presenza di uomo di Dio, a lui consacrato, che agisce e parla da Dio, seminando gioia, speranza, facendo ardere i cuori con grande esultanza, aiutando a vincere il tempo della desolazione e dell’afflizione.
Sant’Agostino ricorda a me, a voi tutti carissimi confratelli nel sacerdozio, a te, carissimo Don Davide che stai per entrare a far parte del Presbiterio: “Si gloriano i pastori, ma: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» (2 Cor 10, 17). Questo vuol dire pascere Cristo, pascere per Cristo, pascere in Cristo, non pascere per sé al di fuori di Cristo. Non certo per mancanza di pastori. Quando Dio per bocca del profeta diceva: Pascolerò io stesso le mie pecorelle perché non trovo a chi affidarle, non intendeva preannunziare tempi tanto calamitosi da vederci privi di pastori: «E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10, 16). Cristo dunque è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori” (Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 46, 29-30; CCL 41, 555-557).
Da questo comprendiamo che siamo chiamati a riscoprire l’agire di Cristo in noi e attraverso di noi. Il vero Profeta, il vero sacerdote, è colui che non attira il consenso degli altri sulla sua persona ma su Gesù, e su quanto il Signore, nella sua infinita pazienza e misericordia, compie ogni giorno a favore degli uomini, cosciente che per far crescere ogni cosa ci vuole tempo. Chi fa crescere è sempre Dio. Diceva bene Benedetto XVI quando rivolgendosi al clero di Roma nel 2005 affermava: «siamo mandati non ad annunciare noi stessi o nostre opinioni personali, ma il mistero di Cristo e, in lui, la misura del vero umanesimo».
È questo il pericolo più grande che ognuno di noi con il tempo può correre: abituarsi a fare il prete e a non essere prete, cercare consensi dalla gente, difendere la propria posizione e il proprio ruolo, considerarsi impiegati di posto fisso. Un prete diocesano è prete per tutta la Diocesi e non solo per il proprio paese o città, ed è veramente libero e ama la Chiesa ogni qual volta, con inevitabile sofferenza, gli viene chiesto di servirla nella novità che diventa ricchezza per se stesso e per tutti i fedeli.
In questi giorni sto scoprendo la figura di un santo sacerdote dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, Don Valerio Oronzo. Riporto un pensiero che mi ha molto colpito. Nel 1955 scriveva, nell’anniversario della sua ordinazione presbiterale: “Adoro o Signore la tua infinita bontà. Cosa hai visto di buono in me per elargirmi tante grazie? Miseria! Ed hai colmato la mia miseria con la sovrabbondanza della tua grazia. Domani se potessi stare tanto raccolto, che festa del cuore! Io e lui, Gesù, sull’altare, nel confessionale, ai piedi del tabernacolo a dirci un amore che deve consumarsi nel nascondimento, nel sacrificio, nella dedizione”.
Ed è l’evangelista Giovanni che, sia nella seconda lettura che nel brano del Vangelo, ci dice che “Dio è amore”. Se è amore vuol dire che rimanendo nel suo amore, uniti a Cristo come i tralci alla vite, saremo capaci di amarci gli uni gli altri. Mi sembra interessante sottolineare che Giovanni non dice che “l’amore sia Dio”, bensì che “l’amore è da Dio”. L’evangelista dice che «Dio è amore» per farci comprendere che ognuno di noi è chiamato a fare esperienza di lui come amore, in qualsiasi momento della vita. Questa d’altronde è la natura di Dio e non sempre siamo capaci di capirlo. Solo contemplando il mistero dell’incarnazione del Figlio, della sua passione, morte e risurrezione, si riesce a cogliere la pienezza di un amore senza limiti. Ogni credente è chiamato ad entrare in questo abisso dell’amore, lo è in particolare il sacerdote.
Un amore senza limiti, per Cristo a tempo pieno, fino ad offrire la propria vita solo ed esclusivamente perché innamorato dell’Amore che l’ha conquistato e nel quale è chiamato a rimanere. In questo amore, carissimo Don Davide, sei chiamato ad entrare e rimanere non perché fra poco dirai più volte “si, lo voglio”, ma perché da oggi sei chiamato ad agire mostrando nella tua carne, attraverso i tuoi gesti, il tuo dire, il tuo fare, la pienezza dell’amore di Dio che passa attraverso di te. Lascia che il Signore parli attraverso la tua vita più che con le tue parole. Più che parlare di misericordia e di perdono, mostra nei fatti che l’amore che ti possiede t’impedisce di giudicare, condannare, di essere nemico anche del confratello sacerdote. Come si può assolvere un penitente o celebrare la S. Messa se nel cuore non c’è misericordia e perdono? La grazia verso i fratelli arriverà lo stesso attraverso il prete, ma quella stessa grazia che viene data agli altri, mancherà a chi la dona, perché schiavo del demonio che lo lega a sé sottomettendolo al denaro, agli affetti disordinati, al desiderio di primeggiare.
Solo così, come preti, saremo capaci di capire che Gesù non ci chiede di ricordarci di lui e di parlare di lui, ma a fare di lui la nostra abitazione: “rimanere in lui”. Il prete non cerca un’abitazione dove stare (ha bisogno anche di quella). La sua abitazione vera non è dunque, un luogo nello spazio, ma l’amore dove abitare e rimanere, per sentirsi, come Cristo, l’amato del Padre. Infatti, Gesù in quanto amato, ci mostra concretamente il Padre amante: “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.
Tu, carissimo D. Davide, come ognuno di noi, sei chiamato a custodire quanto Gesù ci insegna, quanto Lui nella sua missione ha portato a termine per salvare l’umanità intera: “se custodirete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. Non è un semplice osservare come il giovane ricco, ma un donare tutta la ricchezza della propria vita per rendere ricchi anche gli altri e rimanere nello stesso amore.
E ancora S. Agostino dice: “Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro, certo gliele affidò come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa”.
In questo tempo così tribolato e insanguinato a causa soprattutto dei conflitti bellici tra cristiani ortodossi in Russia e Ucraina, tra credenti, se pur in modo diverso del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, tra Ebrei e Palestinesi, ciò che prevale è osservare delle leggi che poco hanno a che fare con il Dio di Gesù Cristo, che è amore. Di questo Dio sei chiamato ad essere testimone con la vita ancor prima che con le parole.
La Madonna della Bruna, che ha incarnato l’Amore di Dio, da cui è stata abitata, fedele testimonianza per le strade della storia, ti aiuti, preghi per te e con te. Così sia.
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