XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina
Pr 9,1-6 Sal 33 Ef 5,15-20
O Dio, che sostieni il tuo popolo
con il pane della sapienza
e in Cristo tuo Figlio lo nutri con il vero cibo,
donaci l’intelligenza del cuore
perché, camminando sulle vie della salvezza,
possiamo vivere per te, unico nostro bene.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro dei Proverbi Pr 9,1-6
Mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato.
La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».
La sapienza ospitale
Il libro dei Proverbi si apre con il prologo che copre i primi nove capitoli che raccolgono alcune istruzioni. L’autore parla della Sapienza in termini personali. Infatti ad essa sono attribuite delle azioni che può compiere solo una persona: Edifica, intaglia, prepara la mensa per la festa. Sovrapponendo il piano simbolico a quello personale, la descrizione risulta essere la narrazione dell’opera del Creatore. Egli è il Sapiente perché agisce con Sapienza la quale si manifesta nella perfezione della creazione (le sette colonne). La bellezza del cosmo rimanda all’armonia del suo Autore. Le creature stesse sono latrici di un messaggio rivolto agli uomini invitati alla mensa per gustare e vedere quanto è buono il Signore. Chi si accosta al banchetto accetta di partecipare alla festa nella quale la condivisione realizza il fine per cui tutto è stato creato. Mangiando il pane della sapienza e bevendo il vino preparato da Dio, il commensale è coinvolto da protagonista nella dinamica della creazione fatta di relazioni di amore nelle quali ci si dona gli uni agli altri con gioia. L’invito della Sapienza, non è rivolto a chi è “ricco di meriti” ma, al contrario, a chi è povero di senno, ovvero a chi riconosce che non ha la risposta a tutto, soprattutto agli enigmi della vita. L’umile, consapevole della sua insufficienza, cerca la via della felicità. Potrebbe perdersi nei labirinti di discorsi astratti, mentre la Sapienza lo invita a nutrirsi dei suoi doni per avere forza e coraggio di percorrere la via della giustizia anche se essa sembra essere la meno comoda e affidabile. La convivialità è da sempre espressione di condivisione e di comunione; esse sono le caratteristiche principali di una condotta di vita saggia e intelligente che centra l’obbiettivo della vera felicità.
Salmo responsoriale Sal 33
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 5,15-20
Sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Intelligenza spirituale
San Paolo esorta i cristiani di Efeso a verificare la propria condotta di vita, se è coerente con la scelta iniziale di aderire a Gesù Cristo seguendolo sulla via dell’amore, oppure è in contraddizione con la fede che professano con le parole. La tentazione è sempre a portata di mano perché per il mondo la sapienza del Vangelo è da rigettare come stoltezza o addirittura una pazzia. Il modo di vivere le relazioni personali rivela quale logica l’ispira. Il ragionamento che si basa sul principio del calcolo e dell’utile alimenterà polemiche inutili e strumentali atte solamente a vincere sugli altri e ad eliminarli per avere campo libero e primeggiare. L’esperienza della vita ordinaria suggerisce il fatto che non ci può permettere di essere deboli ma che bisogna essere sempre sul piede di guerra e pronti a combattere contro gli altri per non soccombere. Gesù non è lo strumento per avere successo ma è Dio che partecipa all’uomo la forza dell’amore la quale è l’unica potenza efficace che sconfigge il male e dona la vera pace. Gesù ha rigettato la tentazione e ha sconfitto il male dalla croce pregando. La preghiera è l’arma più potente che fa della lingua, non un’arma che ferisce, ma uno strumento della grazia di Dio. Il giudizio tagliente, la critica cattiva e aggressiva, la mormorazione e la lamentela nuocciono alla vita delle singole persone alla comunità ed è dunque tutto tempo perso! Paolo invece esorta sempre a cogliere l’occasione per fare il bene e seminare la pace. Questo è possibile se, mettendosi in ascolto della Parola, il cristiano fa serio discernimento della volontà di Dio per prendere consapevolezza volta per volta della propria vocazione e acquisire forza e coraggio per attuarla nella propria vita.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
LECTIO
Comunione, partecipazione e missione
Contesto
Dopo il segno dei pani sulla riva del mare di Tiberiade (Gv 6, 1-15) e il successivo passaggio verso Cafarnao, dove Gesù raggiunge i discepoli camminando sulle acque (Gv 6, 16-21), anche la folla lo cerca e vi si dirige (Gv 6, 22-24); una volta trovato inizia il dialogo che avviene nella sinagoga di quella cittadina (Gv 6, 25-59). La discussione, ricca di accenni polemici, in un primo momento è tra Gesù e la folla (vv. 26-40), che lo cerca per il fatto di essersi saziata con il cibo che Gesù ha procurato, per poi degenerare in una sorta di lite con i Giudei che mormorano contro di lui (vv. 41-58).
La folla cerca Gesù per farlo re perché riconosce in lui il compimento della promessa fatta da Mosè (Dt 18,15.18). Infatti, il miracolo dei pani richiama quello della manna nel deserto. Durante il viaggio verso la terra promessa Israele sperimenta la potenza di Dio che assicura anche nel deserto il nutrimento necessario per vivere. La manna era finalizzata a sostenere il cammino. Essa termina con l’ingresso nella terra promessa dove gli Israeliti sono finalmente liberi di coltivare la terra e trarne il cibo da mangiare. Il popolo doveva procurarsi il cibo raccogliendo la manna che, pur essendo considerato “celeste”, era deperibile come qualsiasi altro alimento “terreno”. Gesù invita la folla a non procurarsi solo il cibo terreno, che deperisce e può corrompere, come la manna, ma quello che Dio offre. Infatti, Il pane di Dio, non è una cosa ma è una persona, colui che discende dal cielo per dare la vita. Gesù identifica sé stesso con il pane del cielo: «Io sono il pane della vita» (6, 35.48). Gli Israeliti hanno gustato il pane dato loro gratuitamente, hanno visto con i loro occhi quanto è buono il Signore, ma il loro desiderio non è andato oltre il bisogno di saziare la fame. La folla va da Gesù non perché si sente attratta dal desiderio di vita eterna, ma dall’istinto della fame. La gente cerca ciò che sazia e non ciò che fa vivere, ciò che riempie la pancia e non ciò che compie la volontà di Dio. Gesù aveva detto ai discepoli che lo invitavano a mangiare ciò che avevano comprato a Sicar, in Samaria poco distante dal pozzo di Giacobbe: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Infatti, afferma di non essere disceso dal cielo per fare la sua volontà ma la volontà del Padre, colui che lo ha mandato. Il progetto di Dio è questo: «Chiunque vede il figlio e crede in lui abbia la vita eterna» e risusciti nell’ultimo giorno (cf. Gv 6, 40). La risurrezione non è semplicemente vivere oltre la morte, ma vivere attraverso la morte, ossia vivere per amore e per amare. Nelle parole di Gesù alla folla in filigrana appare il racconto della creazione in cui Dio dà all’uomo da mangiare ciò che produce la terra. Tutti i frutti può mangiare, tranne quello dell’albero della conoscenza del bene e del male. Istigata dal serpente, la donna vede il frutto proibito con gli occhi pieni di avidità; gli appare bello e buono da mangiare per acquistare sapienza, perciò, prende e mangia dandone anche all’uomo. La donna ha visto e ha disobbedito al comando di Dio. Gesù si presenta come il frutto che il Padre offre da mangiare. Le sue parole (e i segni da lui compiuti) sono vere perché in Gesù c’è la sapienza, cioè la verità. Il serpente, che è la sapienza di questo mondo, è menzognero mentre Gesù, Sapienza di Dio è veritiero. Il Diavolo vuole allontanarci da Dio, mentre Gesù ci accompagna verso il Padre; il Demonio vuole la nostra morte, mentre Dio desidera la nostra vita. L’albero della vita nel giardino dell’Eden è la croce, posta sul Golgota, il cui frutto è Gesù, il trafitto. Giovanni, dopo la trafittura con la lancia e la fuoriuscita di acqua e sangue dal fianco, cita il profeta Zaccaria 12,10: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37). «Vedere e credere» per il quarto evangelista significa conoscere la volontà di Dio e metterla in pratica. La volontà di Dio nasce dall’amore che nutre verso gli uomini per i quali desidera la vita eterna. Dunque, il cuore del messaggio della prima parte del dialogo con la folla è l’autorivelazione di Gesù, Pane di vita disceso dal cielo.
La sua provenienza divina è l’oggetto della mormorazione dei Giudei che presumono di sapere le sue origini, per niente nobili, perché conoscono il padre e la madre. I Giudei sanno chi è Gesù perché altri uomini li hanno istruiti. Gesù invita a non cercare la sapienza discutendo tra loro ma, come affermano i profeti (cf. Is 54,13 e Ger 31, 33-34), a mettersi in ascolto dell’insegnamento di Dio desiderosi di essere istruiti da Lui. La Parola di Dio è nutriente più del pane che sazia la fame. Gesù invita a cercarlo non per ricevere il pane che sazia ma la Parola di Dio che fa vivere. Bisogna ascoltare e lasciarsi guidare dal Padre che con il suo Spirito ha riversato su tutti la sua grazia e la sua consolazione e ha scritto la sua legge nel cuore. La fede è il dono del Padre che attira al Figlio con il desiderio di unirsi e conformarsi a lui. Egli, infatti è l’unico che conosce il Padre perché lo ha visto. Gesù è la Sapienza di Dio da lui inviata perché chiunque l’assimila (crede in lui) possa vivere come Dio (la vita eterna). Dopo la prima autorivelazione alla folla, Gesù ribadisce per la seconda volta: «Io sono il pane della vita». La manna del deserto è solo ombra del vero pane del cielo. Infatti, i padri che l’hanno mangiata sono morti, come anche coloro che si sono nutriti dell’insegnamento delle Scritture. Mosè ha portato dal monte Sinai la Legge e ha pregato perché il popolo nel deserto potesse essere sfamato da un cibo. In tal modo Dio, ha preparato Israele ad accogliere il vero pane del cielo, la Sapienza che viene dall’alto, affinché chi ne mangia possa non morire per sempre ma vivere.
Struttura
I vv. 51-58, che compongono la pericope evangelica, riportano le parole rivolte ai Giudei. Possiamo distinguere due parti separate dal v. 52 che riporta la seconda obiezione dei Giudei.
v. 51: Autorivelazione e l’autodonazione di Gesù
v. 52: Obiezione dei Giudei
vv. 53-58: La pro-esistenza di Gesù e del credente
v. 51: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Il versetto contiene due frasi e tre affermazioni:
a – Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
b – Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
a1 – il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
La prima affermazione riprende la sua origine divina e l’identificazione con il pane della vita dato da Dio, prefigurato nella manna del deserto e nella Legge di Mosé. In realtà non è Mosè che ha dato il pane dal cielo ma è il Padre che dà il pane vero. Gesù s’identifica con il pane del cielo che Dio offre; Dio è il datore del pane che viene dal cielo.
La terza affermazione aggiunge alla rivelazione della donazione divina il fatto dell’autodonazione («la mia carne»). L’incarnazione, espressa da Giovanni con l’affermazione «il Logos divenne carne» (Gv 1,14), segna il momento nel quale il Padre dà il pane dal cielo. Dio, diventando uomo, condivide la nostra condizione umana in tutto, eccetto il peccato. L’affermazione centrale riguarda l’uomo a cui Dio dona il nutrimento. Chi si nutre del cibo che Dio dona vive per sempre.
v. 52: «Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”».
L’obiezione dei Giudei, dopo la questione della sua origine divina e, dunque, sul mistero dell’incarnazione, si concentra su quella dell’autodonazione attraverso la quale avviene la redenzione. La mormorazione dei Giudei richiama quella degli Israeliti nel deserto che, stanchi della manna, sono desiderosi di qualcos’altro. Dio promette di dar da mangiare carne ma gli Israeliti sono increduli. Anche per i Giudei quelle di Gesù sono affermazioni inaudite. Se è problematico accettare l’abbassamento di Dio che viene per assumere la carne umana, lo è ancora di più credere che possa farsi mangiare perché questo significa farsi distruggere. I Giudei conoscevano solo la carne dei sacrifici di comunione che veniva offerta dai sacerdoti per essere mangiata. Condividere la carne dei sacrifici significava partecipare di quella comunione con Dio che si era realizzata col sacrificio. I Giudei comprendono che Gesù sta alludendo ad un sacrificio cruento come quello dell’agnello pasquale che veniva immolato nel tempio e le cui carni erano consumate nel rito pasquale.
La risposta di Gesù si articola attorno alla vita intesa come comunione con lui e il Padre.
vv. 53-56: Chi mangia la carne e beve il sangue di Gesù è in comunione con lui.
v. 57: Come Gesù vive per il Padre (ama e fa la sua volontà), così chi mangia Gesù vive per lui (ama come lui ha amato).
v. 58: Chi mangia il pane disceso dal cielo vive in eterno.
v.53: Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico:
se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue,
non avete in voi la vita.
v.54: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
v.55: Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
v.56: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui.
La rivelazione di Gesù riprende quello che ha detto alla folla circa il cibo che dà il Figlio dell’uomo, quello che dura e non si corrompe perché viene dal Padre (Gv 6, 27). Aggiunge che bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue per avere in sé la vita. Nel v. 54 Gesù spiega che il misterioso Figlio dell’uomo di cui bisogna mangiare la carne e bere il sangue è lui stesso. Il divieto di mangiare la carne degli animali con il sangue viene dall’idea che il sangue è la sede della vita. In origine Dio aveva dato come cibo agli uomini e agli animali solo prodotti della terra. Nella nuova alleanza sancita con Noè viene introdotta la possibilità di nutrirsi di carne facendo ben attenzione a non bere il sangue: «Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue» (Gn 9,4). Questo divieto intende educare l’uomo a non considerarsi padrone assoluto della vita, né della propria né tantomeno di quella altrui, animale o persona che sia. Al contrario, L’uomo deve dare conto a Dio del sangue sparso, ovvero, della vita tolta con violenza. La vita si toglie anche con la calunnia. Quindi bere il sangue significa fare propria la vita dell’altro. Al di là della letteralità delle parole, Gesù intende dire che egli offre sé stesso come sacrificio vivente. In tal senso, comprendiamo che Gesù non sta invitando a violare la legge che proibisce di bere il sangue, ma ad accoglierlo e riceverlo come dono, e non semplicemente come un bene di consumo. Chi mangia di lui non si nutre di un morto, ma di Colui che è vivo e dà la vita.
La vita di Gesù è lo Spirito Santo, amore che apre il cuore per farsi amare e spinge ad amare, facendosi dono per l’altro. La «carne e il sangue» del Figlio dell’uomo indica la sua condizione di debolezza e di fragilità sintetizzate nell’immagine dell’Agnello pasquale. Questo animale rappresenta la forza dell’umiltà e la potenza del perdono. Il sangue dell’agnello, nel contesto della pasqua, è segno d’identità, di appartenenza e di salvezza. Mangiare la carne e bere il sangue significa entrare in un rapporto di comunione intima grazie alla quale avviene l’interiorizzazione del rapporto e il legame che si instaura diventa indissolubile, come quello che si stabilisce al momento della generazione. Una volta generati si è figli o padri e madri per sempre. Le parole di Gesù spiegano l’evento della Pasqua che si perpetua nell’Eucaristia. Il sacrificio di Cristo sulla croce è il dono del suo corpo agli uomini in obbedienza alla volontà del Padre. Il valore della Pasqua è duplice: espiatorio, perché il sangue perdona il peccato, e comunionale perché con la riconciliazione stabilisce un rapporto di alleanza eterna fondata sull’amore.
v.57: Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Gesù instaura un paragone per indicare che il modello dell’uomo beato e sapiente non è Mosè e i loro padri, ma lui stesso; infatti, essendo il Figlio di Dio, ha un rapporto unico con Lui, ma non esclusivo. Come Gesù vive per il Padre, perché lo ama e obbedisce alla sua volontà, così chi lo ama e obbedisce al comando dell’amore, si nutre della Parola che lo aiuta ad amare i fratelli con tutto sé stesso. Per Gesù il senso della vita risiede nel dialogo continuo col Padre a cui accede anche chi interiorizza la Parola di Cristo facendo dell’amore misericordioso, ovvero la vita di Dio, il principio ispiratore di ogni progetto e stile di vita in tutti gli ambiti e le relazioni.
v. 58: Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
L’autodonazione nel sacrificio della croce è il compimento del dono di Dio che nutre il suo popolo nel cammino dell’esodo. Gesù è superiore a tutti gli altri doni di Dio perché lui è la pienezza della grazia. «Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,16-17). San Paolo in 1Cor 10 spiega che i padri che avevano mangiato il pane nel deserto erano morti perché, ingrati, avevano ceduto alla mormorazione alimentando malumore e ribellione. Solo chi mangia con il desiderio di fare comunione con Dio e i fratelli vive veramente perché egli stesso diventa pane spezzato per i fratelli.
MEDITATIO
Nell’Eucaristia lo “scambio” diventa “cambiamento” e la “trasformazione” una nuova “Trasfigurazione”
Gesù nel vangelo insiste nel dire di mangiare la propria carne. Nel linguaggio biblico la carne indica l’umanità fragile, soggetta alla sofferenza, vulnerabile. Diventando uomo Dio si è fatto mortale, debole, mancante. Prendendo la nostra carne Dio si è fatto povero con i poveri, pellegrino con i pellegrini, precario con i precari, vittima con chi subisce ingiustizie, sofferente con gli infermi. Dio ha piantato la sua tenda in mezzo alle nostre nel deserto per condividere il nostro dolore affinché noi potessimo partecipare della sua gloria.
Gesù soffrendo la fame e la sete, subendo ingiustizie e condanne, mangia con noi il pane di lacrime, sopporta con noi la fatica nel proseguire sul cammino della vita, beve con noi il calice amaro delle tante umiliazioni. Nei nostri deserti, lì dove sentiamo la delusione di amori traditi, la rabbia per sogni infranti, la tristezza per ciò che ci manca, Dio ci viene incontro e prepara per noi un banchetto nel quale dà sé stesso.
La vita è un cammino che ci cambia in meglio o in peggio. Ci cambia in meglio se, lasciandoci amare, cresciamo come uomini e figli di Dio, in peggio se, dimenticandolo, pretendiamo di fare a meno di Lui regredendo così su posizioni che ci fanno assomigliare più alle bestie selvatiche che a persone. L’uomo viene deformato da ciò che accumula con avidità, ma si lascia educare come persona da ciò che accoglie con spirito filiale e di gratitudine.
Un Dio compassionevole che condivide tutto con l’uomo, eccetto il peccato, non era stato ancora conosciuto, perché un amore così grande non era stato ancora sperimentato fino a quando Gesù Cristo, il Figlio di Dio, non è morto sulla croce.
Alla mensa eucaristica si rinnova quel mistico scambio che chiamiamo comunione: Dio compassionevole prende su di sé la nostra povertà e con benevolenza dona la ricchezza della sua misericordia; dall’altra parte l’uomo accoglie con gratitudine la grazia di Dio e gli offre con umiltà la sua povertà.
Nell’eucaristia lo scambio diviene cambiamento sostanziale e la trasformazione una trasfigurazione. I gesti rituali danno forma e significato a quelli esistenziali. Sicché la comunione con Dio diventa comunione fraterna.
Nell’Eucaristia avviene una nuova creazione in cui l’uomo diventa essere vivente perché capace di comunione. I suoi gesti quotidiani diventano segni eucaristici attraverso i quali giunge lo Spirito di Dio che ridona il sorriso a chi lo ha perduto, il coraggio allo sfiduciato, la salute agli infermi, la speranza ai delusi, la vita ai morti. La povertà, la sofferenza e la morte di Gesù sulla croce si trasformano per l’uomo in ricchezza di amore, in gioia nel donare e vita che genera.
ORATIO
Signore Gesù,
Tu sei pane vivo,
il Vivente che dona la Vita,
Carne viva dal colore rosso
in cui scorre lo Spirito di Dio,
frutto saporito che ti offri
sull’altare della croce,
dacci oggi il nutrimento
della nostra anima
per gustare e vedere
quanto è buono il Signore.
Signore Gesù,
Tu sei il pane vero,
Verità che nutre di speranza
il nostro desiderio di amore,
cibo che non corrompe
ma che edifica nella carità,
alimento celeste che fa fruttificare
la nostra umanità terrena,
consacraci col fuoco del tuo Spirito
per essere sacerdoti misericordiosi e fedeli
che offrono i loro corpi
come sacrificio santo e gradito a Dio.
Signore Gesù,
Tu sei il pane del pellegrino
che sulle strade del mondo cerca la pace;
sei il pane dei profeti che il Padre invia
per portare la luce del vangelo nel mondo;
sei pane di umiltà e di mitezza
che consola le lacrime degli afflitti;
sei pane della giustizia
che tempra il cuore dei perseguitati;
sei il pane della Carità
che tutti unisce al banchetto festoso dei santi,
fa di noi lievito di fraternità
e sale che rinsalda legami di comunione,
olio che scioglie i nodi dei conflitti
e vino che restituisce la gioia del perdono.
Amen.
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