«Maestro, dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12). È questo l’interrogativo che pongono i discepoli a Gesù in vista della Pasqua che come ebrei devono preparare e celebrare. È lo stesso interrogativo che stasera anche noi, come Chiesa di Tricarico accolta nella comunità di Gorgoglione, sentiamo di porre a Gesù.
Carissimi, vi saluto tutti e ringrazio per la vostra partecipazione e accoglienza. Grazie perché voi, fedeli di Gorgoglione, avete preparato e abbellito le strade per accogliere Gesù che fra poco passerà risorto e vivo in mezzo a noi. Grazie perché vi siete preparati a questo momento vivendo l’adorazione notturna nella notte tra giovedì e venerdì.
Adoriamo Gesù stasera in particolare, ma ogni volta che celebriamo l’Eucaristia non solo respiriamo la sua presenza ma ci nutriamo del suo vero corpo e sangue nella specie del pane e del vino consacrato. Ecco perché siamo invitati a preparaci a vivere la Pasqua settimanale o quotidiana riscoprendo l’importanza del sacramento della riconciliazione (confessione), l’atto penitenziale all’inizio della stessa celebrazione.
Per noi cristiani celebrare la Pasqua assume un significato ancora più profondo. Capire qual è il luogo o i luoghi dove prepararla per accogliere degnamente il Signore. Lasciamoci aiutare dal brano del vangelo.
Mi sono sempre chiesto cosa potesse rappresentare l’uomo “che porta una brocca d’acqua” (Mc 14,13). Non ha nome, i discepoli non lo conoscono ma lo riconoscono per via di quella brocca d’acqua che porta. È come dire che Dio si serve sempre di qualcuno che incontriamo sul nostro cammino per indicarci la via da seguire. Spesso siamo noi stessi gli anonimi che gli altri guardano e da cui attendono indicazioni nella vita personale. Uomini e donne, anziani e giovani, ragazzi e bambini, ammalati e sani, tutti bisognosi di un sorso d’acqua, rappresentano la stessa brocca che dà vita attraverso gesti di amore, di attenzione, di gioia, di speranza, di giustizia. Solo chi sente dentro di sé la presenza di Dio è capace di dissetare la sete del divino che ogni uomo porta dentro di sé: arsura del totalmente Altro.
Il termine greco, dal quale viene tradotto “che porta” “bastazòn”, ci rimanda ad un’altra parola greca che conosciamo meglio: “baptizòn”, cioè che battezza. E sono i Padri della Chiesa che leggono la figura di quest’uomo che porta la brocca d’acqua, dà il battesimo. Chi è introdotto nella vita cristiana sale sempre più in alto nel desiderio di Dio. Infatti l’uomo introduce i discepoli nella sala superiore, dove sarà celebrata l’Eucaristia.
Dice Papa Francesco: “Per celebrare l’Eucaristia, dunque, bisogna anzitutto riconoscere la propria sete di Dio: sentirci bisognosi di Lui, desiderare la sua presenza e il suo amore, essere consapevoli che non possiamo farcela da soli ma abbiamo bisogno di un Cibo e di una Bevanda di vita eterna che ci sostengono nel cammino. Il dramma di oggi – possiamo dire – è che spesso la sete si è estinta. Si sono spente le domande su Dio, si è affievolito il desiderio di Lui, si fanno sempre più rari i cercatori di Dio. Dio non attira più perché non avvertiamo più la nostra sete profonda. Ma solo dove c’è un uomo o una donna con la brocca per l’acqua – pensiamo alla Samaritana, per esempio (cfr Gv 4,5-30) – il Signore può svelarsi come Colui che dona la vita nuova, che nutre di speranza affidabile i nostri sogni e le nostre aspirazioni, presenza d’amore che dona senso e direzione al nostro pellegrinaggio terreno. Come già notavamo, è quell’uomo con la brocca che conduce i discepoli alla stanza dove Gesù istituirà l’Eucaristia. È la sete di Dio che ci porta all’altare. Se manca la sete, le nostre celebrazioni diventano aride. Anche come Chiesa, allora, non può bastare il gruppetto dei soliti che si radunano per celebrare l’Eucaristia; dobbiamo andare in città, incontrare la gente, imparare a riconoscere e a risvegliare la sete di Dio e il desiderio del Vangelo”.
È bene precisare un altro aspetto. Coloro che portavano l’acqua nelle brocche generalmente non erano gli uomini ma le donne. In questo brano l’allusione è chiaramente a Giovanni Battista, colui che battezzava con acqua, come segno di conversione. La stessa brocca in greco si dice keramion, mentre in ebraico marekah, che, secondo gli esegeti, riconduce al nome dell’autore del Vangelo, Marco, e probabilmente la casa ove venne istituita da Gesù l’Eucaristia, attraverso l’ultima cena, era proprio quella dell’evangelista Marco.
Da questi elementi comprendiamo che l’uomo della brocca indica un vero cambiamento di vita, rompendo con il passato. Dio scrive una storia nuova con ogni uomo che si lascia incontrare. A maggior ragione chi presiede la celebrazione eucaristica e chi vi partecipa. Benedetto XVI, parlando del Santo Curato d’Ars diceva: “San Giovanni Maria Vianney amava dire ai suoi parrocchiani: “Venite alla comunione… È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno” (Bernard Nodet, Le curé d’Ars. Sa pensée – Son coeur, éd. Xavier Mappus, Paris 1995, p. 119). Con la consapevolezza di essere inadeguati a causa dei peccati, ma bisognosi di nutrirci dell’amore che il Signore ci offre nel sacramento eucaristico, rinnoviamo questa sera la nostra fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia. Non bisogna dare per scontata questa fede! C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia. È sempre forte la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superficiali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene”.
Anche se in parte ho già dato una spiegazione, cercherò di rispondere a questo interrogativo: come mai la Pasqua dev’essere celebrata al piano superiore? Non era secondo le consuetudini. Infatti, il piano superiore indica un luogo teologico perché rievoca prima di tutto il monte dove fu sancita la prima alleanza (Es 24,4-8) di cui abbiamo sentito parlare nella prima lettura. Ma c’è di più. Allude alla croce che sarà innalzata sulla terra, destinata a tutti, ad una moltitudine (14,24). In questa sala Gesù istituisce l’Eucaristia dicendo che pane e vino sono corpo e sangue suo. Sempre in questo luogo appare risorto. Gli undici discepoli continueranno ad abitare insieme a Maria e tanti altri in un atteggiamento di preghiera vivendo l’attesa del dono dello Spirito Santo (At 2,1ss). Sempre su questo piano superiore la prima comunità s’incontra per ascoltare la Parola, per la frazione del pane, per la preghiera (At 2,42). Ne consegue che questa stanza rivela il volto della Chiesa, radunata nel nome di Gesù e nata sempre in alto, sul Golgota, ai piedi della Croce, quando dal suo fianco, dopo il colpo di lancia, sgorgarono sangue e acqua, simboli dei sacramenti della Chiesa.
E perché l’evangelista Marco dice che la “sala del piano superiore è grande”? È struggente pensare che Dio da grande, meglio da immenso, si fa piccolo, in un pezzetto di pane e in un sorso di vino, ma chiede all’uomo di diventare grande, di farsi grande, dilatando il suo cuore di carne per essere capace di accoglierlo e diventare come Lui, anzi Lui stesso. Serve un passaggio fondamentale: uscire dal proprio io, così piccolo e misero, piccola stanza, ed entrare nel grande spazio dello stupore e della contemplazione. È questo che manca oggi all’uomo.
Ecco perché bisogna preparare la sala. È il momento della conversione per essere collaboratori del progetto di Dio nella attuazione della nuova Pasqua. Non ci rimanda forse a quella tradizione che fino a qualche anno fa, in vista della Pasqua, chiamavamo “pulizie pasquali”? Ed era l’occasione di confessarsi almeno una volta l’anno? Preparare la sala per noi cristiani è un monito continuo a ritornare a Dio per non correre il rischio di cadere nella presunzione di non avere più bisogno della sua grazia. Questa mancanza di ricerca della grazia è la causa di tanti mali che albergano nel cuore dell’uomo e che portano ad essere egoisti provocando ingiustizie, guerre tra fratelli e famiglie, inimicizie, maldicenze, connivenze, disprezzo della vita, gelosie, femminicidi, distruttivo gioco d’azzardo, violenze di ogni genere.
Far parte della Chiesa significa riscoprire di essere parte essenziale e fondamentale di questa grande famiglia che si ritrova attorno all’ascolto della Parola e si nutre dell’unico Pane che è Cristo, che si spezza e si dona, quale nutrimento di vita e di vita eterna. Una famiglia, dunque, che tiene sempre le braccia aperte per accogliere tutti senza rimandare indietro nessuno, e senza rimanere imbrigliati da quel servizio pastorale, sia come laici che come preti o religiose, al quale comunque rimanere fortemente ancorati. L’Eucaristia ci libera perché ci mette in comunione con il risorto e rinnova nel cuore di ognuno l’entusiasmo e la gioia di appartenere a Cristo e alla Chiesa che con amore serviamo.
Maria, la Madre del dolore e della gioia, donna eucaristica ci accompagni e ci guidi per le strade della vita perché al nostro passare si possa sentire il profumo del divino che avvolge l’umano e in esso vivere nell’attesa del ritorno di Cristo sulla terra. E con Benedetto XVI diciamo: “Anche questa sera, mentre tramonta il sole su questa nostra amata terra, noi ci mettiamo in cammino: con noi c’è Gesù Eucaristia, il Risorto, che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Grazie, Signore Gesù! Grazie per la tua fedeltà, che sostiene la nostra speranza. Resta con noi, perché si fa sera. “Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!”. Così sia.
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