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DOMENICA DELLE PALME (ANNO B) – LECTIO DIVINA

Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11  

Mc 14,1-15,47: La passione del Signore

Dio onnipotente ed eterno,

che hai dato come modello agli uomini

il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore,

fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,

fa’ che abbiamo sempre presente

il grande insegnamento della sua passione,

per partecipare alla gloria della risurrezione.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Isaìa Is 50,4-7

Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso. (Terzo canto del Servo del Signore)

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,

perché io sappia indirizzare

una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchio

perché io ascolti come i discepoli.

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio

e io non ho opposto resistenza,

non mi sono tirato indietro.

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,

le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;

non ho sottratto la faccia

agli insulti e agli sputi.

Il Signore Dio mi assiste,

per questo non resto svergognato,

per questo rendo la mia faccia dura come pietra,

sapendo di non restare confuso.

Discepoli della umile e mite Sapienza

Il servo del Signore appare come un saggio discepolo che è incaricato di istruire a sua volta i pii Giudei che «temono Dio». Egli è inviato a tutti gli smarriti di cuore, senza distinzione tra Ebreo o pagano, «che camminano nelle tenebre». Animato dalla fiducia in Dio, non ricusa la sofferenza del rifiuto e dell’umiliazione pur di realizzare la Sua volontà di cui egli è ministro.

Il servo non si sostituisce al Maestro ma va verso i fratelli con uno spirito da discepolo che antepone alla parola l’ascolto. Egli comunica solo quello che ha ascoltato dal Signore. Non è una parola di giudizio ma di misericordia e mitezza. Da una parte il servo di Dio partecipa alle sofferenze dei fratelli, dall’altra insegna loro a non combattere con le armi della violenza ma con gli strumenti della mitezza. Attraverso l’umiltà e la mitezza Dio vince sul male e riscatta quelli che confidano in lui.

Salmo responsoriale Sal 21

Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,

storcono le labbra, scuotono il capo:

«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,

lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,

mi accerchia una banda di malfattori;

hanno scavato le mie mani e i miei piedi.

Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,

sulla mia tunica gettano la sorte.

Ma tu, Signore, non stare lontano,

mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,

ti loderò in mezzo all’assemblea.

Lodate il Signore, voi suoi fedeli,

gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,

lo tema tutta la discendenza d’Israele.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési Fil 2,6-11

Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,

non ritenne un privilegio

l’essere come Dio,

ma svuotò se stesso

assumendo una condizione di servo,

diventando simile agli uomini.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo,

umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò

e gli donò il nome

che è al di sopra di ogni nome,

perché nel nome di Gesù

ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra,

e ogni lingua proclami:

«Gesù Cristo è Signore!»,

a gloria di Dio Padre.

Il cammino della croce e della gloria

L’apostolo Paolo esorta i Filippesi a non lasciarsi coinvolgere in logiche estranee al vangelo inculcate da coloro che solo in apparenza sono amici fidati, ma che seminano divisione e alimentano le contrapposizioni nella comunità. Il segno distintivo del cristiano è la comunione che si fonda sull’imitazione di Gesù Cristo. Egli è la vera immagine dell’uomo figlio di Dio non corrotto dal peccato. Infatti, Gesù non ha considerato la sua condizione divina come qualcosa da possedere egoisticamente, come se fosse il padrone assoluto, ma l’ha messa a servizio dei fratelli assumendo la condizione di servo. Si è fatto tutto simile all’uomo, eccetto il peccato, affinché fosse chiaro a tutti la vocazione comune alla santità. Questa è la vera gloria alla quale Dio da sempre vuole condurre gli uomini. L’abbassamento è la via della croce attraverso la quale si giunge alla gloria. Per il cristiano il servizio e l’abbassamento verso i fratelli sono connessi con l’esperienza della mortificazione. Essa, però, non annichilisce l’identità della persona, ma, liberandola dal peccato che ne deturpa la dignità, la esalta in maniera straordinaria. Gesù è l’esempio di come per amore si può toccare il fondo dal quale il Signore Dio solleva collocando i suoi eletti su troni di gloria.

+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 11,1-10)

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».

Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.

Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Osanna nel più alto dei cieli!».

LECTIO

Gli ultimi sei capitoli della narrazione di Marco sono dedicati all’ultima settimana di vita di Gesù. Tre giorni di azioni simboliche culminano in una giornata caratterizzata dalle controversie con il giudaismo tradizionale e che si conclude con un insegnamento profetico apocalittico sulla fine di Gerusalemme. La sezione si apre e si chiude con il dialogo con i discepoli che incorniciano il confronto-scontro con le autorità. Il tema del tempio fa da filo conduttore che unisce il destino dell’edificio sacro a quello di Gesù.

L’episodio si apre con la menzione di luoghi. Innanzitutto Gerusalemme, scenario che fa da sfondo alla narrazione della passione; Betfaghe, il cui nome rimanda al fico che è simbolo chiave per interpretare le azioni e le parole di Gesù nel tempio; Betania, luogo dove Gesù viene accolto e fatto oggetto dell’unzione; il monte degli Ulivi, spazio dell’ultimo insegnamento ai discepoli e della preghiera con la quale il Figlio si consegna al Padre.

Dopo l’introduzione dell’evangelista con la quale si segnala il compimento del pellegrinaggio verso Gerusalemme, prima dell’ingresso nella Città santa avviene un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli. Essi gli devono procurare una cavalcatura e fornisce indicazioni precise su come attuare la missione. La richiesta appare alquanto strana perché Gesù fino a quel momento non ha mai usato un animale come mezzo di locomozione. L’obbiezione è espressa nella domanda di coloro che avrebbero assistito allo scioglimento e al prelievo del puledro: «Perché fate questo?». Il gesto compiuto dai discepoli è in obbedienza alla missione loro affidata da Gesù. Quella dei discepoli rimanda alla missione del loro Maestro che si mostra «bisognoso». Tale bisogno da una parte rivela una «povertà» di Gesù e dall’altra rimanda ad un progetto più alto che si deve realizzare. I discepoli sono coinvolti nella preparazione dell’evento dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme che però sembra inserirsi in un progetto più grande perché divino. Gesù è consapevole di ciò che sta per avvenire e di come deve accadere perché conosce la volontà di Dio. Sullo sfondo dell’evento dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme c’è la profezia di Zaccaria che annuncia l’avvento del «re giusto e vittorioso» il quale fa il suo ingresso nella Città santa cavalcando un «puledro, un figlio d’asina» (9,9). Il motivo per cui si fanno determinate azioni è la «necessità» che si compia la volontà di Dio. I discepoli non sono solo spettatori di fatti che accadono perché indotti da un destino già scritto, ma sono coinvolti negli eventi pasquali da protagonisti. Essi devono prepararsi insieme con il Maestro il quale chiede loro di fare un esercizio di obbedienza rispondendo alle possibili obiezioni con le sue stesse parole. Alla prova dei fatti i discepoli, e con loro i lettori, si rendono conto che gli eventi accadono proprio come sono stati anticipati. La previsione suggerisce l’idea che chi segue Gesù, e da lui si lascia coinvolgere nel pellegrinaggio, è invitato ad assumere il suo punto di vista, che, in definitiva, è quello di Dio. La previsione rivela il fatto che la promessa di Dio, contenuta nelle Scritture, si sta compiendo; e questo non a prescindere dalla libertà di scelta degli uomini, ma attraverso di essa. Il puledro sul quale non è mai salito nessuno suggerisce l’idea del giovane inesperto che è preso e condotto a fare delle esperienze inedite. Gesù non è semplicemente la “edizione” aggiornata dei re d’Israele ma è il re secondo il cuore di Dio, il pastore che dà la sua vita per il suo gregge. I discepoli non sono solo assistenti ma apprendisti affinché possano assimilare la logica di Gesù e aderire al suo progetto di vita per partecipare con lui all’esercizio della regalità.

Assumendo il punto di vista dei discepoli il lettore si rende conto che, nella misura in cui si seguono le indicazioni date da Gesù, si apre la strada del compimento della volontà di Dio. I discepoli sono coinvolti nella preparazione dell’evento. L’ingresso a Gerusalemme è descritto come l’atto propedeutico all’intronizzazione del re che segna l’inizio del suo regno. Nel corteo c’è chi precede e chi segue, chi getta i propri mantelli sulla strada dove passa Gesù e chi delle fronde tagliate dai campi. I discepoli vengono travolti dall’entusiasmo della folla la quale esprime con un linguaggio folkloristico la sua speranza di rinnovamento. Nel frattempo anche Gesù rimane in silenzio e l’evangelista non annota nulla della sua reazione. Il silenzio di Gesù e su Gesù è l’occasione perché in mezzo a tante voci festanti si faccia spazio la domanda: «dove stiamo andando insieme a Gesù?». Potremmo fare anche la stessa strada ma con intenzioni diverse; sono esse che poi determineranno la continuazione della sequela o l’allontanamento.

MEDITATIO

La croce, la cattedra dell’amore

Con la Domenica delle Palme, nella quale facciamo memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, inizia la Settimana Santa che culminerà con i tre giorni della Pasqua. Sono i giorni più santi di tutto l’anno liturgico nei quali siamo chiamati a partecipare alla passione, morte e risurrezione di Gesù. La Pasqua di Gesù è l’evento centrale della storia della salvezza. Ogni cristiano, celebrandola, trova in essa il senso ultimo della sua storia. Gesù ci invita a seguirlo nel pellegrinaggio verso Gerusalemme unendoci al coro festoso della folla che lo acclama e ai discepoli con i quali condivide le ultime ore che lo separano dalla morte. Accompagniamo Gesù nel Getzemani e poi con Pietro, anche se da lontano, lo seguiamo nel cortile del sommo sacerdote dove è stato condotto dopo l’arresto reso possibile dal tradimento di Giuda. Caduto nelle mani degli uomini, Gesù entra nel meccanismo perverso dell’ingiustizia attraverso il quale viene spogliato di tutto e rimane solo. Dal profondo di questa lacerante solitudine lancia un grido verso il cielo che tocca il cuore del soldato romano. Dio si è rivelato nella morte di Gesù.  

I racconti della passione tracciano di Gesù il profilo di un uomo che non cerca di ottenere la gloria umana ma quella divina e perciò si umilia mettendosi a servizio della vita degli uomini.

Dio Padre ha dato a noi come modello di vita suo Figlio, Gesù Cristo, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce. Gesù è il capofila di un popolo in cammino verso la vera libertà. Il suo è un insegnamento di vita che non è dato perché sia capito ma per essere vissuto sulla propria pelle e sperimentato nella propria carne. La scuola di Gesù è la strada dove accoglie la folla, incontra i malati, chiama i discepoli; è la casa dove porta la pace, il perdono, la guarigione, la gioia e dove proclama il vangelo narrandolo attraverso le parabole. In casa Gesù è interrogato e interroga perché siano svelati i pensieri nascosti nel cuore. La scuola di Gesù è il deserto dove, pregando, insegna a pregare. La scuola di Gesù sono i tribunali religiosi e civili nei quali è trascinato e da cui insegna l’arte del silenzio e della mitezza. Infine, la cattedra dell’amore è la croce. 

Cristo Gesù umiliò se stesso … per questo Dio lo esaltò

Il racconto della passione di Gesù è il vertice del Vangelo; è ciò a cui tutta la narrazione precedente tende ed è da qui che ogni singola parola trova il suo senso pieno. Chi legge uno dei vangeli seguendo la sua trama narrativa si accorge subito che il ritmo del racconto si rallenta quasi a fermarsi suoi singoli particolari. Le ultime ore di Gesù sono quelle per le quali è nato, ha vissuto, ha insegnato, ha fatto miracoli guarendo e cacciando i demoni, ha educato i suoi discepoli ad essere Chiesa. Gli ultimi eventi della vita di Gesù, la sofferenza, la morte in croce e la successiva risurrezione rivelano la sua origine divina e la sua missione: è figlio di Dio mandato dal Padre per fare di tutti noi i suoi figli. La Pasqua non è una commemorazione annuale della morte di Gesù ma è l’esperienza insieme con Lui del passaggio dalla morte del peccato alla vita propria della nuova creatura nella quale Dio si riconosce. Il vangelo non va solamente sentito, ma va vissuto emotivamente. Ascoltando il racconto ci viene rappresentato dal vivo quanto grande è l’amore di Dio per noi. La narrazione ci viene consegnata perché possiamo avere compassione di Gesù, accostarci al suo cuore e interiorizzare gli eventi, al punto da sentire in noi la sua paura, il suo dolore, la sua rabbia, la gioia. Le parole ci introducono nel cuore vivo dell’evento della pasqua che interpreta e getta luce di senso alla storia personale di ciascuno. Man mano che Gesù s’inoltra nella notte del dolore, non si lascia afferrare e stritolare dalla paura e dalla rabbia, ma trasforma la graduale spoliazione (degli affetti, della dignità, del conforto della natura e del Padre) in offerta verso Dio, nella certezza che solo Lui può rivestirlo di una vita nuova, restituirgli la dignità e la libertà del figlio, può reintegrarlo nella comunità umana, ridonargli la gioia di vivere amando.

ORATIO

Signore Gesù,

pellegrino nel comune viaggio della vita,

conducimi con la tua parola a ricercare

tra le piaghe del mistero del dolore

la speranza che mi fa risorgere dopo ogni caduta

per guardare avanti e riprendere la sequela.

Aiutami a non cedere sotto il peso della paura

e insegnami a sollevare gli occhi

dalle mie ferite e dalle mie solitudini

per portare con te ogni giorno la mia croce

con serenità e pazienza.

Donami l’umiltà di starti dietro

certo che in qualsiasi momento di debolezza

io possa trovarti sempre al mio fianco

perché tu mi ami più di quanto io possa amarti.

Che non cada nella trappola dell’ira

che, se serra il cuore, distrugge

tutto ciò che di buono è stato costruito.

Purifica la mia fede

da ogni incrostazione di orgoglio,

restituiscimi lo sguardo del bambino che,

dopo le lacrime del pentimento,

cerca l’abbraccio materno che lo riaccoglie

e la parola paterna che lo incoraggia. Amen.