E’ stato reso noto lo stemma episcopale scelto da Mons. Biagio Colaianni per la sua missione pastorale come Arcivescovo metropolita della Diocesi di Campobasso-Bojano.
“Grazia Dei in me vacua non fuit” (1Cor 15,10)
Riflettendo sulla frase posta alla base dello stemma araldico del neo eletto Vescovo di Campobasso Bojano – “La sua Grazia in me non è stata vana” – non possiamo non riandare al contesto da cui essa è tratta.
Paolo di Tarso scrive ai cristiani di Corinto presentandosi come l’ultimo e il più piccolo degli apostoli: si ritiene perfino indegno di essere chiamato apostolo.
Il motivo lo confessa con franchezza: prima di essere toccato dalla Grazia di Cristo i suoi occhi erano stati incapaci di riconoscerlo nella carne viva del suo corpo. La luce accecante che lo aveva disarcionato da cavallo e reso di colpo cieco gli aveva donato un modo nuovo di vedere, la capacità di scrutare a fondo il proprio cuore, là dove emergono i propri bisogni e le proprie attese.
La vita di Paolo ebbe da quel momento una svolta radicale, segnata dall’umile sequela di chi gli venne indicato come autorità da seguire.
È questa la cifra interpretativa che permette di intuire il modo con cui don Biagio vivrà il suo mandato episcopale: con la coscienza di essere a capo di un gregge del quale lui stesso fa parte e dal quale è stato tratto, senza merito, per esserne mite ed umile guida.
Due anni fa, nel corso di un dialogo televisivo in tempo di Avvento, aveva raccontato di come a 21 anni fosse maturata la sua vocazione: dalla scoperta di sentirsi accolto e voluto bene, semplicemente per quello che era e per come era.
Il cammino che il futuro “don” Biagio iniziò a percorrere destò la sorpresa e l’incredulità degli amici più stretti che ne conoscevano l’esuberanza e la vivacità.
Può bastare uno sguardo di predilezione per dare una svolta alla propria vita? Nella storia della salvezza è un fatto che è accaduto più volte, a cominciare dalla chiamata di Abramo. Quando il Mistero si rende presente al volto della creatura questa scopre la sua vera natura, la sua originale dipendenza. La chiamata svela anche l’altro dono ricevuto insieme alla vita, la propria libertà.
Con l’apparizione del Figlio di Dio nella carne la relazione dell’uomo con il suo Creatore prende la forma, prima inimmaginabile, di un rapporto di amicizia: Gesù è l’”uomo come noi” che si può incontrare e seguire.
Questa familiarità con il Mistero, prima nascosto da secoli, si chiama fede e la fede dona all’uomo la capacità di vedere più in profondità.
“La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere. La vita di Cristo apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare. Per permetterci di conoscerlo, accoglierlo e seguirlo, il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne. La fede nel Figlio di Dio fatto uomo in Gesù di Nazaret non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo, si apre un nuovo modo di vedere. Il vedere diventa sequela di Cristo, e la fede appare come un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità.” (Papa Francesco)
L’esperienza dei santi documenta che corrispondere all’amore di Cristo trasforma la vita: rende lieti e dona la speranza di poter attraversare anche i momenti più difficili e oscuri.
Come annota Charles Péguy ne Il portico del mistero della seconda virtù: “La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare.” “Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.”
Lo sguardo di don Biagio è pieno di questa speranza che ha fatto di lui, come ha detto Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina, nel giorno in cui veniva annunciata la sua nomina episcopale, “prete leale, franco, diretto, innamorato di Cristo, della Chiesa e della Madonna”.
Altri tratti che abbiamo potuto cogliere nella persona di don Biagio, soprattutto durante i lavori del primo Sinodo della nostra Chiesa diocesana, sono quelli che sempre il Vescovo ha messo in evidenza: “Deciso nell’agire e nel parlare ma docile e obbediente, senza mai conservare rancore verso nessuno anche di fronte ai torti ricevuti”.
Questa fedeltà nel seguire Cristo non dipende dalle nostre capacità ma piuttosto dal riconoscimento che, nonostante i nostri limiti, Dio rimane fedele al suo amore. Don Biagio ama ripetere che – Senza l’azione dello Spirito Santo non si va da nessuna parte -. E’ la grazia dello Spirito che opera.terlinea bianca
Lo stemma araldico di S.E. Mons. Biagio Colaianni, eletto alla sede metropolitana di Campobasso-Bojano rappresenta, secondo la simbologia odierna, le origini del titolare e la sua missione; la sua storia, la formazione e il programma del suo ministero di pastore nella e per la Chiesa nella quale è stato inviato come Angelo (cf. Ap. 2-3), Sposo e Pastore.
Tutto ciò è espresso attraverso la riflessione cristologico-mariana così come leggiamo nella lettera ai Ga- lati 4,4-5 «[…] quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli». L’incarna- zione è come momento unitivo del cielo con la terra, del ritorno dell’amicizia tra Dio e l’uomo, del Dio che non vuole abitare i cieli o in una casa costruita da mani d’uomo (cf. 2Cor 5, 1) ma nel cuore dell’uo- mo così come sottolinea san Leone Magno: «Riconosci, cristiano, la tua dignità […] Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che […] con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo!» (Dai Discorsi di san Leone Magno, papa; Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193). Con il Fiat di Maria il Verbo si è fatto carne e l’uomo è nuovamente introdotto nella amicizia con Dio.
Lo scudo scelto è quello sannitico, in riferimento al popolo dei Sanniti che abita la parte centrale della penisola italica. Da essi prende il nome la storica regione del Sannio che corrisponde alle attuali regioni di Abruzzo, Molise, Campania e ad aree del Lazio, Puglia e Basilicata. Regione quest’ultima che ha dato i natali al vescovo che è stato designato per Campobasso-Bojano una delle chiese molisane.
Lo scudo è interzato in pergola, nel primo d’azzurro caricato di tre stelle di argento; nel secondo di rosso caricato di un pettine da cardatore (strumento del martirio di San Biagio) e di una conchiglia d’oro (at- tributo iconografico per il Battista e del pellegrino per l’apostolo Giacomo); nel terzo di verde caricato di tre spighe d’oro e di una torre d’oro.
Il colore azzurro rappresenta il cielo e il creato; le tre stelle la perpetua verginità di Maria, secondo quanto stabilito nel Sinodo di Capua del 392 e la devozione popolare alla Madonna della Bruna, della Libera e alla Madonna di Lourdes.
Il rosso indica il mistero dell’amore di Dio testimoniato con la vita dei Martiri, Giovanni Battista, Gia- como, Biagio. I primi due titolari delle parrocchie affidate alla cura pastorale dell’antistite; Biagio è il santo di cui porta il nome.
Il verde rappresenta i “campi ubertosi” della Basilicata e del Molise, richiamati dalle spighe di grano che sono elementi propri dello stemma di Matera, del suo Patrono (Sant’Eustachio nella etimologia greca di “colui che produce buone spighe”), della designazione della Città dei Sassi come “Città del pane” in virtù del XXVII Congresso Eucaristico Nazionale ivi celebrato. La torre è elemento caratterizzante lo stemma araldico della città di Campobasso.
I colori rosso e blu che si “abbracciano” indicano quanto con l’incarnazione è avvenuto: «Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4): […] ”Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio”. […] L’unigenito […] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei». (CCC n. 460).
Gli ornamenti esteriori sono quelli propri della dignità arcivescovile:
- la croce arcivescovile gemmata: le gemme simbolo e segno dell’albero fiorito e quindi della Il Vescovo è chiamato ad annunciare l’evento della redenzione quale via che conduce a Gesù il Cristo;
- il pallio insegna della dignità metropolitana, quale simbolo del legame speciale con il Papa e della potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, l’Arcivescovo Metropolita acquista nella propria giurisdizione;
- il cartiglio, riporta una citazione paolina: «gratia Dei in me vacua non fuit» (cf. 1Cor 15, 10), ad indicare la centralità dell’opera di Dio nel mistero episcopale, la cui efficacia non si fonda sulle forze e doti umane della persona, ma nella potenza
Il motto ben sintetizza ed esprime la persona dell’antistite Biagio: uomo che si è lasciato guidare dalla “grazia” di Dio in ogni momento, da giovane, da parroco, da rettore in seminario e da vicario generale. La presenza di Dio l’ha avvolto, penetrato al punto da riconoscersi in ciò che l’Apostolo Paolo scrive:
«Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è in me» (1Cor 15,10). La grazia che ha fatto grandi cose in Maria di Nazareth: la Madre bella della Bruna, presente nella vita dell’eletto, non solo quale protettrice dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina, quanto quale stella che indica il cammino del battezzato, del cristiano, dell’uomo sacerdote e ora vescovo. La Madre che apre, spalanca e introduce nel cammino della Libertà che ci rende liberi, così come è invocata nell’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano.
A Maria, Madre del Grande dolore, dal titolo dell’Addolorata, protettrice del Molise, l’antistite si rivolge e pone “sotto la sua protezione” il suo ministero. La sua consacrazione episcopale nei primi vespri della memoria di Nostra Signora di Lourdes è per lui fiamma viva d’amore che indica la via da seguire: Gesù il Cristo, Figlio di Dio e di Maria di Nazareth per essere con la stola e il grembiule a servizio degli ultimi e cercatori di Dio
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