Nella seconda giornata del Congresso Eucaristico, dopo la Messa mattutina delle ore 9.30, presso la Basilica Cattedrale, si è tenuta la meditazione di S. Ecc. Mons. Gianmarco Busca, Vescovo di Mantova, trasmessa in streaming in tutte le parrocchie sedi del Congresso.
Nel pomeriggio, nelle chiese del centro, si è svolta la liturgia penitenziale.
Ha fatto seguito, alle ore 17.30, la Via Lucis Eucaristica, che dalla Chiesa della Madonna de Idris si è diretta in piazza San Pietro Caveoso dove è stato collocato il Crocifisso ligneo del ‘600 restaurato per iniziativa della Cooperativa “Oltre l’Arte”.
Le meditazioni delle otto stazioni sono state curate dal nostro Arcivescovo, S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo.
Si riportano di seguito i momenti salienti di questa seconda giornata.
Omelia pronunciata dal Card. Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero per il Clero, nella Messa celebrata il 23 settembre nella Basilica Cattedrale di Matera
Riscoprire il gusto del pane per tornare alla vita autentica
Fratelli e sorelle carissimi,
la gioia di poter presiedere questa Liturgia Eucaristica, nel contesto del XXVII Congresso Eucaristico Nazionale, dal tema “Torniamo al gusto del pane – Per una Chiesa eucaristica e sinodale” è illuminata dalla Parola che abbiamo appena ascoltato. La prima lettura ci ricorda, proprio in questi tempi difficili e cruciali, che Dio “ha fatto bella ogni cosa a suo tempo” (Qo 3,11a), ed è per questo che c’è “un tempo per” ed “un tempo per”, di nuovo e ancora. E questo non perché la storia si ripeta inutilmente quanto stancamente, ma perché la storia che Dio guida ci abbraccia continuamente tra “un tempo per” ed “un tempo per”, di nuovo e ancora. Ecco allora che al tempo del pianto e del lutto segue il tempo del sorriso e della danza. Al tempo delle pietre scagliate e degli strappi segue quello delle ferite raccolte e ricucite.
Dobbiamo sottrarre il mondo all’incantesimo malvagio del circolo vizioso, o, per dirla con Nietzsche nei termini del nichilismo (da lui diagnosticato e teorizzato poi fino all’estremo) dobbiamo sottrarre il mondo, dicevo, all’incantesimo dell’eterno ritorno dell’uguale (cfr. in particolare La gaia scienza e Così parlò Zarathustra) che porta l’uomo inevitabilmente al di là del bene e del male. No! Il testo sapienziale del Qohelet ci spiega in una sintesi perfetta perché possiamo cadere in questa trappola e come uscirne: “ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine” (3,11).
Noi avvertiamo il tempo fin dentro il nostro corpo: lo vediamo crescere, lo sentiamo cambiare, fino a invecchiare e morire. Durante questo processo non dobbiamo mai fermarci ad un solo ed unico “tempo per”, assolutizzandolo: resteremmo fuori dalla storia, estranei anche a noi stessi, arrivando ad affermare e, purtroppo, anche a credere che tutto si ripete senza un motivo, senza uno scopo, senza una direzione. Il nichilismo, appunto. Una guerra scoppia non perché la storia si ripete, ma a causa dei nostri errori. Entrare in questa consapevolezza vuol dire tornare al mistero di Dio e aprire la strada ad un nuovo “tempo per”. Tornare al mistero di Dio vuol dire rimettere nelle mani di Dio il principio, la fine e il fine, o, detto nei termini del giardino dell’Eden, lasciare che sia Dio a stabilire cosa è bene e cosa è male (Gen 2,17), facendo un continuo e approfondito discernimento sempre alla luce della Sua Parola.
Tocca a noi prendere la croce del nostro tempo, pregare, adorare e aprire tante “case del sollievo della sofferenza”, come San Pio da Pietrelcina, di cui oggi celebriamo la memoria, ci ha insegnato; nostro dovere è aprire tanti altri “tempi per”, o, per usare le parole di Papa Francesco, tanti ospedali da campo (cfr. intervista a La Civiltà Cattolica, anno 164, nr. 3918, 19 settembre 2013, pp. 449-477), per curare, salvare e tornare a sperare, sognare e danzare.
La circolarità della storia, riposta nel mistero di Dio, perde la maledizione-tentazione dell’eterno ritorno dell’uguale, per trovare la rotondità dell’abbraccio, che è poi quell’ostia che adoriamo e di cui ci nutriamo e che ci tiene in vita ogni giorno, insieme, l’Eucarestia. Pane che dona la vita vera e che Matera conosce bene. Pane di cui dobbiamo far riscoprire il gusto per tornare alla vita autentica, come ci suggerisce il tema di questo Congresso. Far riscoprire il gusto del pane è permettere alle donne e agli uomini di buona volontà, sempre amati dal Signore, di riscoprire la propria vera identità di figli e fratelli e sorelle tutti, poiché tutti creati a immagine e somiglianza di un Dio che è comunione, Trinità d’amore eterno.
L’antica tradizione della lavorazione del pane di Matera conserva e trasmette tutt’ora questa identità nella sua particolare modalità di impasto e nel vero e proprio cerimoniale originario dei “tre tagli” sull’impasto stesso, monito per chi se ne ciberà a ricordare che la vita e l’energia che riceverà da quel pane viene da un Dio che è comunione e che attende la nostra comunione tra di noi in Lui per aprire nuovi tempi per.
Così è pure per la pagina del Vangelo di Luca: ci sarà un tempo giusto, favorevole, per i discepoli e per le folle per sapere, comprendere e rivelare chi è veramente il Messia e chi siamo veramente noi. Il tempo per la resurrezione è preparato, anzi, “deve” (Lc 9,22) essere preceduto dal tempo per la passione. Ciascuno di noi deve passarci per testimoniare in prima persona che il Signore è veramente risorto e noi con Lui, e quindi cominciare a consolare con la stessa consolazione con cui siamo stati consolati (cfr. 2Cor 1,4).
Vorrei che questa evangelica necessità del tempo della passione per giungere al tempo della resurrezione, sia sempre ben chiara ad ogni battezzato (immerso nella morte e resurrezione del Signore), ad ogni persona presente, ora, qui, e in modo tutto particolare ad ogni sacerdote, ogni diacono, ogni consacrato e seminarista che mi sta ascoltando, affinché non si scoraggi e non si perda mai d’animo!
Con affetto, mi rivolgo in particolare a voi, Cari fratelli sacerdoti, non perdiamo mai di vista l’orizzonte generativo del nostro ministero presbiterale che fonda nell’Eucaristia, come Cristo, il suo essere altare, vittima e sacerdote. Ciascuno di noi, nello stupore dell’incontro quotidiano con il Signore, nell’intimità della preghiera, nell’ascolto assiduo e fecondo della Sua Parola, lascia il Cenacolo per raggiungere la Galilea degli uomini e delle donne, condividendo le loro gioie e dolori, attese e speranze, asciugando lacrime, portando consolazione, seminando speranza. Il Signore ci ha chiamato per portare il tempo della consolazione, della misericordia e della speranza. In un certo senso, e più in generale, ci ha chiamati a portare quello che non c’è dove non c’è, come la cosiddetta Preghiera Semplice attribuita a San Francesco esprime efficacemente:
Signore, fa’ di me uno strumento della tua Pace:
dov’è odio fa’ ch’io porti l’amore,
dov’è offesa ch’io porti il perdono,
dov’è discordia ch’io porti l’unione.
Signore, dov’è dubbio fa’ ch’io porti la fede,
dov’è errore ch’io porti la verità,
e dov’è disperazione la speranza,
dov’è tristezza ch’io porti gioia,
dove sono le tenebre ch’io porti Luce.
Poiché è dando che si riceve,
è perdonando che si è perdonati,
morendo che si risuscita a vita eterna.
Come possiamo allora non incontrare difficoltà, talora dall’aspetto insormontabile, e talvolta addirittura inqualificabile? Non basta. Ci ha chiamati a fare questo seguendo le sue orme, cioè mettendo i piedi dove li ha messi Lui e percorrendo la strada che ha percorso Lui. Chiedo allora ancora aiuto alle parole di San Paolo per comunicarvi meglio quanto desidero dirvi e raccomandarvi di ricordare sempre, sorelle e fratelli carissimi in Cristo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte ogni giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-39).
La Lettera ai cristiani della Chiesa di Matera-Irsina per il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale, dell’Arcivescovo Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, contiene diverse indicazioni in tal senso, per poter portare o riportare dove manca o latita ciò che è assolutamente necessario. La sua redazione è stata compiuta nell’ottobre scorso, prima del conflitto russo-ucraino. Tuttavia le emergenze segnalate nel suo contenuto, non vengono superate ma drammaticamente confermate. È importante e fondamentale rivederle quindi, sia pur brevemente, insieme. Insieme è un termine fondamentale per un congresso eucaristico, insieme vuol dire essere in-comunione, e così, e solo così, essere completi. Rimanda quindi all’essenza eucaristica e sinodale della Chiesa che fonda la sua definitiva missionarietà. Non saremo mai abbastanza grati a Mons. Caiazzo per aver scritto a chiare lettere che: “è nell’Eucarestia che Gesù si è fatto nostro cibo e bevanda di salvezza, consentendoci di essere in comunione piena con Lui, attraverso la comunione che si vive con i fratelli. È esattamente il contrario di quella forma rituale che diventa ripetitiva esclusivamente per rispettare un precetto e ricevere la comunione ma senza vivere la comunione” (§ 1.2).
Da molti anni, vi confido che alla sera, durante il mio esame di coscienza, mi interrogo su quale sia stato il mio rapporto con il Signore Gesù durante la mia giornata. Mi chiedo se ho realmente incontrato Gesù nella Parola, Gesù nel fratello e Gesù nell’Eucarestia. Se sono riuscito a vivere la Parola e se sono stato capace di comunione con i fratelli. Come Gesù che mi dona la Sua vita nell’Eucarestia, anch’io ho saputo donare la mia vita al fratello? Solo vivendo con Gesù nella Parola e nei fratelli si realizza il dono di una vita eucaristica, donata, in quella dimensione di sinodalità e di missione a cui tutti siamo chiamati.
D’altronde l’intero documento si apre, dal punto di vista operativo, con la raccomandazione programmatica di riprendere a “curare le relazioni” a 360° “con lo sguardo rivolto alle ferite dell’umanità e del nostro paese” (§ 1.1). Quindi viene ricordato come Matera abbia conosciuto il tempo di essere vergogna nazionale, e il tempo di essere “capitale europea della cultura” fino a ospitare questo Congresso Eucaristico Nazionale (§ 2). E vogliamo ancora essere grati al Vescovo Don Pino per aver declinato (vorrei dire “incarnato”) le implicazioni e le esigenze del mistero eucaristico nella storia e nella vita concreta di questa porzione di Chiesa che è in Matera-Irsina, poiché “il divino avvolge l’umano non dall’esterno o dall’alto semplicemente, ma da dentro ognuno di noi, dalla nostra stessa carne “ (§ 3), ripercorrendo “gesti, segni, parole che nel corso dei secoli hanno sacralizzato la quotidianità rivestendo ogni momento, soprattutto i più difficili e sofferti, di quella divinità capace di rendere l’umano unito al divino” (§ 4), infatti, “l’uomo, da sempre, ha sentito il bisogno di stabilire con la terra un legame sacro” (§ 6).
Un legame che Matera, città della Madre (cfr. § 7), ha messo da sempre nelle mani di Maria, donna eucaristica per eccellenza, Madre che “ha offerto al Signore la Carne innocente e il Sangue prezioso che riceviamo sull’altare” (S. Giovanni Paolo II, Angelus, 5 giugno 1983, cit. in § 6), Madre che ha portato in sé il mistero che lega la Chiesa all’Eucarestia, che ha creduto nel tempo della resurrezione vivendo sino in fondo il tempo della passione, Madre della vita vera e concreta di ogni cristiano, fatta di preghiera, adorazione e carità operosa. Un legame espresso anche nella venerazione ultrasecolare di sant’Eustachio, patrono di questa Città. Come sappiamo, il nome Eustachio deriva da eu, “bene” e stàchyus, “spiga”, dunque “che dà buone spighe” e perciò “produce un buon raccolto”. Sotto il manto di Maria SS.ma della Bruna e sostenuti e incoraggiati dall’esempio di fede intrepida di Sant’Eustachio, ripetiamo infine alcuni dei versi che concludono il primo capitolo del documento:
è tempo di passare all’altra riva / mentre incombe la tempesta […]
è tempo di passare all’altra riva /
di vincere lo sgomento della paura /che chiude rotte d’uscita […]
è tempo di passare all’altra riva / con Gesù Pane di Vita […]
è tempo di passare all’altra riva […] / nell’abbandono di un abbraccio / […] bambino / in braccio a sua madre.
Amen.
“Il gusto buono del nostro pane. Dall’altare alle tavole della vita”
Meditazione di S.E. Mons. Gianmarco Busca, Vescovo di Mantova
«Semina, contadino – in nome del pane della tua casa,
non conosca limiti il tuo braccio;
questi grani che spargi, si verseranno
domani sulle teste dei tuoi nipoti.
Semina, contadino – in nome del misero affamato
non esca dimezzato il tuo palmo dal grembiule;
un povero oggi nella lampada del tempio
versò il suo ultimo olio per il raccolto di domani.
Semina, contadino – in nome dell’ostia del Signore
germi di luce straripino dalle tue dita;
in ciascuna delle spighe bianche di latte
maturerà domani una parte del corpo di Gesù»1[1].
Sono versi tratti dalla poesia «La semina» scritta da Daniel Varujan, ucciso a 31 anni durante il genocidio armeno, il quale vede nel pane il simbolo per eccellenza della vita. Il simbolo, per sua natura, ha molti strati e ci porta al cuore della realtà facendoci passare dalla crosta superficiale e visibile a livelli sempre più profondi e interni.
Gesù nel vangelo di Giovanni distingue il pane dal «pane dal cielo, quello vero» (Gv 6,32). Per raggiungere la verità intima del pane ci è chiesto di compiere un paziente e sapiente viaggio attraverso le varie tavole della vita sulle quali il pane viene posto e assume diversi significati. Seguiamo i passaggi del pane, immedesimandoci nel contadino della poesia a cui è rivolto l’imperativo: «Semina: in nome del pane della tua casa»; «Semina: in nome del misero affamato»; «Semina: in nome dell’ostia del Signore».
Percorriamo allora il viaggio del pane, passando di tavola in tavola, attraverso le tavole della creazione, della casa, della chiesa, della città, del Regno. Per tornare a gustare il pane contempleremo su ogni tavola il pane che è dono di Dio, ma anche frutto di una specifica partecipazione alla mensa di quella tavola da parte nostra. continua…
Via Lucis Eucaristica (di S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo)
XXVII Congresso Eucaristico Nazionale
VIA LUCIS EUCARISTICA
(✠ Antonio Giuseppe Caiazzo)
Prima stazione
Gesù nasce a Betlemme, casa del pane
«E tu Betlemme di Efrata tu eri troppo piccola per essere tra le migliaia della casa di Giuda. Da te uscirà il Re Messia per esercitare il dominio su Israele» (Mt 2,1-6).
Betlemme in ebraico significa “Casa del pane”. Ed è qui che Gesù è nato, si è fatto carne. In arabo, Betlemme significa “Casa della carne”. La diversa traduzione ci aiuta a capire meglio il mistero dell’incarnazione, dal momento in cui Dio si è fatto carne in Gesù, pane, cibo di vita eterna per salvare l’umanità da questa fame.
Casa, pane, carne: luogo dove nasce e cresce la vita e nel quale viene nutrita. È quanto chiediamo nella preghiera quotidiana che lo stesso Gesù ci ha lasciato: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». S. Agostino ci ricorda: «Dobbiamo essere affamati di Dio: dobbiamo mendicare pregando alla porta della sua presenza, ed egli darà il cibo agli affamati» (Sant’Agostino, En. in Ps., 145, 16). Si, c’è bisogno di questo pane nel momento storico più brutto, difficile e sofferto che le nostre generazioni stanno vivendo: prima la pandemia e poi la guerra.
L’uomo è fame e sete di Dio e per questo motivo ha fame e sete di Dio. Di conseguenza non troverà mai pace, non sarà mai costruttore di pace, fino a quando non soddisferà la sua fame e sete di verità, di giustizia. A Matera vogliamo “tornare al gusto del Pane”.
Gesù è nato a Betlemme facendosi pane e spezzandosi perché noi tutti avessimo la vita eterna. Da Matera vogliamo portare e spezzare il Pane, cibo di vita eterna, nelle nostre Chiese, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie, nel mondo del lavoro, nel mondo della politica. Nello stesso tempo cogliere che l’emergenza in Ucraina non deve farci dimenticare l’emergenza dei continui sbarchi sulle nostre coste e di tutte le altre guerre in atto. Tutti abbiamo diritto di nutrirci dello stesso pane e allo stesso modo.
Seconda Stazione
La condivisione dei pani e dei pesci
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste (Lc 9,11-17).
Sulla sponda settentrionale del lago di Tiberiade gli evangelisti raccontano che Cristo prese cinque pani e due pesci, li spezzò e li diede ai discepoli, sentendo compassione per la grande folla che lo seguiva. Il vero miracolo non consiste nella moltiplicazione dei pani e dei pesci (non viene proprio detto) ma nella condivisione. Di fronte alla logica che ognuno pensi per sé, Gesù risponde con quella di creare ponti condividendo ogni cosa, anche il pane, per crescere insieme attingendo tutti alla stessa cisterna dell’acqua, scavate nelle case e nei Sassi di Matera, e all’acqua viva che disseta e dà vita.
Quanta miseria e povertà sta svelando questo nostro tempo! Quante necessità materiali, psicologiche, spirituali! Sono i poveri, la folla, che risulteranno sempre scomodi: sono senza orario e non c’è un momento del giorno particolare per incontrarli. Dice Gesù: «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Richiede attenzione, tempo, risorse, fatica ma soprattutto amore.
Ieri, come oggi, non si tratta di soddisfare solo il bisogno materiale del momento, ma di intridere nel cuore di chi ha fede il grande insegnamento della condivisione: i discepoli devono dare “loro stessi da mangiare”. Questo ci fa capire che non è possibile staccare il dono del “Pane di vita” dalla passione, morte e risurrezione. Banchetto conviviale e banchetto sacrificale stanno insieme. Se partecipare alla celebrazione eucaristica significa fare festa e convivialità, non bisogna mai dimenticare che il mistero pasquale è passione, morte e risurrezione, quindi il banchetto eucaristico resta sempre banchetto sacrificale.
La nostra vera ricchezza è esattamente ciò che avremo dato con gioia. Alla fine dei nostri giorni sicuramente sul nostro “conto” troveremo ciò che siamo stati capaci di condividere con gli altri, soprattutto con chi non conoscevamo. Se continueremo a fare solo adorazione eucaristica senza aprirci alla condivisione saremo religiosi ma poco credibili perché poco credenti.
Terza Stazione
Gesù è il pane di vita
In quel tempo quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo … Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai»! (Gv 6,24-35).
«C’è un cibo che perisce» e «un cibo che dura per la vita eterna». L’uomo non ha bisogno solo del pane materiale ma soprattutto del pane che dia corpo alla speranza: questo Pane è Gesù presente nell’Eucarestia. Gesù fa suo il segno del pane per dire che lui è la presenza del Padre. Un cibo che richiama a quell’acqua viva che zampilla per la vita eterna della quale ne aveva parlato qualche capitolo prima (Gv 4,14): lo Spirito Santo che era sceso su di lui nelle acque del Giordano (Gv 1,32-34).
Il segno che viene chiesto non può essere lo stesso di Mosè con la manna nel deserto e che in ogni caso l’ha dato Dio e non Mosè. In questo caso Gesù non deve dare un segno ma lui stesso è il segno vivo, la Parola che si è fatta carne, cibo, pane, nutrimento vero che comunica la vita eterna. «Io sono il pane di vita».
Anticamente nella preparazione del pane di Matera, nella seconda parte dell’impasto, veniva messo in evidenza che era un pane cristologico. Infatti arrotolando due volte la pasta si diceva: «Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo». L’impasto veniva lasciato riposare nel giaciglio caldo dove aveva dormito il marito: luogo sacro perché luogo dell’amore e nascita di vita nuova. La formula che la donna usava era questa: «Cresci pane, cresci bene come crebbe Gesù nelle fasce».
La pandemia e la guerra ci stanno insegnando che tutto quello che abbiamo in un attimo può finire perché gli uomini pur essendo bravi a vestirsi di Dio, parlare di Dio, non parlano da Dio. Manca il cibo di vita eterna. Forse perché cerchiamo sempre emozioni che non soddisfano e così continuiamo ad avere fame e sete di quella sorgente di acqua viva che continua a zampillare per noi.
Quarta Stazione
Il pane della preghiera
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono». (Luca 11, 5–8).
L’evangelista Luca ci presenta Gesù che, nel suo andare verso Gerusalemme, compie un itinerario difficile da percorrere e quindi da seguire: sembra senza una meta. Itinerario che diventa cammino di fede durante il quale i discepoli vengono catechizzati attraverso un linguaggio e atteggiamenti a loro ben noti.
La richiesta di tre pani ad un amico di notte, per un ospite inatteso, è esattamente la quantità di pane che consumava un adulto. Chi corre di notte è figura del discepolo di Cristo che non si stanca mai di pregare, a qualsiasi ora, il Padre misericordioso. La preghiera sostiene e diventa alimento per nutrire se stessi e gli altri: è pane spezzato per condividere gioie e dolori. Solo Dio può colmare il desiderio del cuore dell’uomo. Fin da piccoli le mamme ci mettevano attorno al braciere, d’inverno, e ci insegnavano e aiutavano a pregare, per sentirci più famiglia, e famiglia con le altre famiglie nel formare l’unica famiglia di Dio.
Davanti a questo scenario mondiale, globalizzato, si sta sperimentando la presunzione, la fragilità, il crollo, come al tempo della torre di Babele. Succede sempre così quando l’uomo mette da parte Dio e segue istinti perversi e bramosie, perde cioè quella umanità che lo voleva simile a Dio in grandezza di cuore e generosità.
Quinta Stazione
L’istituzione dell’Eucarestia
«Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1 Cor 11,23-25).
In S. Paolo era chiaro il legame unico esistente tra Eucaristia e comunità. Celebrare sperimentando di essere membra del Corpo di Cristo perché, ricevendolo nel pane e nel vino, si diventa come lui. Da questa consapevolezza nasce la dilatazione del cuore che porta alla solidarietà e all’amore vero.
Nelle specie eucaristiche Dio si mostra: fragile, spoglio, debole, vulnerabile, si mette nelle mani di noi uomini per nutrirci di se stesso e farci come lui, cioè Amore.
Gesù istituisce l’Eucaristia non come un rito da perpetuare nel tempo ma come una celebrazione della vita continua che, per quanto nel rito liturgico richiami il memoriale della Pasqua ebraica nella liberazione dall’Egitto, esprime la sua presenza reale come nutrimento, cibo di vita eterna e bevanda di salvezza, nel fruire della vita perché assimilati a lui. Questo significa dire, fare, agire per Cristo, con Cristo, in Cristo.
Per gli abitanti dei Sassi, riunirsi per celebrare l’Eucaristia, annunciando la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo nell’attesa della sua venuta, significava creare lo stesso rapporto di solidarietà e di amore che lui aveva creato con i suoi discepoli.
Il Venerabile Don Tonino Bello diceva: «L’eucaristia rimane…una sorta di sacramento incompiuto. Rimane incompiuto quando manca la sequela eucaristica. E che cosa significa, fratelli miei, sequela eucaristica? (…) Vivere l’eucaristia è lasciarsi andare, lasciarsi afferrare dall’onda di Gesù Cristo. Lasciarsi andare senza i tuoi tracciati, senza i tuoi programmi, gli itinerari che ti sei schematizzato tu. Io vorrei esortarvi, cari fratelli, a un modo di vivere più abbandonato, più libero. Sentitevi uomini liberi, uomini che non sono lì incastrati nel sistema. (…) L’eucaristia è uno scandalo da vivere fino in fondo (…). Occorre aver coscienza che noi siamo corpo di Cristo crocifisso alla storia. Coscienza di non possedere la Verità, quanto di essere posseduti dalla Verità».
Sesta Stazione
Gesù riconosciuto dallo spezzare il pane
«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,29-32).
L’evangelista Luca sottolinea soprattutto tre cose lungo il cammino di Emmaus: Scrittura, Eucaristia, comunità.
I figli hanno bisogno di essere continuamente illuminati dalla Scrittura mettendosi in ascolto e lasciandosi catechizzare lungo il cammino della storia, soprattutto nei momenti difficili, di fallimento, di tristezza che tutti attraversiamo. E spesso sembrerebbe che la logica del male abbia il sopravvento per cui anche uomini di fede, come i due discepoli, scendono in una sorte di depressione espressa anche topograficamente. La Parola diventa condivisione, assimilazione: c’è il reciproco ascolto che apre il cuore alla comprensione.
I figli si fermano, si ritrovano attorno alla mensa eucaristica dove Il Risorto, attraverso il ministro sacro, spezza quel pane che nella fede si coglie come presenza perenne del Maestro e Signore, vero cibo, vera bevanda: vita eterna.
I figli si ritrovano come famiglia, come comunità cristiana, ritornano a casa. I due discepoli di Emmaus ritornano a Gerusalemme perché testimoni del Risorto. Chi fa realmente esperienza della risurrezione di Cristo nella sua vita avverte il fuoco che arde nel cuore e il desiderio di condividere con gli altri fratelli quanto Gesù insegna e dona nell’Eucaristia.
Matera, tra le città più antiche del mondo, ha attraversato nel corso della sua storia tanti momenti difficili, tristi, di sconforto. Soprattutto dopo aver accolto la Bella notizia di Gesù, ha ricevuto la Madre, la Madonna della Bruna. Attorno a lei e dietro a lei ogni tristezza, ogni lutto, ogni vuoto, ogni sconfitta e ingiustizia sono stati illuminati, facendo esplodere, insieme al Sole che sorge, il canto, la gioia, la speranza, in cammino per le strade della città scandendo tutte le ore del giorno.
Una comunità che, con la Madonna della Bruna, si mette in ascolto della Parola del Signore, celebra l’Eucaristia, vive per le strade la comunione fraterna.
Settima Stazione
Nelle case spezzavano il pane in letizia di cuore
«Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,42-47).
Da Betlemme ci siamo spostati a Gerusalemme dove incontriamo la prima comunità cristiana. La tradizione giudaica ci insegna che il mondo è fondato su tre realtà: la Legge (Torah), il culto (Abòdàh) e le opere di misericordia (Gemilut hasadim). Gli apostoli sono perseveranti in tre ambiti:
- l’ insegnamento degli apostoli,
- la fraternità comunione, l’eucaristia
- le preghiere.
Per designare l’Eucaristia nel Nuovo Testamento si parla di “spezzare del pane” e “la cena del Signore” (1 Cor 11,20). È la preghiera di rendimento di grazie più importante per i cristiani: ascolto della Parola e pane spezzato dal Cristo risorto.
L’Eucaristia non è solo pane e vino che attraverso la transustanziazione diventano “corpo” e “sangue” di Cristo, ma pane spezzato e vino versato. In questo modo riusciamo a cogliere il senso della sua vita offerta per noi. E la logica del dono ci aiuta a capire che celebrare l’Eucaristia, ricevere Gesù Eucaristia, non significa stare bene, aver soddisfatto il precetto, aver ricordato l’anima di una persona cara. È anche questo! Ma prima di tutto cogliere che partecipare all’Eucaristia significa spendere come Gesù, la propria vita in un dono, che si fa pane spezzato e nutrimento per il bene dei fratelli.
Comunione, Eucaristia e preghiera mostrano il vero volto della Chiesa. Il vicinato nei Sassi traduce il termine Parrocchia (casa tra le case). Nel piccolo piazzale, piccoli e grandi, condividevano ogni cosa, soprattutto il pane che facilmente veniva spezzato: il poco di uno diventava il tutto per tutti. In questo momento di grande difficoltà economica, di sacrifici, quale conseguenza della crisi mondiale, ritorniamo a spezzare il pane della solidarietà, della condivisione. L’Eucaristia si celebra attraverso il rito liturgico risentendo le parole di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare” (Gv 6,37).
Ottava Stazione
Le nozze dell’Agnello
«Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente». La veste di lino sono le opere giuste dei santi. Allora l’angelo mi disse: «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!» (Ap 19,6-9).
Sant’Agostino dice che «L’Apocalisse è il libro più affascinante della Rivelazione: impar est omni laude». Mentre il grande teologo Romano Guardini lo definì come il «libro della consolazione». Ogni immagine e descrizione ci aiuta a guardare quanto succede attorno a noi e dentro di noi: guerre, disordini, pestilenze, terremoti…conseguenza di quel male che ci imprigiona. Contemporaneamente abbiamo la possibilità di gustare già la redenzione che Cristo ha portato all’umanità intera. Immagine che viene così sintetizzata: «dove il mare, simbolo del male, non c’è più» (v. 1).
Nei versetti proclamati ci viene presentata la bellissima immagine della partecipazione al banchetto delle nozze eterne per coloro che si mantengono fedeli all’insegnamento di Gesù Cristo: è l’unione del Messia con la comunità degli eletti, la sposa. Alla sposa di Cristo viene data una veste di lino splendente, confezionata da Dio con «le opere giuste dei santi».
Infine, sulla scia delle beatitudini di Luca, l’evangelista Giovanni ne aggiunge un’altra: «Beati gli invitati al banchetto delle nozze». Ciò che celebriamo su ogni altare è la realizzazione dell’incontro tra il cielo e la terra. È esattamente al banchetto eucaristico che noi figli viviamo l’esperienza di rinascere dall’alto. Nell’Eucaristia l’abito di nozze viene ulteriormente arricchito per l’incontro definitivo con l’Eterno.
Dio, Uno e Trino, è presente nella teologia popolare, casalinga, delle nostre mamme che, nel preparare il pane a Matera, continuamente lo intaccavano con tre segni (Padre, Figlio e Spirito), lo avvolgevano da un lato per tre volte: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, fino a farlo diventare un’unica massa che posta nel forno cresceva in altezza. Ogni fetta di pane ha la forma del cuore, del cuore di Dio nel quale, nutrendoci, entriamo per partecipare alle nozze eterne dell’Agnello.
Matera 23 settembre 2022
Riflessione di Mons. Erio Castellucci al termine della Via Lucis Eucaristica
Un breve spunto finale, perché riecheggino alcune parole e suggestioni di questa Via Lucis Eucaristica, nello stupendo scenario di Matera, che ci accoglie.
Abbiamo vissuto una celebrazione davvero sinodale: popolo di Dio in cammino, sui sentieri aperti del mondo, alla luce della Parola e del Pane di vita che è il Signore Gesù. Questi sono gli ingredienti essenziali del Cammino sinodale, perché sono gli ingredienti essenziali della Chiesa: non un popolo ritagliato a parte, non un popolo già arrivato alla meta, non un popolo seduto in attesa della conversione del resto del mondo, ma un popolo che cammina. La Chiesa nasce itinerante: si sente dire fin dall’inizio dal Maestro: “vieni e seguimi”, non “vieni e siediti”. I discepoli di Gesù restano in viaggio per tutta la durata della storia, diretti verso il Regno.
Il Cammino sinodale è prima di tutto movimento di Chiesa, cambiamento, conversione dei discepoli, liberazione da ciò che non odora di Vangelo, da ciò che non ha il gusto del pane, suo Corpo donato. Il Cammino sinodale trova il suo paradigma nella Celebrazione eucaristica, che è come un Sinodo concentrato: è un popolo radunato per riconoscersi peccatore – siamo peccatori in cammino –, per bagnarsi nella freschezza dell’ascolto di una Parola intramontabile, per rigenerarsi alla mensa del pane e del vino, per rinsaldare la fraternità, per intrecciare la vita quotidiana con “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” e con il pane che lo Spirito stesso rende Corpo di Cristo; un pane che la Chiesa, resa a sua volta Corpo dall’Eucaristia, deve spezzare con tutti – specialmente con i troppi Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi – se vuole essere fedele alla chiamata del suo Signore.
La seconda giornata dedicata alla Catechesi, il commento di S. Ecc. Mons. Pennacchio
Commenti recenti