V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 14,21-27 Sal 144 Ap 21,1-5
+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 13,31-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il Vangelo di Giovanni si divide in due parti: il Libro dei Segni e il Libro della Gloria. La narrazione dei primi 12 capitoli è ritmata dal racconto di alcuni segni compiuti da Gesù e che culminano con la risurrezione di Lazzaro e ciò che ne segue. Dal cap. 13 l’evangelista inizia a descrivere gli eventi dell’ora della Pasqua di Gesù che segna anche il giudizio tra chi crede e chi non crede in lui. Il racconto inizia con il segno profetico della lavanda dei piedi nel contesto dell’ultima cena. Al gesto proprio del servo segue il comando. Il segno, che sul momento rimane enigmatico agli occhi dei discepoli, rimanda all’evento della Pasqua il quale, solo una volta compiuto, sarebbe stato compreso in tutta la sua portata. Nella morte e risurrezione di Gesù si contempla la Gloria di Dio. Dall’indicativo in cui Gesù è il soggetto operante si passa al comando rivolto ai discepoli. La lavanda dei piedi è per i discepoli un segno da vivere ma anche da replicare. Il modus operandi di Gesù nei confronti di coloro che chiama amici e figlioli, diventa modus operandi anche dei discepoli stessi nel rapporto tra loro. Subito dopo viene l’annuncio del tradimento di Giuda il quale, pur avendo visto i segni compiuti da Gesù e aver iniziato a credere in lui, lo ha rifiutato e respinto perché non cercava la gloria di Dio ma quella degli uomini (Cf. Gv 12, 43). Il traditore è identificato con le parole del Sal 41,10: «Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno» (Gv 13,18). Gesù dà a Giuda il boccone dell’amico e lui, appena preso, esce per andare ad organizzare il complotto che avrebbe portato alla morte il suo Maestro e Signore. Nel gesto della lavanda dei piedi e del pane offerto vi è il segno dell’amore di Gesù che, sapendo che era giunta l’ora della sua Pasqua e avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (Gv 13,1s.). L’uscita di Giuda segna il compimento della Scrittura e dell’Ora della Gloria. Il verbo glorificare è ripetuto ben 5 volte, tre volte al passato e due volte al futuro per indicare che l’azione compiutasi nel passato perdura nel futuro. I soggetti sono il Figlio e Dio, ovvero Dio Padre e il Figlio di Dio. Entrambi sono oggetto e soggetto della glorificazione, ossia sono glorificati e glorificano. Si coglie quindi una reciprocità. Il Figlio glorifica Dio e viene glorificato da Lui e viceversa, Dio viene glorificato dal Figlio suo e Lui lo glorifica. Gesù sta parlando della sua morte e risurrezione che è il segno a cui tutto il racconto tende e da cui tutto ha origine. Il sacrificio della croce, con il quale il Figlio glorifica Dio, è un evento che accade una sola volta. La morte di Gesù, che lui stesso ha definito innalzamento, rivela la Gloria di Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio Unigenito» (Gv 3, 16). La croce diventa il trono sul quale il Figlio viene innalzato da Dio affinché tutti gli uomini potessero vedere fino a quanto si spinge l’amore di Dio per ciascuno di loro. La morte di Gesù, tuttavia, da sola non basta perché allorquando Gesù, in obbedienza al Padre, consegna lo Spirito Dio lo glorifica con la risurrezione. Il Risorto, mostrandosi ai discepoli, rivela ad essi la loro vocazione. Nel Risorto si rivela la Gloria di Dio che, sconfiggendo la morte, dà la vita nuova al Figlio e, per mezzo di lui, a tutti gli uomini. La gloria di Dio è il suo amore. Esso non è semplice sentimento ma è vita intesa come forza, dinamismo che attiva processi vitali. Infatti, dal verbo glorificare si passa al verbo amare. Come era avvenuto precedentemente, dall’indicativo si passa all’imperativo. Come al gesto della lavanda dei piedi era seguito il comando di replicarlo nel rapporto fraterno, così alle parole che rivelano la verità dell’evento della Pasqua segue il comandamento dell’amore fraterno. La gloria di Dio si manifesta nel servizio di amore offerto agli uomini da Gesù affinché, come lui, anche i suoi discepoli possano glorificare Dio e da Lui essere glorificati attraverso il servizio di amore fraterno. Sia dopo la lavanda dei piedi, sia dopo l’annuncio della glorificazione, Gesù comanda di imitare il suo esempio. Nel rapporto tra Gesù e i suoi discepoli non è richiesta la reciprocità perché viene sottolineata una netta asimmetria. L’amore di Gesù verso i suoi non è commisurabile a quello dei discepoli nei suoi confronti. Il Maestro e il Signore si fa servo dei servi e in questo modo rivela la gloria di Dio perché è il più grande che si fa il più piccolo tra i piccoli affinché anche loro diventino grandi come Lui. I servi diventano come il Maestro e il Signore nel momento in cui agiscono come Lui nei confronti dei loro simili. La reciprocità non è nella misura dell’amore vicendevole ma nel modo con il quale ci si ama scambievolmente. L’amore fraterno cristiano si attua nella misura in cui si imita quello di Gesù verso ciascuno di noi. Ciò che governa la dinamica delle relazioni non è il guadagno né il merito, ma il dono e la gratuità a cui è estranea la giustizia intesa come simmetria e reciprocità. La giustizia di Dio è tutta sbilanciata sul versante della misericordia, come ricorda il salmo 144 nel quale si loda Dio, lento all’ira e grande nell’amore, la cui tenerezza si espande senza calcoli su tutte le creature. La novità del comandamento non risiede nell’amarsi reciprocamente ma nell’amarsi tra fratelli nello stesso modo con cui Gesù ha amato noi. Amandoci fino alla fine e consegnando la sua vita sulla croce, Gesù ha mostrato e ha donato la gloria di Dio agli uomini affinché chiunque creda in Lui, accogliendo il suo amore, lo possa donare a sua volta ai suoi fratelli facendosi servo della loro gioia. Giuda e Gesù sembrano uscire entrambi dalla scena. Giuda, preferendo la gloria degli uomini a quella di Dio, passa e scompare nella notte dell’oblio come tutte le cose che appartengono a questo mondo. Gesù va via, non per scomparire, ma per entrare in quella dimensione di vita alla quale conduce anche tutti coloro che lo seguono imitandone gesti di servizio e di amore. Compiendo questo passaggio egli cambia la nostra vita rendendola gioiosa come quando a Cana mostrò la sua gloria cambiando l’acqua in vino. Come Gesù vive per Dio e sono una cosa sola, così chi crede in Gesù vive per lui ed è unito a lui. In tal mondo Gesù non è solo con noi, ma è in noi e noi in lui per formare un unico corpo. Gesù, che fa nuove tutte le cose, ci cambia interiormente per diventare la tenda di Dio. L’amore fraterno fa della Chiesa la casa di Dio in cui si vive la gioia della comunione perché dove c’è l’amore è sconfitta la morte per sempre.
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