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Lettera ai cristiani della Chiesa di Matera-Irsina
per il Congresso Eucaristico Nazionale
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Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo
Arcivescovo di Matera-Irsina
TORNIAMO AL GUSTO DEL PANE
Verso il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale
«Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione»
1. Introduzione
Carissimi,
al termine della 74ª Assemblea Generale della CEI tenutasi dal 24 al 27 maggio a Roma, che ha visto la partecipazione di 200 membri e 13 Vescovi emeriti e con la presenza di Papa Francesco il 24 pomeriggio, nella programmazione per l’anno pastorale 2021-2022, è stato annunciato il Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà a Matera dal 22 al 25 settembre 2022.
Per la nostra Chiesa di Matera-Irsina sarà un anno impegnativo non solo per l’organizzazione ma soprattutto perché si incomincerà a mettere in atto quanto il Sinodo Diocesano ci ha detto: iniziamo il vero e proprio cammino sinodale partendo esattamente dall’Eucaristia “fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa”[1].
Durante la stessa Assemblea Generale è stato posto al centro della riflessione il “cammino sinodale”, definito dal Card. Gualtiero Bassetti “quel processo necessario che permetterà alle nostre Chiese che sono in Italia di fare proprio, sempre meglio, uno stile di presenza nella storia che sia credibile e affidabile”[2].
Come altre Chiese in Italia, noi che abbiamo già celebrato il Sinodo Diocesano, daremo il nostro apporto consegnando i testi contenenti i risultati del nostro Sinodo.
Papa Francesco ha invitato i vescovi a riprendere le linee tracciate dal Convegno ecclesiale di Firenze e a valorizzare un percorso che parta dal basso e metta al centro il popolo di Dio.
L’Assemblea generale ha quindi votato e approvato la seguente mozione: “I vescovi italiani danno avvio, con questa Assemblea, al cammino sinodale secondo quanto indicato da papa Francesco e proposto in una prima bozza della Carta d’intenti presentata al Santo Padre”.
Il Pontefice, in data 24 aprile 2021, ha approvato un nuovo itinerario sinodale per la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, inizialmente prevista per il mese di ottobre del 2022, sul tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione».
Il cammino sinodale della Chiesa in Italia dovrà “armonizzarsi con quello delineato dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi del 2023”[3].
Nella Carta d’intenti troviamo scritto che “il cammino non può essere precostituito per due ragioni: la prima, perché la pandemia insegna che basta poco per far saltare certezze consolidate o accelerare fenomeni in atto su cui poco si è riflettuto in passato; la seconda, perché la dinamica del processo sinodale richiede che il cammino si costruisca e cresca facendo tesoro dell’ascolto, della ricerca e delle proposte che emergono lungo il percorso… In tal modo si attiva il ritmo della comunione e lo stile della sinodalità che ne è lo strumento”[4].
Tale concomitanza richiederà l’armonizzazione tra il cammino della Chiesa universale e quello della Chiesa che è in Italia, che tenga in considerazione gli eventuali Sinodi diocesani appena conclusi o ancora in corso. Se è vero che la sinodalità deve essere intesa come stile permanente della Chiesa, è altrettanto importante – è stato evidenziato – esplicitarne anche i contenuti, quali ad esempio il kerygma, la centralità della Parola di Dio come criterio di discernimento, la vita spirituale.
Il Cardinale Presidente ha precisato: “Il Sinodo vuole essere una mamma che accompagna, la carezza materna della Chiesa alla gente che in questo momento è in estrema difficoltà”[5].
“La sfida – dice testualmente la nota – resta quella di costruire percorsi che diano voce alle specificità delle comunità del Paese all’interno di un più ampio “Noi ecclesiale”: in quest’ottica, appare evidente che la sinodalità debba essere considerata non in prospettiva sociologica, ma nella sua dimensione spirituale: ancora prima delle scelte procedurali, essa ha a che fare con la conversione ecclesiale, a cui richiama costantemente il Papa. È questo, dunque, l’orizzonte a cui tendere con coraggio, superando il rischio di astrazioni inconcludenti e frustranti, e impegnandosi perché la diversificazione del territorio italiano non ostacoli la possibilità di scelte condivise. Il percorso sinodale, del resto, si configura come un evento provvidenziale, in quanto risponde alla necessità odierna di dare vita ad una Chiesa più missionaria, capace di mettersi in ascolto delle domande e delle attese degli uomini e delle donne di oggi. Partire “dal basso”, così come ha sollecitato il Papa, significa ascoltare la base per poi proseguire a livelli sempre più alti, raggiungendo anche le persone lontane, che si trovano oltre i confini degli “addetti ai lavori”, toccando pure l’ambito ecumenico e interreligioso. In questo modo, in sintonia con quanto sottolineato dal Cardinale Presidente, il “cammino sinodale” potrà davvero essere garanzia di un “Noi ecclesiale” inclusivo, espressione della Chiesa “popolo di Dio”[6].
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[1] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium [LG], (Città del Vaticano, 21 novembre 1964), 15.
[2] 74ª Assemblea generale dei Vescovi, Relazione di S. Em.za Card. Gualtiero Bassetti, Presidente CEI, 24 maggio 2021
[3] Relazione di S. E. Mons. Brambilla Vescovo di Novara.
[4] CEI, Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita per avviare un “cammino sinodale”, Carta d’intenti per il “Cammino sinodale”, 74ª Assemblea generale della CEI (Roma, 24-27 maggio 2021).
[5] Relazione di S. Em.za Card…, o.c.
[6] 74ª Assemblea CEI: comunicato finale, Al via il cammino sinodale: costruire percorsi che diano voce alle comunità del Paese, Roma 27 maggio 2021.
1.1 Con lo sguardo rivolto alle ferite dell’umanità e del nostro paese
Siamo tutti coscienti che la pandemia, oltre all’emergenza sanitaria, ci preoccupa per la situazione socio-economica del Paese: sta avendo un’incidenza negativa sul tessuto sociale.
Sia i dati della nostra Caritas Diocesana che quelli di Caritas Italiana ci dicono che è necessario un grande sforzo a sostegno delle famiglie, delle imprese, dei giovani e degli ultimi. Siamo sicuri che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) darà nuova linfa al Paese attraverso nuove risorse, “a beneficio della collettività, provata dagli effetti che l’emergenza sanitaria sta provocando sull’economia, sul lavoro, sulle relazioni e anche sull’ambito ecclesiale. Il Covid, infatti, ha tolto il velo da alcune dinamiche latenti nella Chiesa italiana – fotografate da diverse indagini e statistiche – tra cui, ad esempio, la riduzione della partecipazione attiva alle celebrazioni e alla vita ecclesiale. In una società che può dirsi “scristianizzata”, tuttavia – è stato rilevato – emerge anche una domanda di Dio, non sopita ma desiderosa di essere colta”[7].
Dall’Assemblea dei Vescovi è venuta fuori una inconfutabile considerazione: questo tempo diventa l’occasione propizia per rinnovare la Chiesa e nello stesso tempo il punto di partenza per ogni tipo di progetto ecclesiale futuro che veda sempre al centro l’uomo, dove il Vangelo dev’essere annunciato nella cura delle relazioni.
Mai come in questo tempo di ripresa si avverte l’urgenza di curare le relazioni. E’ il vero programma pastorale di tutta la Chiesa che mostra il suo volto di prossimità non facendo mancare a tutti i fedeli la vita spirituale (Preghiera, Parola, Eucaristia, Riconciliazione…), coltivando la speranza per aiutare a ritornare alla normalità. Relazioni che vanno coltivate “tra operatori pastorali, con i ragazzi e le loro famiglie, con le persone sole… Per salvaguardare questa esigenza primaria abbiamo imparato a utilizzare nuovi modi e strumenti per comunicare: social media, streaming, etc. Anche se le attività pastorali sono ancora condizionate dalle giuste e dovute attenzioni per contenere il rischio di contagio dal virus, la campagna vaccinale – tuttora in corso nel Paese – permette di far tornare all’ordinario quanto finora previsto come straordinario o emergenziale”[8].
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[7] Idem.
[8] Vanno in questa direzione il progetto per gli adolescenti “Seme diVento”, proposto dal Servizio Nazionale per la pastorale giovanile, insieme all’Ufficio Catechistico Nazionale e all’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia, e il testo che ha predisposto l’Ufficio Catechistico Nazionale proprio in vista della ripresa delle attività di catechesi. Cfr. Lettera della Presidenza CEI, Curare le relazioni al tempo della ripresa, 08 settembre 2021.
1.2. Prossimità concreta oltre i confini diocesani e nazionali
Le comunità parrocchiali, in questo tempo di pandemia, hanno rivolto lo sguardo alle ferite dell’intero territorio diocesano, allargando gli orizzonti oltre i confini nazionali. La nostra Chiesa locale si è fatta prossimità concreta accanto a quella della Moldavia e dell’Ospedale di Chisinau.
Continuano, purtroppo, ad emergere bisogni nuovi: ci sono coloro che vengono definiti “nuovi poveri”.
Lo sforzo della Caritas Diocesana, in sintonia con quelle parrocchiali, sostenuta da Caritas Italiana, è intervenuto in tutte le fasi dell’emergenza:
- assistenza e accoglienza ai senza fissa dimora;
- trasformazione dei servizi delle mense di “Don Giovanni Mele” e di “S. Rocco” per il rispetto delle norme di contenimento del contagio, pur rimanendo sempre aperte;
- fornitura di beni alimentari ad un numero di persone e famiglie in continuo aumento;
- sostegno alle piccole aziende con contributi a fondo perduto;
- fornitura a oltre 100 bambini, ragazzi e agli adolescenti di device per seguire le lezioni a distanza;
- supporto a livello psicologico ad adolescenti, giovani e anziani, duramente provati dalla pandemia e anche a medici e infermieri presso l’ospedale S. Maria della Grazie di Matera dove è stato aperto uno sportello di ascolto[9].
Prossimità che i nostri giovani studenti e universitari, nell’incontro diocesano degli insegnanti di religione della nostra arcidiocesi[10], hanno così espresso: “Un’esperienza molto positiva, che nasce dall’esigenza di socialità e di condivisione, è stata il gruppo della Pastorale Universitaria “Per dare vita”, che ha rappresentato un momento di grande crescita…questi nuovi legami non si sarebbero mai creati se non avessimo vissuto questo periodo…stiamo cercando di ritrovare le energie per costruire un nuovo equilibrio,…la necessità di creare spazi di confronto e conforto, spazi di umanità e ascolto…ora abbiamo un gran bisogno di uscire dalla sicurezza della nostra stanza, fisica e virtuale,…speriamo che le nostre esperienze, simili a quelle di tanti studenti, possano essere uno stimolo per riflettere e per ripartire più fiduciosi e uniti”.
Prossimità che altri nostri giovani del MSAC (Movimento studentesco Azione Cattolica), riprendendo il pensiero di Don Lorenzo Milani, hanno accostato al bisogno di cura. E’ il famoso “I care” con il quale, precisano, “ha tracciato una strada, un solco, tuttora camminato solo da chi porta in cuore il desiderio di conoscere e capire la propria strada, pagando il pegno della fatica di chi vuole cercare di realizzare “I care” e “Valeo si Vales”, sto bene se tu stai bene”.
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[9] Cfr. 74ª Assemblea CEI: comunicato finale…, o. c.
[10] Il 24 agosto 2021, presso la Casa di Spiritualità S. Anna – Matera – l’Ufficio Diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica ha organizzato una giornata di formazione con la relazione del Prof. Ernesto Diaco, Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per la Scuola e l’Università. Il tutto è stato preceduto dall’intervento a più voci degli studenti del MSAC e degli studenti universitari.
1.3. Matera: XXVII Congresso Eucaristico Nazionale
In questo clima, piena di fiducia e speranza, la nostra Chiesa di Matera-Irsina si trova ad organizzare e ospitare un momento ecclesiale importante: il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale. In questi anni, prima e durante l’anno di Capitale Europea della Cultura (2019), abbiamo ospitato la Settimana Liturgica Nazionale, il Convegno Caritas Nazionale, il Raduno di tutte le Confraternite d’Italia, la Settimana dell’Università Cattolica, … Tutti momenti che la nostra Chiesa ha saputo organizzare e ha vissuto nel migliore dei modi.
I precedenti Congressi eucaristici nazionali (dal 1965 in poi) si sono svolti a Pisa (1965), Udine (1972), Pescara (1977), Milano (1983), Reggio Calabria (1988), Siena (1994), Bologna (1997), Bari (2005), Ancona (2011) e Genova (2016).
Il Rituale Romano considera un Congresso Eucaristico “come una stazione a cui una Chiesa locale invita le altre chiese della medesima regione o della stessa nazione o del mondo intero”[11].
Partecipano al Congresso tutti i Delegati nazionali e diocesani (laici, sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, delegazioni diocesane), coordinati dal Comitato Nazionale, sotto la Presidenza di un Vescovo nominato dalla CEI.
Al centro di ogni Congresso Eucaristico c’è chiaramente la celebrazione eucaristica, fonte e culmine dell’intera vita cristiana. Mentre le liturgie della Parola di Dio, le conferenze, i gruppi di studio, momenti culturali, contribuiscono ad approfondire i vari aspetti del Mistero Eucaristico suggeriti dal tema del Congresso[12].
Buona parte delle chiese cittadine saranno occupate dai partecipanti per ascoltare, pregare e adorare il Santissimo Sacramento. Anche le processioni eucaristiche vogliono essere di aiuto a dare una dimensione pubblica e rituale alla fede eucaristica celebrata, studiata e riaffermata nel corso del Congresso.
Matera è tra le più piccole città d’Italia scelta per celebrare un evento così importante.
La Città dei Sassi, una delle più antiche del mondo con oltre 8.000 anni di storia, ha delle tradizioni che in chiave eucaristica ci aiuteranno a leggere e vivere il Congresso radicandolo nel vissuto di un popolo che ha saputo esprimere la teologia trinitaria, eucaristica, cristologica e mariana partendo da elementi essenziali e fondamentali. È la città che mi piace definire del pane trinitario e della doppia natura di Gesù, divina e umana; dell’acqua, con canalizzazioni e cisterne scavate dappertutto, come elemento di vita che vince ogni miseria e morte; del vicinato come piccola parrocchia dove la comunità si riuniva; come città di Maria che ci dona il suo Figlio, Gesù, cibo di vita eterna. Ricchezze che appartengono all’intero territorio della nostra Arcidiocesi di Matera-Irsina e della Lucania.
Partendo da questi elementi che gusteremo e toccheremo con mano insieme alla Chiesa italiana, entreremo nel nostro mondo sotterraneo dove la vita spirituale è stata coltivata e celebrata nelle oltre 150 chiese rupestri. Luoghi abitati da monaci, eremiti che soprattutto dal XII secolo in poi hanno custodito e fatto crescere nel loro ventre la vita spirituale.
Sono due anni di seguito che non viviamo la processione eucaristica, ma sono due anni che il Signore ci sta invitando a fare un altro tipo di processione, la stessa che ha fatto Gesù camminando per le strade della sua terra. Oggi cammina attraverso di noi che, come lui, incontriamo volti stanchi, delusi, sofferenti, piagati nel corpo e nello spirito, i poveri, gli scartati. La nostra fede eucaristica non chiude le porte e non rimanda indietro nessuno, ma accoglie, cura, libera, indica strade nuove da percorrere, annuncia la buona notizia del Maestro e Signore, dialoga con la cultura di questo tempo, custodisce la terra, la casa comune, che ci è stata affidata.
Nella novità storica che stiamo vivendo a causa della pandemia e nell’ascolto di quanto lo Spirito Santo sta suggerendo in questo momento alla Chiesa italiana, il Congresso Eucaristico di Matera darà una svolta anche per quanto riguarda gli incontri, le relazioni e le celebrazioni. Nello spirito sinodale ciò che si vivrà a Matera si celebrerà contemporaneamente in tutte le Diocesi d’Italia.
I delegati di ogni singola Chiesa locale saranno incontrati, con l’inizio del nuovo anno, durante una tre giorni che li vedrà protagonisti nel fare propri i contenuti, nelle proposte che faranno, nella visita dei luoghi più significativi della nostra città. In questo modo dal 22 al 25 settembre 2022 con tutte le delegazioni celebreremo il Congresso con stile sinodale.
Insieme siamo l’unico corpo di Cristo, l’unica famiglia di Dio. Il senso di appartenenza ci conferma che solo insieme esprimiamo la Chiesa e mostriamo la bellezza di essere immagine e somiglianza di Dio. Siamo inseriti nel mistero trinitario dove la relazione tra le persone esprime la pienezza dell’amore fecondo, mentre la solitudine e l’isolamento producono la sterilità di un amore autoreferenziale.
È nell’Eucaristia che Gesù si è fatto nostro cibo e bevanda di salvezza, consentendoci di essere in comunione piena con lui, attraverso la comunione che si vive con i fratelli. È esattamente il contrario di quella forma rituale che diventa ripetitiva esclusivamente per rispettare un precetto e ricevere la comunione ma senza vivere la comunione. È la logica dell’abitudine, della ripetitività formale.
L’Eucaristia suscita in noi il desiderio di relazioni profonde, soprattutto perché il lungo tempo della pandemia non sempre ce l’ha permesso. Stiamo uscendo da giorni di forte preoccupazione, paura e dolore che possiamo superare anche grazie al rigore nell’osservanza delle regole di sicurezza che devono diventare normale prassi di vita.
L’Eucaristia è mistero che si svela e aiuta il nostro cuore a dilatarsi per esprimere gratitudine a Dio che si è fatto carne e cibo di vita eterna. È esperienza concreta che ci invia nel mondo per diffondere il buon profumo del Vangelo, aiutando a costruire un’umanità nuova.
Il Congresso Eucaristico Nazionale a Matera intende dare un forte messaggio dopo mesi di sofferenza a causa della pandemia: “Ritorniamo a gustare il pane” di vita eterna, Gesù, per una Chiesa sinodale, in cammino che vuol vivere la comunione, la partecipazione e la missione. Sarà proprio il “pane dei Sassi” che ci aiuterà a ritrovare forza ed energia per riprendere il cammino, come popolo di Dio.
È tempo di passare all’altra riva
mentre incombe la tempesta
di flutti che inondano la barca
di venti che squarciano le vele
di vortici che ci travolgono
verso abissi di morte
e tu dormi, Signore.
È tempo di passare all’altra riva
di vincere lo sgomento della paura
che chiude rotte d’uscita
di superare tempestosi flutti
approdare al porto sicuro
e ristorarci con il vaccino d’amore
che tu, Signore, inietti nei cuori.
È tempo di passare all’altra riva
con te, Gesù, pane di vita
che sostieni la nostra fatica,
vinci le paure
plachi le angosce
spalanchi la speranza
apri ad un luminoso presente.
È tempo di passare all’altra riva
per conoscerti, Signore,
nell’abbandono di un abbraccio
e consegnare a te, amore infinito,
mente, cuore e spirito
bambino
in braccio a sua madre.
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[11] SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Rituale Romano, De comunione et de cultu mysterii eucharistici extra missam (Città del Vaticano, 21 giugno 1973), n. 109,
[12] Cfr. Ibidem, n. 112.
2. Matera da città della “vergogna nazionale” a “Capitale europea della Cultura”, a città del “Congresso Eucaristico Nazionale”
“È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse”[13].
Questa affermazione del Vaticano II ci aiuta a guardare oltre gli orizzonti ristretti nei quali a volte viene racchiusa la cultura. Sotto tanti aspetti ci chiede di immergerci in quelle che vengono definite culture popolari. Sono queste che parlano il linguaggio dell’uomo e di un’intera comunità che trasmette la sua storia fatta di tradizioni, di detti, aneddoti, espressione religiosa, cultura contadina, luoghi, grotte abitate, vicinato, cisterne d’acqua, pane dal profumo intenso che parla la teologica trinitaria e la doppia natura di Gesù Cristo: umana e divina.
In questa logica riusciamo a capire che prima che venisse definita “la vergogna d’Italia”, Matera aveva espresso ricchezze culturali e spirituali notevoli. Era stato Carlo Levi, durante l’esilio in Lucania nel periodo fascista, ad attirare l’attenzione nazionale, attraverso le sue opere, sul degrado in cui versava la città di Matera, una delle città più antiche del mondo.
E fu in questo periodo che nel Sud Italia, proprio a Matera, iniziò l’insurrezione contro l’occupazione nazista, pagando un tributo notevole in vite umane: 18 civili e 8 militari furono trucidati. Era il 21 settembre del 1943. Dopo, il 23 settembre, l’insurrezione continuò a Vieste e quindi il 28 dello stesso mese a Napoli.
Il primo che, visitando la citta dei Sassi, ebbe a chiamarla “Vergogna nazionale” fu Palmiro Togliatti quando nel 1948 venne a Matera. Successivamente la visita di Alcide De Gasperi nel 1950 confermò questa definizione. Nel 1952, con una legge speciale, i rioni dei sassi furono sgomberati: si parla di circa 18.000 persone che furono trasferiti in zone nuove della città, costruite con l’apporto di diversi architetti, intellettuali, imprenditori, sociologi, tra cui Adriano Olivetti.
Fu così che il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso per tantissimi anni furono abbandonati all’incuria. Anche alcune chiese come quella di S. Pietro Caveoso, divennero luogo di deposito e di rifugio per i “briganti del tempo”. Solo quando, finalmente, incominciò il processo di riqualificazione, trasformando quella vergogna in orgoglio nazionale, arrivò il riconoscimento di Matera quale Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco prima e, nel 2014, Città Europea della Cultura 2019.
Come è stato possibile tutto questo? Nella Gaudium et Spes troviamo la risposta: “Con il termine generico di «cultura» si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano”[14].
Il 2019 ha rappresentato solo l’inizio di un cammino spalancando le porte di Matera al mondo intero per ammirarne le bellezze e l’unicità.
Eppure Matera, come d’altronde il resto del nostro territorio, avendo alle spalle oltre 8.000 anni di storia, è uno scrigno di civiltà, di cultura, di tesori nascosti che continuano ad essere scoperti anche ai nostri giorni. Ci sono almeno due città: quella che i nostri occhi vedono (le pareti esterne), e quanto c’è oltre il poco che vediamo (la città sotterranea, scavata nella roccia). “Preistoria, Civiltà Rupestre (Alto Medioevo), Civiltà Contadina e Città delle Stelle. La vita dell’uomo inizia negli stessi luoghi da cui oggi ha origine, ottomila anni dopo, il suo futuro. È questa la sfida che parte da Matera, città del Sud, per ridare un ruolo a tutto il Mezzogiorno”[15].
Nel Sinodo Diocesano, da poco concluso, viene detto: “Il filo conduttore è la “Lucanità”, cioè l’essenza antropologica, spirituale e culturale che ha unito fra loro uomini vissuti in tempi diversi sul territorio che oggi è affidato a noi. Dato il vasto panorama culturale della nostra regione, sarebbe opportuno fare un excursus tra i personaggi che si sono distinti nei vari campi della cultura. Ne riporto soltanto alcuni, facendo riferimento a Matera e al suo territorio. Tutto questo nasce dal processo di consapevolezza acquisito nell’anno 2019 in cui l’Italia e il mondo intero hanno scoperto la bellezza naturale e artistica della Basilicata, in particolare di Matera”[16].
“La nostra Lucania affonda in un tempo molto lontano la prerogativa di essere maestra di civiltà, ricca di fermenti di vita nelle manifestazioni culturali, artistiche, economiche e sociali. Una cultura che ha conservato nella sua essenzialità le radici greche, mantenute vive nel tempo da ogni lucano residente o emigrato”[17].
Alla luce di queste considerazioni l’idea di cultura apre scenari e orizzonti infiniti. “Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce «cultura» assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l’ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà”[18].
Il nostro Sinodo si è interrogato con serenità e fuori dai luoghi comuni o di circostanza, esprimendosi alla luce di un tempo che ci ha visti, come Chiesa, coinvolti attraverso il progetto, sostenuto dalla CEI, del Parco Culturale Ecclesiale Terre di Luce. «L’evento di Matera Capitale Europea della Cultura è stato un grande contenitore di prodotti culturali, ma rischia di lasciare un vuoto umano, se la città non continuerà a investire in valori e contenuti che oltrepassino l’idea secondo cui la cultura è intrattenimento, evasione, eventi, commercio e turismo»[19].
La Chiesa, per evangelizzare, ha usato da sempre quel linguaggio che oggi chiamiamo virtuale per richiamare i fedeli alla realtà esistente: immagini, colori, sculture, affreschi permangono nella loro bellezza su pareti, soffitti, altari, colonne, arredamenti liturgici, vasi sacri, segni che il genio di artisti e artigiani ha realizzato per rappresentare nella Chiesa in Terra l’immensità di quella Celeste. Per questo la Chiesa ha il «diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri»[20]. Questi beni, in ragione della loro appartenenza a una persona giuridica della Chiesa, ricevono lo status di «beni ecclesiastici».
Il nostro patrimonio non deve essere considerato solo nel suo valore artistico. C’è di più. Abbiamo la fortuna che nel corso della storia, la nostra Chiesa ha saputo investire in ricchezza culturale e materiale che ha contribuito in modo rilevante alla proclamazione di Matera prima Patrimonio dell’UNESCO, successivamente Città Capitale della Cultura Europea 2019. La Chiesa ha saputo leggere il lungo passato prima dell’avvento del cristianesimo, e scrivere, custodire e consegnare ai nostri giorni un patrimonio artistico unico nel suo genere.
Ci viene ricordato: «La maggior parte dei beni culturali ecclesiastici è stata creata e continua a far riferimento alla liturgia che ne costituisce la ragion d’essere. Entro tale contesto i beni culturali ecclesiastici hanno modo di comunicare il loro messaggio e di essere letti nel modo più idoneo. La loro piena valorizzazione è costituita dall’uso che se ne fa per il culto»[21].
Lo stesso Papa Francesco afferma: «Insieme al patrimonio naturale vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile […]
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[13] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes [GS], (Città del Vaticano, 29 giugno 1966), n. 53.
[14] Idem.
[15] R. DE RUGGERI, https://www.comune.matera.it › matera-2019-int › item
[16] ARCIDIOCESI DI MATERA-IRSINA, Vino nuovo in otri nuovi (Lc 5,38). Alla luce del Vangelo il rinnovamento della Chiesa di Matera-Irsina, Vol II, Orientamenti e norme, D&B stampagrafica Bongo – Gravina di Puglia (BA), maggio 2021, Art. 400, p. 232
[17] Ibidem, Art 401, p. 232.
[18] GS, 53.
[19] Arcidiocesi…o.c., Art. 408.
[20] Codice di Diritto Canonico [CIC], Roma, Unione Editori Cattolici Italiani, 1983, can. 1257.
[21] Cfr. CEI, I Beni Culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti, 09 dicembre 1992, n. 2; il rapporto tra profili teologici ed artistici, animazione pastorale e culturale, si ritrova anche in numerosi passi sulla formazione degli operatori dei beni culturali.
3. Matera città del “pane”: comunione e conversione ecologica
“Il nostro pianeta è un dono di Dio, ma sappiamo anche che stiamo vivendo l’urgenza di agire di fronte a una crisi socio-ambientale senza precedenti. Abbiamo bisogno di una conversione ecologica per rispondere adeguatamente”[22].
Nell’Eucaristia il Creato trova la sua maggiore elevazione. Lo cogliamo e lo viviamo quando nella celebrazione Eucaristica sperimentiamo che il Dio di Gesù Cristo nel quale crediamo, che si è fatto carne, diventa cibo per la sua creatura. In un frammento di pane e in un sorso di vino diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. “Il Verbo si è fatto carne”: il divino avvolge l’umano non dall’esterno o dall’alto semplicemente ma da dentro ognuno di noi, dalla nostra stessa carne.
È nell’Eucaristia che cielo e terra si uniscono penetrando tutto il creato; noi, insieme agli Angeli e ai Santi, ci uniamo ad una sola voce: “Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’Universo! I cieli e la terra sono pieni della tua gloria…”. È tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico. “Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio”[23].
In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo»[24]. L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso»[25]. Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato”[26].
Matera ha una tradizione di panificazione che nel corso dei secoli ha sempre più sviluppato, affermandosi come città del pane. Questa nostra città, da quando ha accolto l’annuncio evangelico, ha saputo sviluppare una particolare teologia nella semplicità dei gesti e dei segni. Uno di questi è appunto il pane.
Il suo profumo inebria le strade e le case, il suo sapore è una carezza per il cuore. Non a caso ogni fetta del pane tradizionale ha la forma del cuore. Un cuore che si dilata, si fa cibo, esattamente come Dio Trinità.
Anticamente le mamme di questa città, come un po’ dappertutto, iniziavano la lavorazione dell’impasto per il pane con il segno della croce. Successivamente, per risparmiare spazio nel forno e mettere più pani, si sviluppò la tecnica di creare un pane che lievitasse soprattutto in altezza. Questa tecnica si basa sulla teologia della Santissima Trinità. La pasta viene stesa a forma di rettangolo: si uniscono le estremità di un lato arrotolandola tre volte, mentre si pronuncia: “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Dall’altro lato, con la stessa tecnica, si fanno due giri per ricordare la doppia natura di Gesù Cristo: umana e divina. Al termine l’impasto viene piegato al centro e fatti tre tagli sopra recitando: Padre, Figlio e Spirito Santo.
A questo punto il pane viene lasciato riposare nel giaciglio caldo dove aveva dormito il marito: luogo sacro perché luogo dell’amore e nascita di vita nuova. La formula che la donna usava era questa: Cresci pane, cresci bene come crebbe Gesù nelle fasce. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Qui, continuando a lievitare con il lievito madre, si amalgamava diventando una sola massa.
Nella civiltà contadina i pani lievitati venivano portati nei forni più vicini da alcuni garzoni che passavano a raccoglierli portandoli su una tavola posta sulla testa. Per sapere di chi fossero i pani, questi venivano timbrati. Il timbro, con le iniziali del capo famiglia o con un simbolo, era segno di appartenenza.
Il pane diviene così il segno della comunione, della fraternità, dell’appartenenza all’unica famiglia che si nutre dell’unico pane che è sacro, che viene spezzato e distribuito dal capo famiglia ai componenti della famiglia. Esattamente come fece Gesù quando istituì l’Eucaristia.
Il pane è sacro:
- se cade a terra si raccoglie, si pulisce, si bacia e si mangia;
- non va messo sul tavolo a testa in giù, rappresenta il volto di Gesù;
- non si butta nemmeno una briciola per cui con il pane indurito si preparano piatti speciali che ancora oggi vengono serviti.
Questa tecnica e questa spiritualità trinitaria, sviluppatesi nel corso dei secoli, hanno permesso alla nostra gente di comprendere come la natura umana si rivesta sempre più di quella divina.
Nella preparazione del pane, ancora oggi, a Matera, l’accostamento con il pane eucaristico, Gesù cibo di vita eterna, è evidente. La cultura del pane è eucaristica.
Non più forni di vicinato, ma forni presenti sul territorio sfornano continuamente pane dal profumo intenso, dal sapore delizioso, dalla crosta croccante, che sfama, che sazia. È il pane Trinità. Come Dio è uno in tre persone, in una sola sostanza, così la pasta del pane, lavorata da abili panettieri, diventa, nonostante il triplice avvolgimento della pasta, una sola sostanza.
Dio è amore e l’amore è relazione che diventa circolarità. In questo amore siamo immersi per essere anche noi quel pane che Gesù stesso ha scelto per diventare cibo di vita eterna: “Chi mangia la mia carne e bene il mio sangue avrà la vita eterna” (Gv 6,54).
Noi tutti siamo chiamati ad immergerci nell’amore della santissima Trinità per essere, come Dio, come il pane, profumo, delizia, cibo che inebria, sazia, dà vita.
Purtroppo assistiamo ad «un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale»[27], che il più delle volte disorienta e stordisce. Infatti Papa Francesco dice: «più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare»[28]. Quanti di noi hanno fatto esperienza di «altissimo consumo e di benessere»[29] si sono resi conto «che il progresso attuale e il semplice accumulo di oggetti o piaceri non bastano per dare senso e gioia al cuore umano»[30]. «La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione»[31].
Il Concilio Vaticano II presenta la Chiesa come “Un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”[32]. “La comunione è il frutto e la manifestazione di quell’amore che, sgorgando dal cuore dell’eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5, 5), per fare di tutti noi un cuore solo e un’anima sola. E realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come sacramento, ossia segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
Fuori da questa logica esiste l’individualismo, che, dietro il falso annuncio di bene per gli altri, ricerca l’affermazione personale, del proprio gruppo. Tutto ciò che è a scapito dell’uomo, scartato ed emarginato o abbandonato al proprio destino, è fuori dalla logica dell’amore della Trinità che nel suo amore circolare avvolge, accoglie, sazia, ridando dignità perduta. L’abito di Dio che fa riscoprire la gratuità dell’amore non ha prezzo: è l’unica legge che cambia realmente e radicalmente i cuori, quindi la vita, l’umanità intera.
La Trinità è incontro, relazione, che lascia la scia del suo profumo in questa umanità bisognosa di gustare il pane della vita eterna. È il segno della croce che facciamo all’inizio e alla fine di ogni celebrazione che segna la nostra carne amata dal Padre, condivisa dal Figlio, fecondata dallo Spirito Santo. Lo stesso segno che le nostre mamme o nonne hanno sempre fatto sull’impasto del pane.
La Trinità aiuta gli uomini a costruire strade per camminare insieme; disegnare rotte sul mare per convergere verso porti e respirare la libertà; costruire ponti per uomini bisognosi d’incontrarsi, stare insieme e gustare lo stesso pane.
La Trinità non è fatta di numeri ma di persone, così come gli uomini non sono numeri ma persone diverse che insieme formano l’unico vero volto di Dio, perché tutti siamo stati creati a sua immagine e somiglianza.
Solo così ogni comunità ecclesiale mostrerà il suo vero volto di famiglia nelle parrocchie, anche attraverso le esperienze di gruppi, associazioni, cammini di fede, coltivando la fraternità, l’amicizia, il perdono, il servizio reciproco, guidati dai pastori. La Chiesa dunque deve diventare sempre più famiglia; ma a sua volta anche la famiglia cristiana deve diventare sempre più “Chiesa in miniatura”[33].
Benedetto XVI, nella sua prima Enciclica, presenta in maniera tutta particolare la Chiesa-famiglia come espressione dell’amore della Santissima Trinità per l’umanità intera. La carità della Chiesa – dice – è “manifestazione dell’amore trinitario”[34].
E ancora: “La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo però la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del buon Samaritano rimane come criterio di misura, impone l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato «per caso», chiunque egli sia. Ferma restando questa universalità del comandamento dell’amore, vi è però anche un’esigenza specificamente ecclesiale – quella appunto che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno. In questo senso vale la parola della Lettera dell’Apostolo, mio santo Patrono san Paolo, ai Galati: «Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede». La Chiesa-famiglia è luogo d’amore, e amore verso i fratelli e le sorelle più poveri…[35].
L’umanità che perde il volto trinitario è destinata a chiudersi nei propri egoismi, nelle proprie paure. È destinata a morire dietro a scellerate scelte di chi, vendendo fumo, annebbia la vista, fa perdere la rotta della ragione, naufraga miseramente.
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[22] FRANCESCO, Esortazione Apostolica post sinodale, Querida Amazonia, LEV, (Città del Vaticano, 02 febbraio 2020), 65.
[23] FRANCESCO, Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Laudato sì, (Città del Vaticano, 24 maggio 2015), [LS], 236.
[24] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica, Ecclesia de Eucharistia (Città del Vaticano, 17 aprile 2003) [EdE].
[25] BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini (15 giugno 2006).
[26] LS, 236.
[27] LS, n. 219.
[28] LS, n. 204.
[29] LS, n. 209.
[30] Idem.
[31] LS, n. 228.
[32] LG, n. 4.
[33] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, (Città del Vaticano, 22 novembre 1981), n. 49.
[34] BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est (Città del Vaticano, 25 dicembre 2005), II parte, 19ss.
[35] Ibidem, n. 25.
4. Matera città dell’ “acqua”: partecipazione e conversione culturale
Perché ci sia la conversione culturale è necessario che avvenga un cambiamento di mentalità che persegua in modo speciale la sussidiarietà. Significa che «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto […], quindi di sostegno, promozione e sviluppo rispetto alle minori»[36].
In tutto questo possiamo dire con Benedetto XVI «che la Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi. Che non è congelata in schemi: accade sempre qualcosa di sorprendente, che possiede una dinamica intrinseca capace di rinnovarla costantemente»[37].
La pandemia ci ha insegnato che tutti abbiamo bisogno di un cibo che non sia solo quello materiale, ma soprattutto quello della vita che per noi ha un nome, è una persona: Gesù. «Anche il mondo attuale ha bisogno di tale pane per avere la vita. Nella conversazione con Gesù che presentava se stesso come il Pane per la vita del mondo, la folla spontaneamente lo pregò: “Signore dacci sempre questo pane”. Si tratta di una supplica significativa, espressione del desiderio profondo insito nel cuore non solo dei fedeli bensì di ogni uomo che anela alla felicità simbolizzata dal pane della vita eterna»[38]. Che tutti abbiamo bisogno di dissetarci all’acqua viva, come la samaritana: «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15).
Matera oltre che città del pane è anche città dell’acqua. Uno dei motivi che ha portato l’Unesco a inserire Matera nel patrimonio dei Beni dell’Umanità nel 1993 è stata l’attenzione verso il sofisticato, intricato e ingegnoso sistema di raccolta e distribuzione delle acque piovane e risorgive.
Il sistema di raccolta delle acque nella terra materana trova già la sua canalizzazione nel tempo del Neolitico. Condizionati dalla configurazione geologica, i Sassi sono stati scavati nella calcarenite costruendo nel tempo un agglomerato urbano di abitazioni, strutturato a terrazzamenti, seguendo il canyon dove scorre il torrente Gravina. Questa struttura urbana ha sviluppato negli abitanti l’ingegno di raccogliere e distribuire l’acqua in ogni casa, scavando delle cisterne secondo il sistema dei vasi comunicanti.
Interessanti sono le cisterne enormi realizzate in diversi punti della città, incominciando dalla piazza principale, fino a quella vicina alla chiesa del Purgatorio Vecchio: i palombari. Non si può venire a Matera senza visitare questi luoghi.
Matera, Città millenaria, inserita nel bacino del Mediterraneo, guarda Maria come la “Grande Madre”, come Colei dalla quale scaturisce la sorgente della Vita: nel cuore del Sasso Caveoso sorge la Chiesa rupestre della Madonna de Idris con chiari riferimenti all’acqua della prima creazione e all’Annunciazione come nuova creazione.
La chiesa Madonna de Idris, nell’attuale configurazione, risale al XIV – XV secolo e fa parte di un complesso rupestre che comprende anche la più antica cripta, dedicata a San Giovanni in Monterrone. Questa cripta è importante per gli affreschi che conserva e che risalgono ad un periodo che va dal XII al XVII secolo. Le due chiese sono comunicanti.
Perché la chiesa si chiama Madonna de Idris? Deriva dal greco Odigitria (guida della via, o dell’acqua). È certo che i monaci bizantini, da Costantinopoli, dove la Madonna era venerata con questo titolo, introdussero il culto. C’è una cappella, staccata dalla Basilica Cattedrale, dedicata proprio alla Madonna di Costantinopoli.
Le donne di Matera salivano, arrampicandosi lungo lo sperone di roccia, per arrivare alla chiesa e ringraziare la Madonna per il dono dell’acqua, elemento base della vita ma anche simbolo sotterraneo di Matera.
Ogni goccia d’acqua era da custodire, non andava sprecata. Ed è l’acqua che è capace di amalgamare la farina donando vita ad un impasto che, con il lievito madre, cresce nel segno della SS. Trinità, nutrimento per ogni famiglia, di ogni corpo che richiama l’appartenenza al corpo di Cristo: tante membra un solo corpo che è la Chiesa, la famiglia di Dio, popolo in cammino.
La cultura di questa città, impregnata di ingegno, tradizioni ancestrali, superstizioni, fede, sorge da un frammento di umanità che è stata capace di relazionarsi nel tempo con altre culture ed espressioni religiose, di pensare, di generare e far vivere la vittoria della vita nella nuda roccia, lasciando intravedere una bellezza propria che oggi tutti ammiriamo e onoriamo. Quanta fatica, quanto sudore, quanto amore c’è dietro!
Il Concilio Vaticano II, nel Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, dice: “Il seme, cioè la parola di Dio, germogliando nel buon terreno irrigato dalla rugiada divina, assorbe la linfa vitale, la trasforma e l’assimila per produrre finalmente un frutto abbondante… Per raggiungere questo scopo è necessario che, nell’ambito di ogni vasto territorio socio-culturale, come comunemente si dice, venga promossa una ricerca teologica di tal natura per cui, alla luce della tradizione della Chiesa universale, siano riesaminati fatti e parole oggetto della Rivelazione divina, consegnati nella sacra Scrittura e spiegati dai Padri e dal magistero ecclesiastico. Si comprenderà meglio allora secondo quali criteri la fede, tenendo conto della filosofia e del sapere, può incontrarsi con la ragione, ed in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale possono essere conciliati con il costume espresso nella Rivelazione divina. Ne risulteranno quindi chiari i criteri da seguire per un più accurato adattamento della vita cristiana nel suo complesso. Così facendo sarà esclusa ogni forma di sincretismo e di particolarismo fittizio, la vita cristiana sarà commisurata al genio e al carattere di ciascuna cultura, e le tradizioni particolari insieme con le qualità specifiche di ciascuna comunità nazionale, illuminate dalla luce del Vangelo, saranno assorbite nell’unità cattolica. Infine le nuove Chiese particolari, conservando tutta la bellezza delle loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale, lasciando intatto il primato della cattedra di Pietro, che presiede all’assemblea universale della carità[39]”.
A Matera, come in tutto il Sud, anche nelle feste religiose si esprime una cultura “propria” derivante dall’incontro della spiritualità occidentale con quella orientale. Cultura che nel corso dei secoli, fino a giungere a noi, si è espresso e continua ad esprimersi soprattutto nella devozione alla Madonna e alla Madonna della Bruna in particolare, secondo quanto i fedeli hanno assimilato dalle due culture diverse, senza dimenticare comunque il retaggio culturale e religioso risalente al periodo precedente l’avvento del cristianesimo.
In questo tempo la pandemia ci sta dicendo che occorre una vera e propria conversione, mettendo al centro la persona che deve ritornare persona, valorizzando il suo essere immagine e somiglianza di Dio, cioè amore. “La Chiesa promuove la salvezza integrale della persona umana, riconoscendo il valore della cultura dei popoli indigeni, parlando dei loro bisogni vitali, accompagnando i movimenti nelle loro lotte per i propri diritti. Il nostro servizio pastorale costituisce un servizio per la vita piena dei popoli indigeni, che ci spinge ad annunciare la Buona Novella del Regno di Dio e a denunciare le situazioni di peccato, le strutture di morte, la violenza e l’ingiustizia, promuovendo il dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico[40]”.
Ma l’acqua ha un altro significato importante. I nostri vini corposi con una gradazione molto elevata venivano diluiti con l’acqua. È un uso dell’antica Grecia e quasi sicuramente veniva seguito anche in Palestina al tempo di Gesù: prima di bere del vino vi si aggiungeva una certa quantità di acqua. Nella liturgia Eucaristica assunse un altro significato. Ce lo spiega San Cipriano di Cartagine (III sec.) che associa a questo gesto la mescolanza dell’umanità con il Cristo. Nella lettera indirizzata a Cecilio, afferma: “Se qualcuno offrisse solo vino, il sangue di Cristo inizierebbe a essere senza di noi. Se invece ci fosse solo acqua, allora il popolo inizierebbe a essere senza Cristo”[41]. Clemente Alessandrino spiega invece che l’acqua è la salvezza arrecata dal sangue di Cristo. Agostino, richiamando Gv 19,34 ci ricorda che dal costato di Cristo squarciato sgorgarono sangue ed acqua.
Infatti quando i fedeli si comunicavano sotto le due specie, l’acqua veniva versata a segno di croce dal diacono nei calici abbastanza grandi. Nel momento in cui non ci fu più la comunione dei fedeli direttamente al calice, il vino era solo per il celebrante il quale versava solo poche gocce d’acqua. La Chiesa antica ha visto in questo gesto simbolico l’unione a Cristo che salva.
San Tommaso D’Aquino[42] difende quest’uso, dandovi diverse ragioni differenti, non ultima quella di significare l’unione del popolo cristiano con Cristo.
Anche il Concilio di Firenze fornisce una spiegazione allegorico-mistica: perché questo si addice al memoriale della passione del Signore. “Non si deve, infatti, offrire nel calice del Signore o solo il vino o solo l’acqua, ma l’uno e l’altra insieme, perché si legge che l’uno e l’altra, cioè il sangue e l’acqua, sono sgorgati dal fianco di Cristo”[43] (cfr. Gv 19,34). Così entra in gioco il carattere sacrificale della Santa Messa, il sacrificio di sé del Redentore per amore della nostra salvezza.
L’effetto che il sacramento ha su di noi deve manifestarsi nella goccia d’acqua: “nell’acqua si prefigura il popolo, e nel vino si manifesta il sangue di Cristo… “Quando dunque si mischia nel calice l’acqua col vino, si unisce il popolo a Cristo, e il popolo fedele si congiunge e si unisce con colui nel quale crede[44]”.
Attualmente le parole che il sacerdote dice sottovoce e che non sempre sono capite sono esattamente queste: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Da qui comprendiamo come un gesto apparentemente insignificante ha un significato molto profondo: l’unione della nostra natura con la vita di Cristo, l’unione al suo sacrificio del nostro sacrificio, la nostra partecipazione a ciò che il vino sta per diventare.
Gesti, segni, parole che nel corso dei secoli hanno sacralizzato la quotidianità rivestendo ogni momento, soprattutto i più difficili e sofferti, di quella divinità capace di rendere l’umano unito al divino.
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[36] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, (Città del Vaticano, 29 giugno 2004), 186.
[37] BENEDETTO XVI, Ultime conversazioni, a cura di P. Seewald, Garzanti, Milano 2016, p. 43.
[38] SINODO DEI VESCOVI, XI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Instrumentum laboris, (Città del Vaticano, 2005), 3.
[39] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, Ad Gentes [AG], (Città del Vaticano, 07 dicembre 1965), 22.
[40] SINODO DEI VESCOVI DELL’AMAZZONIA, Documento finale, Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale, (Città del Vaticano, 26 ottobre 2019), 48.
[41] CIPRIANO, Epistola 63,13.
[42] TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, III, qu. 74, a 6.
[43] CONCILIO FIRENZE, Sessione VIII, 22 novembre 1439.
[44] Idem.
5. Matera città del “vicinato”: missione e conversione pastorale
Il Concilio Vaticano II ci insegna che: “La Chiesa per sua natura è missionaria e ha la sua origine nell’‘amore fontale di Dio’ (cfr. AG 2). Il dinamismo missionario che scaturisce dall’amore di Dio si irradia, si espande, straripa e si diffonde in tutto l’universo. Siamo inseriti dal battesimo nella dinamica dell’amore attraverso l’incontro con Gesù che dà un nuovo orizzonte alla vita (cfr. DAp 12). Questo straripare spinge la Chiesa a una conversione pastorale e ci trasforma in comunità vive che lavorino in équipe e reti al servizio dell’evangelizzazione. La missione così intesa non è qualcosa di facoltativo, un’attività della Chiesa tra le altre, ma è la sua stessa natura”[45].
Papa Francesco sintetizza il tutto in questa espressione: “Gesù ha indicato a noi suoi discepoli che la nostra missione nel mondo non può essere statica, ma è itinerante. Il cristiano è un itinerante”[46]
Una caratteristica che animava la vita sociale nei paesi del Sud Italia era il vicinato. Nei Sassi si è maggiormente sviluppato in una micro-aggregazione con più famiglie che avevano le loro case-grotta in una forma urbana attorno ad una piccola piazzetta. Ogni famiglia era di aiuto e sostegno all’altra: il bene comune superava quello personale, la solidarietà allontanava ogni forma di egoismo.
Il bisogno di stare insieme manifestava che oltre la singola famiglia esiste una grande famiglia che è la comunità. Nell’assemblea liturgica domenicale si manifestava pienamente. Di domenica, per vivere il senso della festa, si usciva dalle proprie case-grotta con il vestito bello, soprattutto a Natale, a Pasqua e il 2 luglio per la festa della Madonna della Bruna: la Visitazione della Madonna a S. Elisabetta.
Dai Sassi si usciva anche per fare i pellegrinaggi verso i luoghi di culto più significativi: a maggio al Santuario di Picciano, il lunedì dell’Angelo alla chiesa di S. Liborio ai Cappuccini, alla chiesa di Cristo alla Gravinella a marzo. Tutti luoghi dove la famiglia del vicinato confluiva nell’unica famiglia di Dio, la Chiesa. Tutti figli dell’unico Padre, in cammino dietro alla Madre per ricevere la Parola del Figlio, Gesù, partecipare all’Eucaristia sperimentando di essere Corpo di Cristo, sentendo la forza dello Spirito Santo.
L’avv. Raffaele De Ruggeri, già Sindaco di Matera, studioso e profondo conoscitore della storia del territorio ma soprattutto amante della sua città, parlando del vicinato dice: “Il lungo percorso di recupero dell’identità culturale di Matera è stato ispirato da persone che avevano l’obiettivo di rovesciare il cannocchiale della storia recente della città. Io sono stato un nano che ha camminato sulle spalle di giganti come Umberto Zanotti Bianco, Manlio Rossi Doria, Rocco Mazzarone, Adriano Olivetti, Friederich Friedmann, Lidia De Rita, Gilberto Marselli, Francesco Compagna. Persone che hanno trasformato la vita dei Sassi in modelli culturali e sociali da valorizzare e da presentare al mondo come idea di un futuro a dimensione umana.
Il Vicinato a Pozzo rappresenta il luogo fisico in cui questi modelli culturali e sociali hanno trovato sublimazione. Il Vicinato è abitazione, è stalla, è bottega, è spazio libero dove caricarsi di sole in attesa della notte; è il luogo della conversazione sociale, della serpeggiante dissonanza, anche verbale, tra uomini e donne; è lo spazio del gioco improvvisato e divertente dei bambini e dei ragazzi; è il luogo della traduzione della saggezza di detti e di atti comportamentali; è l’aria rasserenante della sentita esperienza comunitaria della solidarietà. Modello di tale fervore, il Vicinato a Pozzo del Rione Malve, è divenuto straordinario alambicco sociale per le ricerche e le proiezioni nel tempo in cui Matera fu Capitale Europea dell’antropologia, della sociologia e dell’urbanistica. Questo tassello del Parco della Civiltà Contadina è quindi quello che dà il senso dell’identità di Matera e nel contempo rappresenta il valore storico-culturale che questa città esprime nel mondo contemporaneo”[47].
Il mondo nel quale viviamo è cambiato tantissimo. Tutti tocchiamo con mano che esiste un pluralismo culturale e religioso. Esiste una trasformazione che parla un linguaggio spesso diverso da quello che usiamo come Chiesa. Non sempre riusciamo a far sentire la freschezza e la gioia del Vangelo. Per questo motivo Papa Francesco insiste nel dire: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)»[48].
I discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare il pane, ritrovarono forza, gioia, entusiasmo, speranza e senza indugio fecero ritorno a Gerusalemme per annunciare la gioia del Cristo risorto. I loro occhi si erano aperti, il loro cuore ardeva nel petto[49].
Questo brano evangelico è un chiaro invito a una conversione pastorale che mette in movimento le nostre comunità parrocchiali. In un modo nuovo sono sempre “fontane del villaggio” dove viene coltivato l’incontro con Gesù Cristo. Dalla celebrazione e partecipazione i canali della grazia scorrono per l’evangelizzazione dei nostri territori. In questo senso, come i discepoli di Emmaus, la parrocchia sarà «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione»[50].
Il primo pensiero del Concilio Vaticano II è stato quello di mettere al centro della vita cristiana la formazione liturgica e la partecipazione all’Eucaristia. Più volte nella Costituzione conciliare sulla Sacra liturgia ritorna quanto qui viene riportato: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un’adeguata formazione”[51].
Tutti ricordiamo che S. Giovanni XXIII, parlando della Chiesa, la definiva come “l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato”[52].
A pensarci bene il “vicinato” dei Sassi trova il suo significato etimologico nella parola “parrocchia”, che, derivante dal greco paroikía, esprime vicinanza. Infatti, il verbo paroikéo letteralmente significa “vivere vicino”. La parrocchia è la casa che sta accanto alle altre, diciamo meglio: è la casa dei vicini, di tutti. Dunque i Sassi erano formati da centinaia di piccole parrocchie: i vicinati.
Come la comunità familiare si ritrova attorno alla mensa di casa, dove circola la parola di tutti nella condivisione di avvenimenti, di battute, risate, tristezze, ma altresì nella condivisione delle pietanze poste al centro, così dev’essere una comunità cristiana raccolta attorno alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia. La comunità parrocchiale deve diventare chiaramente consapevole dell’importanza della Parola e del fatto che la celebrazione eucaristica sia essenziale per la sua vita e missione.
È nella parrocchia che soprattutto si vive l’annuncio evangelico, si spezza il pane dell’Eucaristia, spazio di fraternità e di carità, da cui si irradia la testimonianza cristiana nel mondo. «La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione», e comunità di comunità»[53].
Il “vicinato” dei Sassi di Matera richiama questo carattere di Chiesa che celebra ritrovandosi attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia. Tra i tanti vicinati presenti di particolare interesse è quello inaugurato nel 2019: Vicinato a Pozzo di Rione Malve. È un vero e proprio museo immersivo che ha richiesto molto lavoro nella ricerca di materiale video, di testimonianze dirette di quanti abitavano, di catalogazione e restauro.
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[45] AG, 21.
[46] FRANCESCO, Angelus del 30 giugno 2019.
[47] https://www.comune.mt.it/matera-2019-int
[48] CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Città del Vaticano, 20 luglio 2020); FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (Città del Vaticano, 24 novembre 2013), 287.
[49] A.CAIAZZO, Lettera Pastorale Gesù in persona si accostò e camminava con loro” (Lc 24,1-5), D&B stampagrafica Bongo, Gravina in Puglia, settembre 2017.
[50] CONGREGAZIONE PER IL CLERO, “La conversione…,o.c., n. 5.
[51] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, (Città del Vaticano, 04 dicembre 1963), 14.
[52] GIOVANNI XXIII, Celebrazione della Solenne Liturgia in rito Bizantino-Slavo in onore di San Giovanni Crisostomo (13 novembre 1960).
[53] CONGREGAZIONE PER IL CLERO, “La conversione…,o.c., n. 27.
6. Matera città di “Maria” e della “Visitazione”
Gesù ha ricevuto la carne e il sangue da sua Madre, Maria. Quello stesso sangue e carne che ci ha lasciato nell’Eucaristia. S. Giovanni Paolo II lo ha detto in modo chiaro: «Quel corpo dato in sacrificio e ripresentato nei segni sacramentali era lo stesso corpo concepito nel suo grembo! Ricevere l’Eucaristia doveva significare per Maria quasi un raccogliere in grembo quel cuore che aveva battuto all’unisono col suo»[54].
C’è un inno eucaristico, attribuito a papa Innocenzo VI (1282-1362), che dice esattamente: Ave, verum Corpus natum de Maria Virgine! Inno al quale fa riferimento sempre S. Giovanni Paolo II durante l’Angelus specificando che è lei che «ha offerto al Signore la Carne innocente, e il Sangue prezioso che riceviamo all’altare. Ave, verum Corpus: Corpo vero, veramente concepito per opera di Spirito Santo, portato in grembo con ineffabile amore. […]. Quel Corpo e quel Sangue divino, che dopo la consacrazione è presente sull’altare e viene offerto al Padre diventando comunione d’amore per tutti, rinsaldandoci nell’unità dello Spirito Santo per fondare la Chiesa […]. Ogni Messa ci pone in comunione intima con Lei, la Madre, il cui sacrificio ritorna presente come ritorna presente il sacrificio del Figlio alle parole della Consacrazione»[55].
Tutti noi credenti siamo dunque invitati ad andare alla scuola di Maria, Donna “Eucaristica”, per scoprire quanto intimo sia il rapporto che esiste tra Chiesa ed Eucaristia. Maria è Madre e modello della Chiesa[56].
Camminando per le strade della città di Matera e del territorio lucano si trovano frequentemente delle edicole con immagini sacre. Edicole realizzate sui muri esterni ed interni delle abitazioni oppure “cone” (icone) posizionate agli incroci delle strade o di altri luoghi per ricordare un evento divino straordinario. I fedeli, soprattutto viandanti, si soffermavano davanti a queste edicole per pregare, ritrovare speranza, forza e coraggio per continuare il cammino. A volte servivano, addirittura, per segnalare il limite del proprio territorio ma anche per invocare protezione e benedizione sull’intero lotto di terreno adibito a semina.
Realizzare delle edicole è stato da sempre un modo per esprimere la religiosità e trova le sue origini ancor prima dell’avvento del cristianesimo. “Edicola” deriva, infatti, dal latino aedes, la casa dei Romani. Nel suo diminutivo aedicula trova un significato che rimanda al sacro. L’aedicula, o larario, sotto forma di una piccola nicchia, era presente in tutte le case dei Romani. In queste case venivano venerate le immagini dei protettori della case: lares. Infatti l’uomo, da sempre, ha sentito il bisogno di stabilire con la terra un legame sacro. Legame che “segnava” e “consacrava” con la realizzazione di edicole.
Questi “tempietti”, eretti per ricordare un evento straordinario, nel cristianesimo hanno acquisito un valore ancor più alto: testimonianza di un rapporto con il sacro che non è aleatorio, ma concreto. Raccontano di un Dio che si è fatto carne in Gesù Cristo nel seno di una Vergine, Maria. È così che nascono le edicole votive, segni di pietà popolare, devozione e culto verso Dio, la Madonna e i Santi.
Da quanto esposto possiamo dire che a Matera c’è una spiritualità trinitaria, cristologica, mariana al punto che dal 27 novembre 1954 si fregia del titolo di Civitas Mariae, quando il Consiglio comunale, a seguito dell’Anno mariano, si fece portavoce della richiesta dei cittadini presso il proprio vescovo. Una scelta confermata da S. Giovanni Paolo II, il quale, durante l’Eucaristia celebrata sulla piazza di Matera il 27 aprile 1991, ebbe a dire che questa è la Diocesi della Visitazione e del Magnificat, ampliando questa caratterizzazione mariana all’intera Arcidiocesi di Matera-Irsina. Così è stata celebrata con un convegno “Mater Matera” il 27 novembre 2014; così continuiamo a chiamare la nostra Città eletta a Capitale Europea della Cultura nel 2019.
La festa della Visitazione corrisponde alla festa della Madonna della Bruna che a Matera continua ad essere celebrata sempre il 2 luglio nonostante la riforma liturgica.
Ripercorrendo la storia della festa del 2 luglio[57] bisogna andare indietro nel tempo di parecchi secoli. Papa Urbano VI, nel 1389, istituì la festa della Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. La Visitazione è così presentata dall’evangelista Luca:
«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”» (Lc 1,39-45)
Urbano VI chiamava Bartolomeo Prignano, di padre pisano e madre napoletana, nato verso il 1320. Era un apprezzato giurista, economo e teologo. Fu nominato Arcivescovo di Acerenza e Matera nel 1363, anche se passava più tempo nella cancelleria apostolica di Avignone. Trasferito a Bari nel 1377, dopo un anno fu eletto Papa all’unanimità l’08 aprile 1378.
Urbano VI, da vescovo di Acerenza e Matera, sicuramente celebrò la festa della Bruna che la Chiesa materana probabilmente già viveva come parte fondamentale della sua devozione verso la Madonna. La festa della Visitazione della Madonna era già inserita nel calendario liturgico dei Frati Minori nel 1263, quando sotto la presidenza di S. Bonaventura, fu celebrato il capitolo generale.
Urbano VI decise di estendere a tutta la Chiesa latina la festa della Visitazione invocando la Madonna per ottenere la pace e l’unità a causa del grande scisma d’Occidente.
La morte non gli permise di promulgare la bolla che istituiva la festa. Toccò farlo al suo successore, Bonifacio IX. Infine il Sinodo di Basilea, il 10 luglio del 1441, confermò la festività della Visitazione in quanto alcuni Stati non l’avevano ancora accolta perché si erano schierati con l’antipapa Clemente VII eletto dai Cardinali francesi.
Papa Urbano VI, probabilmente forte dell’esperienza vissuta a Matera, diede indicazioni precise anche su come vivere e celebrare la festa:
- veniva consigliato il digiuno alla vigilia della festa;
- dopo la festa del 2 luglio ordinava che ci fossero otto giorni di preghiera (Ottava dopo la festa);
- concedeva le medesime indulgenze che il suo predecessore, Urbano IV, aveva emanato per la solennità del Corpus Domini.
A distanza di secoli molto è rimasto ancora vivo. La parte liturgica è rimasta intatta.
Urbano VI affidò il momento difficile dello scisma d’Occidente alla Madonna affinché “difendesse” la Chiesa per allontanare e sconfiggere il maligno che la voleva divisa. La Chiesa d’Occidente ritrovò la sua unità.
Non sappiamo se Urbano VI abbia anche tenuto conto del nome della Madonna della “Bruna”, sta di fatto che la maggior parte degli studiosi concorda che il nome “Bruna” deriva dal latino longobardo “brunja” (tedesco “Brünne”), che significa corazza, armatura, che difende la città.
Durante la festa della Bruna c’è il momento in cui l’immagine della Madonna viene posta sul “carro trionfale”. Andando oltre il racconto popolare che tutti conosciamo, vorrei sottolineare un altro aspetto. L’Arca della nuova Alleanza, a Piccianello, viene collocata sul carro che poi attraversa l’intera città. In precedenza, nella stessa chiesa parrocchiale denominata della Visitazione, il Bambino Gesù viene accolto dalle mani di Maria. È Gesù che si mette in cammino con lei per le strade di Matera. Maria ci mostra e ci dona suo Figlio come il Salvatore che dà senso alla nostra esistenza, nutrendoci con la sua Parola che si fa carne, cibo di vita eterna.
Nel procedere lento viene acclamata dall’intera comunità che si stringe attorno a lei e invoca benedizione, protezione per essere difesa da ogni pericolo, da ogni forma di male.
Sempre S. Giovanni Paolo II dice: “Quando, nella Visitazione, porta in grembo il Verbo fatto carne, Maria si fa, in qualche modo, «tabernacolo» – il primo “tabernacolo» della storia – dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini si concede all’adorazione di Elisabetta, quasi «irradiando» la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria…E lo sguardo rapito di Maria nel contemplare il volto di Cristo appena nato e nello stringerlo tra le sue braccia non è forse l’inarrivabile modello di amore a cui deve ispirarsi ogni nostra comunione eucaristica?”[58].
Per noi Maria è la Madre del Figlio di Dio, l’Odigitria, la Madre che ci porta a Cristo che è la Via, la Verità e la Vita; Maria è la Donna; Maria sintetizza ciò che Matera porta inscritto nel suo nome “Mater”. Ecco che i rioni, le vie, le strade dei Sassi sono ricchi di edicole votive che riproducono momenti della maternità di Maria e che ai passanti, ai devoti, agli abitanti ricordano, oggi come ieri, che tutti siamo “figli”. Tutte le strade portano al “Tempio altero”, alla Cattedrale dove ad attendere i figli c’è lei, la Madonna della Bruna, la Madonna di Matera.
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[54] GIOVANNI PAOLO II, [EdE], 56.
[55] GIOVANNI PAOLO II, Angelus, 5 giugno 1983.
[56] GIOVANNI PAOLO II, [EdE], cap. VI.
[57] Viene riportato quanto già pubblicato in ANTONIO GIUSEPPE CAIAZZO, Nel tempo della pandemia in cammino con la Madonna della Bruna per le strade di questa umanità, Assosiazione Maria SS. della Bruna, 02 luglio 2021, pp.17ss.
[58] Ibidem, 55.
7. Matera Città “Madre” del “XXVII Congresso Eucaristico Nazionale”
Maria è la Madre del Verbo Divino incarnato nel suo seno, di conseguenza è lei la prima che adora la presenza di Dio che si è fatto carne, divenendo non solo il Modello ma anche la Madre della Chiesa.
Alla luce di quanto espresso finora, possiamo dire che Maria è la Donna dell’Eucaristia. “Ma al di là della sua partecipazione al convito eucaristico, il rapporto di Maria con l’Eucaristia si può indirettamente delineare a partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è donna «eucaristica» con l’intera sua vita. La Chiesa guardando a Maria come al suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo[59]… In certo senso, Maria ha esercitato la sua fede eucaristica prima ancora che l’Eucaristia fosse istituita, per il fatto stesso di aver offerto il suo grembo verginale per l’incarnazione del Verbo di Dio. L’Eucaristia, mentre rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l’Incarnazione. Maria concepì nell’Annunciazione il Figlio divino nella verità anche fisica del corpo e del sangue, anticipando in sé ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve, nel segno del pane e del vino, il Corpo e il Sangue del Signore”[60].
Pertanto, non sorprende che sant’ Agostino abbia creato l’espressione “La verità è Cristo, la carne è Cristo: Cristo verità nella mente di Maria, Cristo carne nel ventre di Maria”[61].
Bellissima è la definizione che Mons. Anselmo Pecci, già Arcivescovo di Acerenza e Matera, ci regala: “L’altare è il seno della Vergine. Il mistero dell’incarnazione non iniziò semplicemente, ma realizzò pienamente, con l’abbassamento di carattere infinito della divinità che si fece carne, l’olocausto richiesto dalla giustizia divina per cancellare il peccato e ristabilire l’ordine, violato, ridando a Dio la gloria e riconciliando l’uomo a Dio[62]… Con l’incarnazione del Verbo, invece, fu fatta la consacrazione dell’altare: il cuore, la mente, il seno di Maria che furono il primo altare, come l’intero suo corpo fu la prima Chiesa”[63].
Volendo soffermarci sul nome della città di Matera ci sono alcune interpretazioni ma non abbiamo abbastanza fonti per poterne indicare qualcuna. Nel caso nostro “Matera, da parola greca o latina, è, dev’essere la Città della Madre, di Maria[64]. Ed è questa che si vuole prendere seriamente in considerazione.
Le case-grotta della Città dei Sassi sono come il ventre di madre terra che genera la vita, la custodisce, la offre per il bene di tutti. Dal ventre della terra viene partorita nuova vita. Il popolo d’Israele portava con sé in processione l’Arca dell’Alleanza che conteneva le tavole della legge, scritte con il dito di Dio (Dt 10,1-5). Soprattutto quando doveva combattere il nemico, la presenza dell’Arca era garanzia di sicura vittoria perché difendeva il popolo dal nemico (2 Sam 6,1-8).
Maria è la Nuova Arca dell’Alleanza perché porta dentro di sé la Parola che si è fatta carne: Gesù. Attraverso la visita di Maria in casa della cugina Elisabetta entra Dio che si è fatto come noi e che fa danzare Giovanni Battista nel seno di Elisabetta la quale riconosce Maria come la Madre del suo Signore, la Benedetta fra tutte le donne, la piena di grazia, il primo tabernacolo.
Benedetto XVI nella Esortazione Apostolica post sinodale, ‘Sacramentum Caritatis’, ha ricordato che: “In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua iniziativa salvifica la creatura umana. Dall’Annunciazione alla Pentecoste, Maria di Nazareth appare come la persona la cui libertà è totalmente disponibile alla volontà di Dio…Piena di fiducia si mette nelle mani di Dio, abbandonandosi alla sua volontà. Tale mistero si intensifica fino ad arrivare al pieno coinvolgimento nella missione redentrice di Gesù. Come ha affermato il Concilio Vaticano II, ‘la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il figlio sino alla croce,…’ Maria di Nazareth, icona della chiesa nascente, è il modello di come ciascuno di noi è chiamato ad accogliere il dono che Gesù fa di se stesso nell’Eucaristia”[65].
Lo stesso cantico del Magnificat si può leggere in chiave eucaristica[66] in quanto lode e rendimento di grazia, poiché in ambedue si loda e si ringrazia il Padre «per Gesù, in Gesù e con Gesù»; memoria dell’incarnazione redentrice. In ambedue si fa «memoria delle meraviglie operate da Dio nella storia della salvezza»: nel Magnificat si celebra l’incarnazione redentrice, indicata «nelle grandi cose» compiute da Dio in Maria, nell’eucaristia si attualizza il mistero pasquale del Signore; la tensione escatologica verso il nuovo cosmo, anticipato nella storia. Maria canta quei «cieli nuovi» e quella «terra nuova» il cui germe è posto «nella povertà dei segni sacramentali» e nella vita degli umili che Dio innalzerà[67].
«Quel corpo dato in sacrificio e ripresentato nei segni sacramentali era lo stesso corpo concepito nel suo grembo! Ricevere l’Eucaristia doveva significare per Maria quasi un raccogliere in grembo quel cuore che aveva battuto all’unisono col suo»[68]
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[59] GIOVANNI PAOLO II, [EdE], 53.
[60] Ibidem, 55.
[61] AGOSTINO, Sermone 72/A, 7.
[62] A. PECCI, Architettura Divina. Studi mariani, Badia di Cava, Putignano MCMXLII, pp. 22-23.
[63] Ibidem, p. 138.
[64] Ibidem, p. 3.
[65] BENEDETTO XVI, Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis, (Città del Vaticano, 22 febbraio 2007), 33.
[66] GIOVANNI PAOLO II, [EdE], 58.
[67] Idem; cfr. S. DE FLORES, Simposio teologico pastorale alla vigilia del XLVIII Congresso Eucaristico Internazionale, Alla scuola di Maria Donna Eucaristica, Guadalajara, 08 ottobre 2004.
[68] GIOVANNI PAOLO II, [EdE], 56.
8. L’Arcidiocesi di Matera-Irsina si prepara a vivere il Congresso Eucaristico Nazionale
Alla nostra Chiesa locale è offerta l’occasione per riflettere insieme attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera e riscoprire la centralità dell’Eucaristia.
È un’occasione per ritrovare fiducia, soprattutto dopo la dura prova della pandemia, e rinsaldare tra di noi quei vincoli di fede che ci aiutino a mostrare il vero volto di Chiesa in cammino, di famiglia di Dio.
E mentre si predica attraverso i pulpiti dei social, delle canzoni, dei talk show, del cinema… che Dio non c’è, noi siamo chiamati a ricordarci che nel mondo siamo “sale e luce” dare sapore ad ogni cosa e illuminare; “lievito” che fa fermentare la pasta. Davanti a Gesù Eucarestia ci mettiamo ad adorare il Dio della vita che si fa vedere, toccare, mangiare.
Ciò che fa pulsare realmente la vita di una comunità parrocchiale è esattamente la celebrazione Eucaristica. Ritornare alla fonte della vita, dell’amore donato gratuitamente, per rinnovare la nostra fede: «Ogni volta che il sacrificio della croce […] viene celebrato sull’altare, si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo»[69].
Questo Corpo è invitato a mettersi con la stessa passione, forza e amore di Gesù in ascolto della vera folla che difficilmente oltrepassa la soglia delle nostre chiese, che non partecipa alla S. Messa e che non sente il bisogno di ricevere Gesù Eucaristia quale cibo di vita eterna. Da qui la consapevolezza che il Congresso Eucaristico diventi l’opportunità per mostrare il volto di una Chiesa in uscita.
Con il Consiglio Presbiterale abbiamo pensato di valorizzare alcuni momenti che saranno comuni a tutte le comunità della nostra Arcidiocesi sperando di poterlo allargare anche al resto della Basilicata.
Gli Uffici Pastorali proporranno un calendario, coordinati dal Moderatore di Curia, con indicazioni chiare:
– sull’adorazione eucaristica e sulle 40 ore;
– su alcune settimane eucaristiche parrocchiali o interparrocchiali;
– nell’ambito dello scambio tra confratelli sacerdoti e laici impegnati teso a vivere il principio della comunione.
– Saranno promossi eventi culturali che prevedano il coinvolgimento dei protagonisti della società civile (scuola, intellettuali, politici, mondo del lavoro, …);
– È l’occasione per rilanciare la pastorale vocazionale con veglie di preghiera.
– I confratelli sacerdoti sono invitati a non prendere appuntamenti per la celebrazione dei sacramenti, come Battesimo e Matrimonio, nei giorni del Congresso: si garantisca solo la celebrazione della S. Messa al mattino presto affinché tutti possiamo partecipare e vivere questo che è da considerare come uno degli eventi più importanti della Chiesa.
Alla Madonna della Bruna, ai nostri santi Eufemia, Eustachio, Giovanni da Matera, affidiamo il Congresso Eucaristico Nazionale e l’avvio del nuovo anno pastorale, nella Basilica Cattedrale di Matera sabato 16 ottobre alle h. 17.00. A Maria fiduciosi ci rivolgiamo, quale Madre di Dio e Madre nostra,
Vergine Santa della Bruna
Ostensorio del tuo figlio, Gesù,
carne della tua carne
cibo di vita eterna
per noi bisognosi di pane vero:
donaci il tuo “Si”
per essere portatori di danze
nelle case che visitiamo.
Vergine Maria in cammino
Arca della presenza divina
per le strade inondate di vita
donaci il gusto del frutto del tuo seno
per essere tra la nostra gente
condivisione di fraternità
nella frazione dell’unico pane
nella bevanda dell’unico calice.
Donna del pane Trinità
figlia e madre del tuo Figlio
che hai nutrito la Parola fatta carne
con il latte del tuo seno
con il pane impastato dalle tue mani
e cotto nel forno del vicinato
donaci il desiderio
di nutrirci del Pane disceso dal cielo.
Mamma della Visitazione
portaci a Gesù
per essere come lui ci vuole
dissetandoci alle cisterne della Parola
per versarla ogni giorno
tra i solchi della nostra terra
nei templi abitati dallo Spirito
nella misericordia volto del Padre.
Vi abbraccio e benedico tutti.
✠ Antonio Caiazzo
Matera, lì 10 ottobre 2021
40° anniversario della mia Ordinazione Presbiterale
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[69] LG, 21.
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Verso il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale
“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione“
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