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Basilica Cattedrale di Matera, 1 luglio 2024

«Allarga lo spazio della tua tenda» (Is 54, 2)

«Voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8)

1. Saluto e sguardo complessivo

 

Carissimi,

nella tradizione della nostra Chiesa locale, la vigilia della festa della Bruna, è riservata a Voi, Autorità civili e militari, che saluto con affetto, gratitudine e con cuore di padre che la missione affidatami da Dio mi concede. La nostra è un’attenzione dovuta, una affettuosa vicinanza e un esplicito sostegno alla vostra azione unica e specifica nel servire, secondo lo stile della democrazia, della partecipazione diretta che ha come fine unico il bene della nostra gente e del nostro territorio.

La festa della Madonna della Bruna quest’anno, nello spirito del cammino sinodale della Chiesa italiana, attraverso il brano del vangelo noto come  «i discepoli di Emmaus», già espresso nel messaggio per questa nostra festa, oltre ad invitarci a camminare lungo le tante strade che portano «da Gerusalemme verso Emmaus», è uno stimolo a guardare e percorrere le strade della nostra vita, della storia locale, spesso abitate da paura, delusione, dolore, da una sorta di depressione spirituale e fisica, da scoraggiamento,  mortificazione, dall’ingiustizia…, tutte negatività che ai nostri occhi fanno sfocare la speranza.

Se allarghiamo lo sguardo oltre i ristretti confini, ci accorgiamo – noi e la maggior parte della nostra generazione – che stiamo vivendo uno dei momenti più drammatici e tristi della storia recente: dalla pandemia alle guerre che insanguinano il pianeta e che ogni giorno minano la pace, dalle invasioni di terre altrui e devastazione di interi territori alle deportazioni di migliaia di bambini, dalla desertificazione e alluvioni di intere nazioni alle dittature e lotte di religione.

 

2. Chiamati ad «allargare gli spazi delle nostre tende” per non correre l’uno contro l’altro

Tutti sappiamo che non si tratta solo di sanare le relazioni tra i diversi popoli che abitano la terra, ma anche di curare ferite ataviche del cuore umano che ostacolano la pace e la riconciliazione. Siamo chiamati a renderci conto, come sollecitava Papa Francesco durante la pandemia, che «ci troviamo sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti». In questa logica la festa della Bruna è un momento di grazia che ci permette di ravvivare il dono di Dio e di riconoscere che tutti i popoli, abbracciati dall’amore che sgorga dal Cuore di Cristo, sono fratelli, figli di uno stesso Padre, costruttori di fraternità. Fraternità tra gli uomini e fraternità con il creato.

Siamo coscienti che, come Chiesa, camminiamo insieme a voi, in mezzo a queste divisioni, in un processo di discernimento sinodale, che sta mettendo in discussione quale sia la nostra missione oggi, inalterata nei suoi tratti distintivi che si sostanziano in spirito di comunione e di partecipazione. D’altronde, la missione della Chiesa, fin dal suo nascere, è realizzare la sua vocazione: essere sempre e dovunque un luogo fraterno di inclusione radicale, di appartenenza condivisa e di profonda ospitalità, alla luce di quanto dice il Signore attraverso il profeta Isaia: «Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio» (cf. Is 54, 2).

Il latino «ospes», come l’italiano ospite, designa allo stesso tempo colui che ospita e colui che è ospitato. La parola stessa è luogo di incontro, di uno stare insieme nella tenda nello stesso suolo. L’ospitalità e il riconoscimento dello straniero può avvenire se anche noi riconosciamo noi stessi stranieri a noi, se riconosciamo lo straniero che abita in noi. L’ospitalità è nomade perché chi sposta la sua tenda durante il cammino, sa che tutti hanno bisogno di sostare, di essere accolti durante la sosta. Nel cammino nessuno ha radici, ciascuno è in transito [1].

La nostra riflessione ci porta verso la prossima 50° Settimana Sociale che si terrà dal 3 al 7 luglio a Trieste e ha come tema: Al cuore della Democrazia. Partecipare tra storia e futuro. «La Democrazia prima ancora di essere una forma di governo è la forma di un desiderio profondamente umano: quello di vivere insieme volentieri e non perché costretti, sperimentando la comunità come luogo della libertà, in cui tutti sono rispettati, tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in favore degli altri [2]». Saranno presenti i rappresentati di ogni Diocesi lucana della Pastorale sociale del lavoro e del Progetto Policoro per dare il loro apporto determinante. Ma c’è di più. Due realtà imprenditoriali italiane saranno presentate al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella e al Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Oltre l’Arte, una nostra Cooperativa nata dal Progetto Policoro, è una delle due realtà scelte in Italia. A rappresentare Oltre l’Arte sarà il nostro giovane Simone Ferraiuolo che racconterà la storia di vita di come è nata la Cooperativa e come sta operando. Motivo d’orgoglio per la nostra Chiesa locale e la nostra Regione.

Senza voler entrare in questioni e analisi politiche, ci pare di cogliere che dopo le ultime elezioni regionali, europee e comunali, la mancanza di partecipazione da parte della nostra gente sia un dato particolarmente allarmante. Lo stesso documento in preparazione alla Settimana Sociale dice: «La componente sociale – che in parte è esito della pandemia, in parte la precede – ci sta rivelando la nostra fragilità e la nostra interdipendenza, facendoci comprendere che tutto può cambiare da un giorno all’altro e questa incertezza pesa sulle nostre vite quotidiane generando paura e spaesamento, sia in chi è più giovane che nei più anziani».

In questo clima si ha l’impressione che tutti stiamo correndo, non insieme verso una comune meta, ma uno contro l’altro usando come arma, in alcuni casi, Dio stesso. In molti casi, sia a livello nazionale che internazionale, viene usato Dio per scopi personali, per ottenere consensi, per imporre una volontà assolutista. In questo modo, se da una parte Dio lo si vuole accanto, dall’altra se ne fa un uso strumentale e divisivo e, quindi, si tenta di snaturare il suo messaggio nella misura in cui crea spaccature e conflitti.  Tutto questo è diabolico, e l’aggettivo non è usato a caso in quanto il suo étimo è: «il diavolo è colui che separa» e, pertanto, è un agire che non può venire da Dio. Di fronte a tutte queste sfide noi, prima di tutto, e quindi anche gli altri, siamo chiamati a rivestirci di quell’identità naturale e umana che ci fa ritornare fratelli, spogliandoci di tutto ciò che mortifica l’umano, la vita di ogni persona, promuovendo la cultura della vita. Il diritto alla vita e alla vita dignitosa non può prescindere, soprattutto per chi dice di essere cristiano, dal difenderla dal suo concepimento fino al suo morire naturale. La Madonna della Bruna non ha cercato quella gravidanza, eppure ha saputo accogliere quella vita che si è rivelata, con la nascita di Gesù, il “Dio con noi”. Ed è questo Dio che la Madonna continua a donarci ancora oggi.

 

3. Guardare le ferite del mondo scrutando le nostre

Siamo, dunque, parte integrante di questo mondo ferito che ci precede e ci accompagna. Sono ferite che sentiamo aperte e sempre più incancrenite. Chi ne paga il prezzo più caro sono proprio i fragili, i piccoli, i vulnerabili, i diseredati, gli indifesi, perché esclusi dal bene comune, dalla giustizia sociale, dalla libertà e dai diritti umani; sono esclusi dalla tenda di cui parla Isaia sotto la quale c’è un pane condiviso, dalla casa comune che ci ospita come figli e fratelli. Possiamo allora dire che ogni attacco al fratello, chiunque esso sia, sarà sempre un attacco alla casa comune che è il creato?

Se tanto caos, confusione, delusione, guerre e ingiustizie, è nel mondo ciò è dovuto all’incrinatura del legame tra l’umano e il divino. In tanti casi, bisogna riconoscerlo, si è molto religiosi ma senza fede nel Cristo che Maria continua a tenere tra le sue braccia e a indicarci come il Dio della vita, della storia. Noi sappiamo che chi l’accoglie sperimenta che la storia personale e comunitaria cambia di bene in meglio.

Alla luce di queste considerazioni, facciamo nostre le parole di Papa Francesco, quando nella Laudato sì dice: «la società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può “aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo” [3]».

 

4. No ad ogni forma di assistenzialismo aiutando le nuove generazioni a rimanere in Basilicata. Dati Caritas Diocesana

Nella nostra terra abbiamo bisogno di uscire dalla logica di ogni forma di assistenzialismo creando le condizioni necessarie affinché ognuno, soprattutto i nostri giovani, possano dignitosamente progettare, attuare e vivere in Basilicata evitando lo spopolamento che sta avendo conseguenze devastanti. Dai dati recenti che il nostro Ufficio Regionale per la pastorale della Famiglia ha reso noti, dopo aver consultato ospedali, comuni e parrocchie viene fuori un quadro preoccupante.

Nel 2023 in Basilicata abbiamo avuto 3.240 nascite a fronte delle 3.410 del 2022 così suddivise:

  • Potenza 1289
  • Melfi 403
  • Policoro 380
  • Lagonegro 527
  • Matera 641

Ciò che spesso non viene tenuto in considerazione è il numero dei decessi che superano abbondantemente le nascite (oltre il doppio): circa 7.000. Questo ci dice che nella nostra Regione l’emigrazione dei giovani sta procurando una conseguenza ancora più triste: manca il ricambio generazionale per cui ci sono pochissime nascite, mentre avanza inesorabilmente il numero dei decessi. Questa terra perde ogni anno 1500 giovani che vanno via e, a questi, vanno aggiunti altre 3.500 persone che muoiono. La situazione è veramente allarmante. Lo spopolamento, soprattutto nelle aree interne è ancora più evidente.

Dai dati forniti dalla nostra Caritas si evince che nel 2023 le persone che si sono rivolte ai Centri di Ascolto (Diocesano e Parrocchiali) della Caritas di Matera-Irsina sono state 912, di cui 516 donne e 396 maschi a nome delle famiglie per un totale di 1842 persone. Quindi significa che alla Caritas si rivolge, per il nucleo familiare, la donna. Nel 2022 erano state 773 le persone. Di questi 521 italiani, 385 stranieri e 6 con doppia cittadinanza. La classe di età che maggiormente è nel vortice della povertà è quella tra 45 -54 anni.

I bisogni maggiormente espressi, per un totale di 1363, fanno riferimento all’area della POVERTA’ ECONOMICA collegata alla DISOCCUPAZIONE – LAVORO e quindi alla mancanza di risorse per condurre una vita dignitosa. Gli interventi sono stati in totale 5294 maggiormente espressi nella macro area BENI E SERVIZI, che fanno riferimento alle seguenti micro aree:

– Alimenti (pacchi viveri e buoni pasto)

– Vestiario

– Mensa

– Alloggio (Pagamento affitti – Utenze)

Tenendo presenti le considerazioni emerse dall’ascolto del cammino sinodale, emergono ricchezze, opportunità, ma anche fragilità e rischi. Ormai è sotto gli occhi di tutti che la democrazia appare in difficoltà in diverse parti del nostro pianeta. Preoccupano in particolare la frammentazione sociale e l’individualismo crescente, che lasciano poco spazio per ripensare e rilanciare il futuro e costruire il bene comune.

Tuttavia, come dice sempre il Documento preparatorio per Trieste: «si coglie, nel tessuto sociale, la crescita di tante energie positive ed esperienze innovative. E la partecipazione alla vita civile assume nomi sempre nuovi: la possiamo riconoscere nella perdurante vitalità dell’associazionismo e del terzo settore; nell’emergere di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; nell’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti da città e territori; nella costruzione di percorsi di progettazione dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; nella spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente, a partire dai loro contesti di vita; nell’impegno di tante Chiese locali per la costruzione delle comunità energetiche, preziosa eredità della Settimana Sociale di Taranto. Anche il nostro Paese deve affrontare nodi importanti, tra cui la promozione del lavoro, la riduzione delle diseguaglianze, la custodia dell’ambiente. Per vincere queste sfide servono ascolto attivo, protagonismo comunitario e responsabilità. La disponibilità a vivere in prima persona una trasformazione, che è soprattutto culturale, è cruciale per «abitare il cambiamento» per immaginare e condividere percorsi che traccino la rotta comune del Paese. Il futuro del Paese richiede persone capaci di mettersi in gioco e di collaborare tra loro per rigenerare gli spazi di vita, anche i più marginali e affaticati, rinforzando la capacità di scegliere democraticamente e di vivere il potere come un servizio da condividere. È una sfida che riguarda tutti i cittadini: tutte le voci di una comunità devono trovare parola, ascolto e sostegno, per elaborare pensiero e avviare percorsi di partecipazione, per trasformare il presente e liberare più bellezza nel futuro».

 

5. Il potere INTESO come poter-essere, poter-fare e poter-cambiare

Ci rendiamo conto che il ruolo di ognuno corrisponde ad un servizio per accompagnare e incoraggiare chi ha posto in noi la propria fiducia. In questo modo, ne siamo certi, il “potere” affidato a tutte le istituzioni sarà colto come dovere e responsabilità nel poter-essere, poter-fare e poter-cambiare.

Alla luce dei dati forniti prima, chiedo alla Madonna Santissima della Bruna che ci aiuti a riscoprirci sempre più figli di questa umanità che abita la stessa terra: fratelli che s’incontrano e non si scontrano, si amano e non si disprezzano, capaci di essere protagonisti e non antagonisti, costruttori di una nuova umanità che trova le sue fondamenta sulla giustizia e la pace, sull’unità e, pur nel rispetto delle proprie identità, come credenti non ce la sentiamo di inneggiare all’Autonomia differenziata che stride fortemente con l’insegnamento evangelico. Nella storia della salvezza leggiamo che il popolo di Dio in cammino ha in sé un proposito di sostegno e solidarietà in quanto aspira a che nessuno venga lasciato indietro o si senta abbandonato e, così facendo, manifesta vera fraternità e concreta condivisione.

Noi vescovi italiani abbiamo pubblicato una nota su questo tema. Il testo, approvato dal Consiglio episcopale permanente, lo scorso 22 maggio, nel corso dei lavori della 79ª Assemblea Generale, raccoglie e fa proprie le preoccupazioni emerse dall’Episcopato italiano. Riporto solo il pensiero iniziale: «Il Paese non crescerà se non insieme» [4]. Questa convinzione ha accompagnato, nel corso dei decenni, «il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese» [5]. È un fondamentale principio di unità e corresponsabilità, che invita a ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, di un progetto condiviso per il futuro».

Anche se la Camera ha approvato nei giorni scorsi la legge sull’Autonomia differenziata, e il Presidente della Repubblica ha firmato, come Pastore delle Chiese di Matera-Irsina e di Tricarico, e come uomo del Sud e non posto a favore di uno dei due schieramenti politici, non posso non esprimere la mia profonda preoccupazione. Con tutto il rispetto per voi istituzioni e le vostre diverse letture, penso di conoscere molto bene questo vasto territorio con le sue criticità e risorse, e i suoi abitanti. Per dirla con il nostro Presidente, Card. Matteo Zuppi, come Chiesa non siamo stati ascoltati e ora “L’Autonomia differenziata rischia di minare il principio di solidarietà”. Tuttavia mi auguro di essere smentito dalla scelte che il governo regionale sarà capace di fare incominciando dai temi scottanti che ho già sottolineato, focalizzando il problema annoso della sanità che ci vede sempre più penalizzati e costretti a dipendere dalle strutture sanitarie di altre Regioni, e delle diverse strutture per anziani come il Centro Geriatrico S. Raffaele, la Residenza Villa Anna e la Residenza Mons. Brancaccio.

Carissimi, la vostra presenza stamattina, in questa Basilica Cattedrale e sotto lo sguardo materno della Madonna della Bruna, esprime sicuramente il desiderio di lavorare insieme, nello specifico cristiano della fraternità, per un dialogo sincero e duraturo che ci aiuti, pur nella diversità di ruoli e posizioni politiche, a percorrere insieme nuove strade aperte, allargando gli spazi nelle nostre rispettive tende per dare e, al contempo, ricevere nella gratuità del servizio e della promozione umana. Questo significa che vale anche e soprattutto per voi il principio di coltivare l’interiorità, quindi la spiritualità: è il primo passo per costruire e per partecipare in modo fecondo alla vita della polis. Un servizio, soprattutto per chi è credente, che parte dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera, dal magistero della Chiesa. In questo modo si agisce e si opera per la libertà, con scelte e decisioni che aiutano a costruire non il futuro ma l’oggi per sognare un futuro che diventi realtà.

A Maria vi affido e vi benedico.

 

Don Pino, arcivescovo

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[1] (da L’ospitalità della lingua di Antonio Prete, docente di letterature comparate all’università di Siena)

[2]

[3] FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato Sì, 24 maggio 2015

[4] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Lettera collettiva, 1952; Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 1989; Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 2010; Episcopato meridionale, Lettera collettiva. I problemi del Mezzogiorno, 1948

[5] Conferenza Episcopale Italiana, Per un Paese solidale, cit., n.1.